Il testo integrale

Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza 18 novembre 2011 n. 42588

La Corte di Cassazione ribalta le sentenze sia del Gip e sia del tribunale di sorveglianza, che avevano considerato superflua la misura interdittiva nei confronti di un chirurgo ginecologo.

Contro il medico il Pubblico ministero aveva aperto un procedimento per il reato di cui agli artt. 113-589 cod.pen. perpetrato a danno di in particolare Il sanitario veniva accusato di avere provocato colposamente il decesso della paziente attuando le seguenti condotte: decideva di effettuare un tipo di Intervento (Iaparoscopia) In presenza di circostanze che suggerivano l’adozione di altre tecniche chirurgiche; eseguiva in modo gravemente non corretto l’operazione procurando alla paziente molteplici lesioni sia alla vescica che all’intestino non si preoccupava di trattare dette lesioni iatrogene nonostante egli, nel corso dell’intervento, si fosse reso conto dell’accaduto; non diagnosticava, neppure nel giorni successivi all’Intervento, le ragioni del quadro gravemente precario delle condizioni di salute della donna.

In considerazione di una condotta tanto grave da far ipotizzare addirittura un omicidio volontario, benché sotto l’aspetto del dolo eventuale il P.M. chiedeva l’applicazione della misura della sospensione temporanea dall’esercizio dell’attività professionale di medico­ginecologo. il GIP del Tribunale di Pescara rigettava ripetutamente la richiesta del P.M. e, a sua volta, il Tribunale del Riesame dell’Aquila respingeva l’appello proposto dal P.M.

Invero, si procedeva per un reato di natura colposa, in relazione ad un soggetto che non risultava avere precedenti per fatti analoghi. Per cui, pur emergendo chiari Indizi di reità per i fatti contestati, doveva ritenersi che non emergessero ragioni sufficienti per la configurazione del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie. D’altro canto, risultava che la direzione sanitaria del nosocomio dove era in servizio aveva vietato l’esecuzione di interventi del tipo di quello eseguito sulla paziente deceduta.

Non è d’accordo la Cassazione che giudica opportuna la sopensione dall’attività per escludere il rischio concreto di offendere nuovamente interessi collettivi già colpiti.

In altre parole i giudici di prime cure non hanno correttamente Individuato e preso In considerazione le esigenze cautelari di per sé eventualmente idonee a giustificare l’applicazione della misura interdittiva, al sensi degli artt.287­290-308 cod. proc.pen., in riferimento all’art. 274 lett. c) configurante il pericolo di reiterazione da parte dell’Imputato di delitti della stessa specie di quello per cui si procede

La Cassazione invita a tenere presente quanto disposto dall’articolo 133 del codice penale sulla gravità del reato.

In particolare la personalità dell’indagato, incline a violare regole cautelari, l’evitabilità dell’evento e il grado di esigibilità della condotta omessa.

Sorrento 21 novembre 2011.

 

Avv. Renato D’Isa

 

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