Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza 5 aprile 2017, n. 17192

Va riconosciuta la natura di ingiustizia formale alla detenzione patita da chi è stato raggiunto da una misura cautelare relativa al reato per il quale è già stato condannato con pena sospesa dalla condizionale.

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV penale

sentenza 5 aprile 2017, n. 17192

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

Dott. TANGA Antonio Leonardo – Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 26/01/2016 della CORTE APPELLO di TORINO;

sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE PAVICH;

lette/sentite le conclusioni del PG Dr. FODARONI Maria Giuseppina, che ha concluso per l’annullamento con rinvio, chiedendo in subordine che sia sollevata questione di legittimita’ costituzionale “in parte qua” dell’articolo 314 c.p.p..

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa il 26 gennaio 2016, la Corte d’appello di Torino ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di (OMISSIS) in relazione al periodo dal 25 dicembre 2014 al 14 aprile 2015) in cui lo stesso era stato sottoposto a misura custodiale, nell’ambito di un procedimento per reati contro il patrimonio.

1.1. Dagli atti risulta che nei confronti del (OMISSIS) era stata emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere in data 3 maggio 2013; che il 16 dicembre 2013 (ossia oltre un anno prima che l’ordinanza de qua fosse eseguita), il (OMISSIS) veniva condannato dal Tribunale di Torino alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ed Euro 400,00 di multa, con concessione della sospensione condizionale della pena; che la sentenza diveniva irrevocabile il 3 novembre 2014.

1.2. A fronte delle doglianze articolate nell’istanza in ordine alla legittimita’ del titolo custodiale e della conseguente sottoposizione del (OMISSIS) a misura inframuraria, pur a fronte di condanna a pena sospesa, la Corte distrettuale ha osservato che, al momento dell’emissione della misura de qua, esistevano tutte le condizioni di cui all’articolo 273 c.p.p. e ss.; e che, sebbene sia vero che il Tribunale di Torino, nel condannare il (OMISSIS) con il beneficio della sospensione condizionale della pena, avrebbe dovuto dichiarare l’inefficacia della misura cautelare ai sensi dell’articolo 300 c.p.p., comma 3, tuttavia tale statuizione ha valore meramente dichiarativo e quindi sarebbero state le Forze dell’Ordine, esperiti i necessari controlli, a non eseguire la misura cautelare, e l’amministrazione carceraria non avrebbe dovuto accoglierlo in istituto di custodia.

Oltre a cio’, ben poteva il (OMISSIS) – per il tramite del suo difensore prospettare la situazione, ossia il venir meno dei titolo custodiale a suo carico.

2. Avverso l’ordinanza de qua ricorre il (OMISSIS), per il tramite del suo difensore di fiducia. Il ricorso e’ articolato in due motivi.

2.1. Con il primo motivo l’esponente lamenta vizio di motivazione in relazione al fatto che la mancata deciaratoria d’inefficacia della misura, da parte del Tribunale di Torino, sebbene dichiarativa, ira comunque dato causa all’ingiusta detenzione, commettendo un errore consistito nella mancata revoca della misura.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al fatto che, diversamente da quanto argomentato dalla Corte distrettuale, non incombeva alla P.G., ma ai Pubblico Ministero, verificare il titolo custodiale, ai sensi degli articoli 655 e 656 c.p.p..

3. Nella sua requisitoria scritta li Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso e ha quindi concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, chiedendo in subordine che sia sollevata questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 314 c.p.p., nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente subita a causa della mancata declaratoria d’inefficacia e/o per la mancata revoca di una misura cautelare di cui siano venuti meno i presupposti.

Con memoria depositata il 16 gennaio 2017, l’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato e merita accoglimento.

Stabilisce l’articolo 314 c.p.p., comma 2, che il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, va riconosciuto anche in favore del condannato che, nel corso del processo, sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura e’ stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilita’ previste dagli articoli 273 e 280 c.p.p..

Un’interpretazione sistematica di detta disposizione conduce all’applicabilita’ dello stesso principio anche nei caso in cui (come nella specie) il procedimento nel quale la misura viene applicata si concluda con sentenza irrevocabile di condanna a pena sospesa – con conseguente operativita’ dell’articolo 300 c.p.p., comma 3, – senza che a cio’ consegua la non esecutivita’ delle statuizioni cautelari precedentemente adottate; premessa infatti la natura di atto vincolato della statuizione ex articolo 300, qualificabile come una presa d’atto della perenzione della misura cautelare applicata all’imputato, e’ di tutta evidenza l’assimilabilita’ della sottoposizione dello stesso a detta misura, rei periodo successivo alla pronunzia di proscioglimento o di condanna a pena sospesa, al caso in cui l’imputato venga sottoposto o mantenuto in stato custodiale in assenza delle condizioni legittimanti, nel merito, la statuizione cautelare.

In ambo i casi, infatti, si versa in condizioni di ingiustizia formale della sottoposizione a misura cautelare.

2. Nel caso di specie, la questione – diversamente da quanto osservato dalla Corte distrettuale – non riguarda le condizioni di applicabilita’ della misura cautelare all’epoca in cui essa fu emessa (nei qual caso e’ ormai pacifico l’orientamento della Corte di legittimita’ in base ai quale non sussiste il diritto alla riparazione quando, nell’ambito del subprocedimento cautelare, la prognosi sulla possibilita’ di una futura sospensione condizionale della pena sia stata negativa, ma all’esito del giudizio di cognizione detto beneficio sia stato nondimeno concesso: cfr. da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 1862 dei 07/01/2016, Scivoli, Rv. 265582), ma attiene al profilo, affatto diverso, del perdurare o meno di dette condizioni al momento dell’esecuzione dell’ordinanza applicativa, la quale nella specie e’ intervenuta in un momento successiva rispetto alla pronunzia (divenuta nel frattempo definitiva) con la quale l’imputato, benche’ condannato, aveva ottenuto la sospensione condizionale della pena: beneficio che implica ex se la caducazione delle statuizioni cautelari nel frattempo emesse.

2.1. Orbene, va ricordato che la valutazione prognostica, al momento dell’applicazione della misura, in ordine alla concedibilita’ o meno della sospensione condizionale della pena va messa in stretta correlazione proprio con il disposto di cui all’articolo 300 c.p.p., comma 3, che impone la declaratoria d’inefficacia della misura in caso di condanna a pena sospesa; ed anche con l’articolo 306 c.p.p., che – come correttamente ricordato nella requisitoria scritta del P.G. – impone al giudice di disporre con ordinanza l’immediata liberazione della persona sottoposta alla misura.

Dunque, dal sistema si ricava chiaramente l’incompatibilita’ tra il beneficio della sospensione condizionale della pena applicata in relazione a una determinata imputazione, e la sotto posizione o il mantenimento dell’imputato in regime cautelare (specie se custodiale) in relazione alla medesima accusa.

E’ compito dell’Autorita’ giudiziaria attuare tale principio; di cio’, contrariamente a quanto opinato dalla Corte territoriale, non puo’ farsi carico ne’ alle Forze dell’Ordine, ne’ all’Amministrazione penitenziaria. Ne e’ riprova, in aggiunta alle disposizioni gia’ citate, quanto disposto dall’articolo 97 disp. att. c.p.p., laddove si prescrive, inter alia, che i provvedimenti con i quali e’ disposta una misura cautelare personale sono comunicati, a cura della cancelleria del giudice che li ha emessi al servizio informatico istituito con Decreto del Ministro di Grazia e Giustizia, quando la misura ha avuto esecuzione; e che dev’essere altresi’ data immediata comunicazione al servizio previsto dal comma 1, a cura della cancelleria o della segreteria dell’autorita’ giudiziaria che ha adottato il provvedimento, di ogni provvedimento estintivo o modificativo delle misure cautelari personali.

2.2. Un ulteriore spunto ai fini dell’interprestazione sistematica dell’istituto e’ offerto dalla giurisprudenza costituzionale.

Con sentenza n. 219/2008, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 314 c.p.p. nella parte in cui esso non prevede il diritto alla riparazione per la custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta. Tale principio, a ben vedere, pone in stretta correlazione la legittimita’ del titolo custodiale con la misura della sanzione finale applicata all’imputato; ma e’ di tutta evidenza che, allorquando (come nella specie) la sanzione finale sia sottoposta e sospensione condizionale (e, come tale, implichi una statuizione ostativa all’applicazione o al mantenimento di misure cautelari per il fatto oggetto di giudizio), se ne ricava a maggior motivo il convincimento dell’ingiustizia formale della detenzione eventualmente protratta (o, addirittura, applicata ex novo), dopo la pronuncia di condanna a pena sospesa.

Da ricordare poi la fondamentale sentenza n. 310/1995, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato – illegittimita’ costituzionale dell’articolo 314 c.p.p., nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione. Sebbene, infatti, la decisione della Consulta intervenisse su un caso alquanto diverso da quello che ne occupa, nel quale l’ordine d’esecuzione della misura era stato adottato in base all’errato presupposto che si fosse formato il giudicato di condanna nei confronti dell’interessato, tuttavia il principio affermato nella sentenza de qua deve interpretarsi come estensibile a tutte le ipotesi di ordine di esecuzione di misura cautelare emessi in modo illegittimo (fra cui a ben vedere rientra anche quello che ha attinto l’odierno ricorrente).

Sul punto, invero, la Consulta cosi’ si esprime: “(…) la diversita’ della situazione di chi abbia subito la detenzione a causa di una misura cautelare, che in prosieguo sia risultata iniqua, rispetto a quella di chi sia rimasto vittima di un ordine di esecuzione arbitrario non e’ tale da giustificare un trattamento cosi’ discriminatorio, al punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e meritevole di equa riparazione e la seconda venga invece dal legislatore completamente ignorata”.

“La disparita’ di trattamento tra le due situazioni appare ancor piu’ manifesta, se si considera che fa detenzione conseguente ad ordine di esecuzione illegittimo offende la liberta’ della persona in misura non minore della detenzione cautelare ingiusta”.

“La scelta legislativa risulta oltretutto ingiustificata anche alla luce della L. 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale), dove, al punto 100 dell’articolo 2, comma 1, e prefigurata, accanto alla riparazione dell’errore giudiziario, vale a dire del giudicato erroneo (gia’ oggetto della disciplina del codice previgente), anche la riparazione per la “ingiusta detenzione”; cio’ che lascia trasparire l’intento del legislatore delegante di non introdurre, su questo piano, ingiustificate differenziazioni tra custodia cautelare ed esecuzione di pena detentiva.

Lo stesso articolo 2 della citata legge di delegazione, nel prevedere che il nuovo codice si debba adeguare alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale, depone nel senso della non discriminazione tra le due situazioni, giacche’ proprio la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata dall’Italia con la L. 4 agosto 1955, n. 548, prevede espressamente, all’articolo 5, il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta. (…)”.

2.3. Ne’ mancano, nella giurisprudenza di legittimita’, pronunzie che, pur non affrontando la specifica questione, hanno risolto questioni similari applicando analoghi principi.

Ad esempio si e’ affermato che l’esecuzione di un ordine di carcerazione originariamente legittimo ma relativo ad una pena risultante estintasi, in ragione del lungo arco temporale intercorso tra l’emissione del titolo e la sua esecuzione, determina l’ingiustizia della detenzione sofferta e, dunque, la configurabilita’ del diritto all’equa riparazione (Sez. 4, n. 45247 del 20/10/2015, Myteveli, Rv. 264895: in motivazione la S.C. ne affermato che l’ordine di esecuzione non poteva piu’ considerarsi efficace, in assenza o, un’espressa declaratoria di estinzione della pena, per la doverosa diretta applicazione dell’articolo 172 c.p.).

Si e’ anche stabilito che, nel caso di inutile occorrenza del termine di cui all’articolo 27 c.p.p. e di omessa o tardiva emissione del provvedimento cautelare da parte del giudice competente, puo’ essere attivata dalla persona sottoposta alla custodia cautelare, in relazione al periodo successivo alla perdita di efficacia della prima misura e fino all’eventuale emissione della seconda, la procedura stabilita dall’articolo 314 c.p.p. ai fini della riparazione per l’ingiusta detenzione (cfr. Sez. 1, n. 3810 del 09/11/2000 – dep. 2001, Munnia e altri, Rv. 218167).

3. Conclusivamente, sulla base di un’interpretazione sistematica dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, deve ritenersi che vada riconosciuta natura di ingiustizia formale della detenzione patita da colui il quale sia attinto da misura cautelare in relazione a reato per il quale egli sia stato gia’ condannato a pena condizionalmente sospesa, relativamente all’intera durata della misura se applicata successivamente alla detta sentenza di condanna, o al periodo di mantenimento in regime custodiale successivo alla sentenza stessa.

Cio’, all’evidenza, rende irrilevante la questione di legittimita’ costituzionale proposta in subordine dal P.G. presso la Corte.

4. L’ordinanza impugnata va percio’ annullata con rinvio alla Corte d’appello di Torino, che dovra’ provvedere in termini conseguenti sull’istanza dell’interessato. L’ammontare dea somma spettante a titolo d’indennizzo dovra’ infatti essere determinato dalla Corte distrettuale tenendo conto del principio, affermato dalle Sezioni Unite, in base al quale la liquidazione dell’indennizzo, che va determinata conciliando il criterio aritmetico con quello equitativo, deve tenere conto del fatto che il grado di sofferenza cui e’ esposto chi, innocente, subisca la detenzione e’ di norma amplificato rispetto alla condizione di chi, colpevole, sia ristretto per un periodo eccessivo rispetto alla pena inflitta. Ne consegue che, se, in linea di principio, diritto dell’innocente e’ da valutare in maniera privilegiata rispetto a quello del colpevole, tale conclusione non ha carattere assoluto, ed e’ compito esclusivo dei giudice di merito considerare la peculiarita’ della situazione, adeguando liquidazione alta specificita’ della fattispecie e motivando in modo puntuale sulla sua entita’ (vds la gia’ citata Sez. U, Sentenza n. 4187 del 30/10/2008, dep. 2009, Pellegrino Rv. 241856).

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con alla Corte d’appello di Torino per nuovo esame

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