Il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell’infortunio subito dal lavoratore qualora l’evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l’inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

SENTENZA 1 giugno 2016, n.23171 

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23/06/2014, la Corte d’appello di Napoli ha confermato quella del Tribunale di Nola, appellata dagli imputati R.R. e E.A., con la quale i predetti erano stati condannati per il reato di omicidio colposo, n.q. di committenti di un’opera edile, da eseguirsi in un cantiere ubicato alla via (OMISSIS).

2. Secondo la prospettazione accusatoria, gli odierni imputati, agendo in cooperazione colposa con RU.Mi., legale rappresentante della ditta appaltatrice dei lavori “RS Costruzioni Generali fratelli Ru. s.r.l.” (che ha definito la sua posizione processuale con sentenza di applicazione della pena), concorrevano nel cagionare per colpa generica e specifica, consistita quest’ultima nella violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 3, commi 8 e 4, la morte dell’operaio V.V. (soggetto già in pensione, ma che occasionalmente prestava attività lavorativa per la ditta appaltatrice), il quale, dovendo effettuare lavori di “tompagnatura” e trovandosi su una mensola posta al secondo piano del fabbricato in costruzione, perdeva l’equilibrio e, rovinando violentemente al suolo da un’altezza di circa due metri, riportava lesioni gravissime che ne cagionavano il decesso.

Gli accertamenti esperiti nell’immediatezza dagli ispettori dell’ASL e dal consulente del P.M. consentivano di affermare che la caduta accidentale dell’operaio era da attribuire alle condizioni precarie del cantiere, del tutto sprovvisto di qualsivoglia forma di protezione o barriera, idonea ad impedire le cadute dall’alto e a garantire al lavoratore lo svolgimento delle proprie mansioni in condizioni di sicurezza.

In particolare, era emerso che l’intero edificio, nel quale erano in corso detti lavori di “tompagnatura”, nonchè gli spazi dei balconi prospicienti il vuoto erano privi dei presidi di cui al D.P.R. n. 164 del 1956 (ponteggi, parapetti e passatoie); dette violazioni erano collegate alla omessa redazione del documento di valutazione dei rischi e del piano di sicurezza che individuasse i pericoli esistenti per quello specifico tipo di lavorazione e le misure necessarie per farvi fronte.

L’affermazione della penale responsabilità degli imputati è strettamente collegata alla posizione di garanzia assunta, quali committenti dell’opera, in assenza di un responsabile dei lavori, per culpa in eligendo per non avere verificato cioè l’idoneità tecnico professionale della ditta appaltatrice a svolgere quel tipo di lavorazione e per non avere attivato i poteri di inibizione dei lavori per mancanza di una corretta dotazione di uomini e mezzi, a causa delle carenze ictu oculi riscontrabili in cantiere.

3. Gli imputati hanno proposto ricorso a mezzo dei propri difensori.

3.1. L’imputata R. ha formulato due motivi.

Con il primo, ha dedotto la violazione e falsa applicazione della legge, in relazione agli artt. 113 e 589 cod. pen., D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 8 e art. 4 e art. 43 cod. pen., contestando la ricostruzione dell’obbligo di verifica dell’idoneità dell’impresa appaltatrice dei lavori.

Con il secondo, ha censurato la motivazione della sentenza, assumendone la illogicità e contraddittorietà, oltre che la mancanza, con riferimento alle stesse circostanze cui è stata agganciata la violazione di legge.

3.2. Con separato ricorso, nell’interesse anche dell’imputato E.A., sono stati formulati due distinti motivi.

Con il primo, si è dedotta violazione di legge con riferimento all’art. 3, comma 8 citato, contestandosi l’esistenza di un obbligo di inibizione e/o sospensione dell’inizio dei lavori da impartire al datore di lavoro nel caso in cui costui abbia omesso di allestire le idonee misure di prevenzione anti infortunistiche, obbligo che la legge pone in capo al coordinatore per l’esecuzione, non designato nel caso di specie, trattandosi di cantiere “sotto soglia”.

Con il secondo motivo, si è dedotto vizio motivazionale con riferimento alla ritenuta consapevolezza da parte dei committenti della mancanza totale di opere provvisionali e dell’avvenuto inizio della seconda fase dei lavori.

3.3. Con due successive memorie, depositate il 03/02/2015, la difesa degli imputati ha sviluppato le proprie argomentazioni, invocando con l’una l’annullamento della condanna anche sotto l’ulteriore profilo riguardante l’irregolarità del rapporto di lavoro della vittima; con l’altra, presentata nell’esclusivo interesse dell’imputata R., ha allegato giurisprudenza di questa sezione, con specifico riferimento alla diversa modulazione del dovere di sicurezza rispetto alle distinte posizioni del datore di lavoro e del committente di opere edili.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso proposti nell’interesse dell’imputato E. sono infondati, dovendo, al contrario, il ricorso essere accolto quanto all’imputata R..

2. Il giudice d’appello ha condiviso e fatto propria la ricostruzione fattuale operata nella sentenza di primo grado, sulla scorta di risultanze probatorie, neppure contestate dagli appellanti, operando un rinvio all’evoluzione normativa della posizione di garanzia che assume il committente e ricostruendo quella dei due imputati alla luce del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 8, secondo cui il committente, nelle varie fasi di progettazione ed esecuzione dell’opera, è tenuto a verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa esecutrice, anche attraverso l’iscrizione alla Camera di Commercio Industria e Artigianato. L’articolo richiamato è applicabile anche ai cantieri, come quello in esame, cc.dd. “sotto soglia”, in cui è impegnata cioè una sola ditta appaltatrice.

Secondo la Corte d’appello, tale dovere deve esplicarsi non solo nella fase della scelta dell’impresa, mediante un controllo di tipo puramente documentale, ma anche nelle successive fasi dell’attivià svolta nel cantiere, a meno di voler confinare il ruolo del committente negli angusti limiti di un controllore “burocrate”, in maniera tuttavia incongruente rispetto alla ratio legis. Per la Corte di merito, tale obbligo deve esercitarsi in concreto, in relazione alla tipologia dell’opera e investire, pertanto, anche la capacità dell’impresa ad apprestare le opere provvisionali necessarie in un cantiere edile di dimensioni non certamente limitatissime.

A fronte di una simile posizione di garanzia, fonte di specifici doveri di salvaguardia, nel caso concreto era emersa l’inadeguatezza, anche sotto il profilo strettamente dimensionale, dell’impresa.

Quanto alla ricostruzione degli elementi di fatto della fattispecie, il giudice del gravame ha operato un rinvio al coacervo probatorio analizzato dal Tribunale (verbale di accertamenti urgenti, documentazione fotografica, consulenze tecniche del P.M. e della difesa, verbali di s.i.t., dichiarazioni ex art. 210 cod. proc. pen. di RU.Mi. e RU.Ro.), quanto alla cause del decesso della vittima, alla dinamica dell’infortunio mortale, neppure contestata dagli appellanti, e al ruolo svolto dall’ E..

Ha così ritenuto accertate le seguenti decisive circostanze:

1) il V. era precipitato da una delle mensole, poste al secondo piano della struttura già eretta, intento a lavorare in completa assenza di protezione sull’aggetto;

1) l’opera non poteva essere considerata di minima entità, implicando la costruzione di un edificio di ben tre piani;

2) la ditta appaltatrice era inadeguata sotto il profilo dimensionale sulla scorta del raffronto tra il dato immediatamente rilevabile dal cartello affisso presso il cantiere (che indicava una forza lavoro media di tre operai) e quanto riscontrato dall’ispettore ASL il giorno del decesso del V. (allorchè erano al lavoro ben sette operai, di cui uno solo in regola);

3) al momento del decesso mancava nel cantiere qualsivoglia dotazione di sicurezza, non era stato adottato il P.O.S., nè allestite le opere provvisionali e le dotazioni di sicurezza normativamente previste, come caschi, cinture di sicurezza, ponteggi e protezioni per evitare le cadute dall’alto (ciò sulla scorta del verbale ispettivo A.S.L. e della relazione del consulente del Pubblico Ministero);

4) in particolare, quanto alla violazione degli obblighi da parte del datore di lavoro, oggetto a loro volta dell’obbligo di verifica in capo ai committenti, era stata dimostrata l’omessa valutazione dei rischi misura generale prevista dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3, lett. a), riconducibile all’obbligo di redazione del P.O.S. in base al disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 9 (oggi D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 96) e l’omessa predisposizione delle misure di tutela di cui alle lett. c) ed e) dell’art. 3 citato (il tutto come da documentazione fotografica, relazione del consulente del Pubblico Ministero e dichiarazioni rese da costui all’udienza del giorno 01/10/2012);

5) tali carenze erano rilevabili dalla committenza, trattandosi di cantiere in atto da tempo, che aveva ripreso l’attività, dopo una sospensione, e nel quale doveva procedersi alla “tompagnatura” interna ed esterna degli immobili (lavoro che, riguardando una costruzione a più piani, avrebbe aumentato il rischio di caduta dall’alto, contemplando attività da svolgersi in zone immediatamente prospicienti il vuoto);

6) l’ E. era solito portare il caffè in cantiere tutti i giorni (sul punto, il giudice d’appello ha richiamato alla pag. 3 della sentenza impugnata l’osservazione difensiva formulata con il gravame a proposito delle dichiarazioni in tal senso rese dal coimputato RU.Mi., sentito ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen.: secondo la difesa, infatti, tali dichiarazioni riguarderebbero solo la prima fase dei lavori, in virtù del fatto che la seconda fase era iniziata qualche giorno pirma dell’incidente e che il RU. aveva affermato di essere stato in cantiere solo la mattina, perchè nel pomeriggio si era sottoposto a delle terapie);

7) non erano stati attivati i poteri di inibizione dell’inizio/prosecuzione dei lavori, a fronte delle macroscopiche carenze di cui sopra;

8) la totale assenza di opere di protezione, atte ad evitare la caduta dei lavoratori dall’alto, aveva confermato l’esistenza di una macroscopica fonte di pericolo, strettamente connessa al tipo di attività da compiersi in esecuzione della seconda fase dei lavori.

Sempre con riferimento agli elementi di fatto che hanno sorretto la decisione censurata, va pure richiamata la conclusione per la quale tra le parti erano stati stipulati due distinti contratti verbali di appalto.

Tale assunto è fondato sulle stesse affermazioni fatte dal consulente della difesa nel proprio elaborato. Costui aveva distinto cronologicamente i lavori in due diverse fasi: la prima, iniziata nel 2006 e ultimata nel marzo/aprile 2007; la seconda, avente ad oggetto la realizzazione della “tompagnatura”, iniziata il 15/06/2007, dopo circa tre mesi, quindi, dall’ultimazione della precedente. Il contratto d’appalto era stato stipulato solo verbalmente tra le parti ed aveva contemplato unicamente la prima delle due fasi (quella, cioè, concernente l’erezione della struttura portante dell’edificio). Da ciò quel giudice ha ricavato – come logica, quanto ineluttabile conseguenza – che la ripresa dei lavori non avrebbe potuto prescindere da un nuovo accordo delle parti, sia sull’inizio dei lavori, che sulle loro concrete modalità, il che vale quanto affermare che fra le stesse sopravvenne un nuovo contratto di appalto verbale prima della ripresa dei lavori avvenuta il 15/06/2007.

Infine, stante il rinvio agli elementi di prova esposti nella sentenza di primo grado, deve pure ritenersi accertato, in base alle richiamate deposizioni di RU.Ro. e RU.Mi., che i lavori di “tompagnatura” (quelli cioè relativi alla seconda fase) furono iniziati proprio su sollecitazione dell’ E. (cfr.

pag. 10 della sentenza di primo grado).

In definitiva, per il giudice d’appello, l’omissione del controllo e la mancata adozione dei provvedimenti inibitori da parte dei committenti, a fronte delle macroscopiche inadeguatezze della ditta e delle vistose irregolarità del cantiere, hanno costituito condotte colpose causalmente collegate all’evento morte, e ciò al di là della insussistenza dell’obbligo di nominare un coordinatore di sicurezza o della mancata ingerenza nell’attività dell’appaltatore, su cui ha insistito parte appellante, perdendo centralità per la Corte di merito anche la questione relativa alla presenza o meno dell’ E. sul cantiere il giorno dell’infortunio mortale o nei giorni ad esso antecedenti, non potendosi neppure seriamente dubitare che gli imputati fossero al corrente della ripresa dei lavori e della tipologia delle opere da eseguirsi.

3. Lo sforzo difensivo degli imputati si è incentrato, sin dai motivi del gravame, sulla negazione dell’esistenza di una posizione di garanzia degli imputati, n.q. di committenti dell’opera, concorrente con quella del datore di lavoro e sulla contestazione della insufficienza della verifica condotta sulla idoneità tecnico-

professionale dell’impresa appaltatrice prescelta.

In particolare, quanto all’imputata R., la difesa ha opposto al ragionamento condotto dalla Corte d’appello l’assunto secondo cui tale obbligo si risolverebbe in un adempimento di tipo documentale, nel caso di specie puntualmente effettuato, senza ricomprendere un controllo di tipo allargato, delineato dal giudice del gravame sulla scorta di un precetto non rinvenibile nella norma applicata, avuto riguardo alla presenza nel cantiere di un’unica impresa (c.d.

cantiere “sotto soglia”).

Tale diversa ridotta ampiezza della portata precettiva della norma, sarebbe avvalorata dalla mancata previsione di un obbligo di nomina dei coordinatori di progettazione ed esecuzione dei lavori nei cantieri con un’unica impresa, laddove il più ampio dovere di verifica non potrebbe ricavarsi da un generale ed astratto obbligo di tutela come descritto dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3, trasfuso nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 15, poichè trattasi di norma priva di contenuto precettivo e sanzionatorio e dei connotati propri della finalità cautelare, con carattere meramente descrittivo delle misure generali di tutela.

Si è poi contestata la violazione dell’ulteriore obbligo di controllo ed intervento, secondo le norme di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 2 e 3, rilevandosi che i lavori iniziarono nel novembre 2006, proseguendo sino al successivo marzo 2007, allorchè furono sospesi per ragioni amministrative, riprendendo 5 giorni prima dell’evento mortale (esattamente il 15/06/2007) e che sarebbe stato necessario dimostrare la sussistenza di specifici presupposti per fondare l’addebito di responsabilità (conoscenza della ripresa dei lavori, presenza della R. in cantiere, conoscenza della violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, assunzione di una posizione di garanzia di fatto), al contrario mai provati, poichè lo stesso direttore dei lavori, in un separato giudizio civile, aveva affermato di essere stato all’oscuro della ripresa di essi e di non avere riscontrato alcuna violazione delle norme di cui sopra sino al marzo 2007.

La parte ha obiettato che la responsabilità della R. come committente sarebbe dipesa dalla sola circostanza di essere la stessa firmataria del contratto e proprietaria dell’immobile, senza che costei abbia svolto, di fatto, alcuna incombenza riconducibile alla sua qualità: l’impresa non la conosceva, avendo trattato solo con l’ E.; fu costui ad effettuare i pagamenti, come documentalmente provato; la R. non si recò mai in cantiere, nè mai svolse attività con esso pertinenti; la stessa Corte, infine, ha evidenziato la presenza dell’ E. in cantiere, ignorando del tutto la R. (cfr. pagg. 9 e 10 del ricorso proposto nell’interesse dell’imputata R.).

Dal punto di vista strettamente motivazionale, poi, le censure dedotte con il secondo motivo si focalizzano sulla descrizione degli obblighi che si assumono violati, sulla esaustività degli adempimenti documentali, sulla ragione per cui le attività –

comunque approntate dal committente – erano state ritenute inidonee, ancorchè la norma di cui all’art. 3 comma 8 citata non specifichi il significato della “verifica di idoneità”.

Si è pure sottolineata la contraddizione insita nel ragionamento condotto dal giudice d’appello il quale, dopo aver ritenuto esistente la violazione dell’obbligo di verifica di cui sopra, ha attribuito rilievo all’obbligo di controllo e governo delle fonti di pericolo, inferendo la consapevolezza delle trasgressioni del datore di lavoro sulla scorta di due fatti (lo svolgimento dei lavori in due distinte fasi, a causa della sospensione, e la previsione nel contratto d’appalto della sola prima fase di costruzione della struttura portante), alla luce dei quali risulterebbe dimostrato che la ripresa dei lavori il 15/06/07 era stata concordata con la committenza e che, quindi, era stato sostanzialmente concluso un nuovo contratto di appalto.

A tali argomenti la difesa dei due imputati ha aggiunto ulteriori osservazioni, rilevando che al committente può attribuirsi solo un ruolo di super controllo, consistente nella verifica che il coordinatore adempia agli obblighi su di esso incombenti, senza però che in tale obbligo possa ricondursi anche un dovere di verifica e controllo sull’impresa esecutrice, esercitabile attraverso poteri di inibizione e/o sospensione e addirittura di imposizione di tempi e modalità di allestimento delle misure prevenzionali mancanti.

Si è così osservato che, nel caso all’esame, trattandosi di un cantiere “sotto soglia”, non era stato nominato un coordinatore, ma i committenti avevano di fatto delegato la verifica tecnico-

professionale dell’impresa al direttore dei lavori, come chiarito anche dal C.T.U. B.. Cosicchè, dalla prospettiva soggettiva dei committenti, era logico aspettarsi che misure prevenzionali analoghe a quelle approntate nella prima fase dei lavori, sarebbero state realizzate anche per la seconda, per la quale non si era neppure perfezionato l’accordo sui prezzi ed i materiali, con conseguente ignoranza da parte dei committenti dell’avvenuta ripresa dei lavori. La difesa ha obiettato che nessun elemento dimostrerebbe l’avvenuta stipula di un secondo contratto e che, anche a voler ritenere raggiunto detto accordo, esso non dimostrerebbe la conoscenza della ripresa dei lavori in capo ai committenti.

Infine, si è rilevato che la corretta individuazione dei poteri esercitabili da parte dei committenti sminuisce la valenza probatoria che la sentenza attribuisce al c.d. giudizio controffattuale svolto per collegare all’evento la condotta di omessa attivazione dei poteri di inibizione dell’inizio/prosecuzione dei lavori.

Con specifico riferimento, poi, alla presunta consapevolezza degli imputati in ordine alla ripresa dei lavori, la difesa ha rilevato che i committenti non avrebbero potuto ingerirsi sino al punto di sindacare la predisposizione delle opere provvisionali e/o di protezione per la salute e la sicurezza dei lavoratori, a maggior ragione nel caso all’esame in cui l’impresa era unitaria ed incombeva solo ad essa garantire la sicurezza del cantiere, salva la dimostrazione che i committenti avessero assunto un ruolo attivo nella conduzione e realizzazione dell’opera, mediante direttive e/o istruzioni incidenti sull’organizzazione del cantiere, ruolo però mai dimostrato nel processo.

3.1. Le argomentazioni svolte con le memorie successivamente depositate contribuiscono ad arricchire i già articolati rilievi mossi al percorso logico-argomentativo, attraverso il quale il giudice del gravame ha ritenuto di individuare una violazione degli obblighi di controllo e inibizione da parte degli imputati committenti, osservandosi da parte ricorrente, anche attraverso il richiamo alla giurisprudenza recente di questa sezione, che il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di appalto o esecuzione d’opera, incombe tanto in capo al datore di lavoro che al committente, ma su quest’ultimo esso non si configura automaticamente, non potendosi esigere un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori.

Si è ribadito, quanto alla seconda fase dei lavori, che i committenti non avevano autorizzato la “tompagnatura” dell’opera, ciò essendo stato apoditticamente affermato, con travisamento di una circostanza di fatto, il che spiegherebbe ovvi riflessi anche sotto il profilo dell’accertamento dell’ingerenza nella esecuzione dei lavori, poichè solo la prova certa che i committenti sapessero della ripresa dei lavori e che in cantiere non erano state allestite le opere provvisionali a tutela dei lavoratori potrebbe fondare l’addebito e giustificare la presunta percezione della situazione di pericolo.

Quanto all’ulteriore profilo segnalato dalla difesa nella memoria depositata nell’interesse di entrambi gli imputati il 03/02/2016, con la quale è stato pure allegato uno stralcio della relazione di consulenza tecnica di parte, si è rilevato che la circostanza che l’infortunio si fosse verificato ai danni di un lavoratore non regolarmente assunto, da ritenersi perciò privo di formazione e informazione sull’attività da espletare, era stata ignorata dal giudice del gravame, trattandosi invece di situazione che costituisce rimprovero imputabile solo al datore di lavoro e non gestibile e/o prevenibile da parte dei ricorrenti.

4. La valutazione di questa Corte deve essere preceduta da alcune precisazioni preliminari.

Gli imputati sono stati chiamati a rispondere del reato loro contestato per colpa generica e per colpa specifica, individuata quest’ultima nella violazione delle norme anti infortunistiche riconducibili alla qualità di committenti privati di un’opera edile, per la cui esecuzione era stato allestito un cantiere che vedeva impegnata una sola ditta (cantiere c.d. sotto soglia), senza obbligo, quindi, per il committente di nominare un coordinatore per la progettazione e un coordinatore per la esecuzione dei lavori.

Quanto alla cornice normativa nella quale è inquadrata la posizione di garanzia riconosciuta in capo ai committenti, la Corte d’appello, dato atto della intervenuta abrogazione del D.Lgs. n. 494 del 1996 a seguito dell’introduzione del T.U. di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, nel quale le norme del primo sono state sostanzialmente trasfuse, ha ritenuto esistente una continuità normativa tra la disposizione di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 8 e il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, dando altresì atto del rinvio che lo stesso D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3 comma 1 opera alle misure generali di tutela di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3 (oggi trasfuse nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 15 cui rinvia l’art. 90 citato).

4.1. Il caso all’esame pone, quindi, il preliminare problema di ricostruire esattamente lo statuto della committenza non qualificata, come quella che qui interessa, rispetto al quale pare utile svolgere alcune puntualizzazioni rispetto alla ricostruzione che il giudice del gravame ha fatto della evoluzione normativa della posizione di garanzia facente capo al committente privato di opere edilizie.

La figura del committente dei lavori ha trovato esplicito riconoscimento solo con il D.Lgs. n. 494 del 1996, con il quale si è data attuazione alla direttiva 92/57/CEE, concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili.

Prima di esso nè il D.P.R. n. 547 del 1955, nè i successivi D.P.R. n. 164 del 1956, D.P.R. n. 302 del 1956 e D.P.R. n. 303 del 1956 menzionavano siffatto ruolo. Neppure il D.Lgs. n. 626 del 1994, vera e propria mappa dei principi del diritto prevenzionistico, nel definire le diverse posizioni soggettive (datore di lavoro, ecc.) menzionava il committente. L’unica norma che delineava un rapporto di affidamento di lavori, l’art. 7 del citato decreto 626, faceva riferimento però ad una figura particolare, quella del datore di lavoro/committente (colui, cioè, che affida i “lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonchè nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima”), essenzialmente pensato allo scopo di far fronte al rischio cd.

interferenziale, ovvero quel rischio che si determina per il solo fatto della coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi.

Tali doveri, però, non si riferivano al committente privato, non imprenditore, che avesse appaltato lavori edili a terzi.

Si escludeva, pertanto, che il committente potesse rispondere delle inadempienze prevenzionistiche verificatesi nell’approntamento del cantiere e nell’esecuzione dei lavori, delle quali rispondeva il solo datore di lavoro appaltatore.

Una responsabilità concorrente del committente veniva ravvisata in sostanza quando questi travalicava tale ruolo, assumendo di fatto posizione direttiva, vuoi perchè si ingeriva nell’esecuzione dei lavori o perchè datore di lavoro di fatto; vuoi perchè i lavori erano stati eseguiti dall’appaltatore senza autonomia tecnica, con l’apprestamento da parte del committente delle apparecchiature di lavoro. In caso di appalto, quindi, l’osservanza delle norme antinfortunistiche incombeva all’imprenditore, titolare dell’organizzazione del cantiere e datore di lavoro di quanti vi operano.

Il committente, invece, salvo contrario accordo contenuto nel contratto di appalto, non aveva il diritto e tanto meno il dovere di intervenire o, comunque, ingerirsi in tale organizzazione dell’impresa con le logiche conseguenze sul piano sanzionatorio, nel senso che egli non rivestiva una autonoma posizione di garanzia a tutela della salute e della vita dei lavoratori dipendenti dal soggetto appaltatore, salvo che avesse in concreto assunto una diversa posizione, e ciò in ragione del principio di effettività, da sempre riconosciuto valido nella materia in esame (vedi, per la ricognizione dei principi sin qui esposti, Sez. 4 n. 44131 del 15/07/2015, Heqimi e altri).

Nella sentenza testè richiamata si dà, tuttavia, conto del progressivo affinamento della riflessione in materia, grazie al quale si è pervenuti ad individuare, accanto all’ingerenza e all’assunzione di una posizione direttiva, una ulteriore fonte di doveri, ovvero il potere di governo della fonte di pericolo: “In materia di omicidio colposo per infortunio sul lavoro, il committente è corresponsabile con l’appaltatore o col direttore dei lavori, qualora l’evento si colleghi causalmente anche alla sua colposa azione od omissione. Ciò avviene sia quando egli abbia dato precise direttive o progetti da realizzare e le une e gli altri siano già essi stessi fonte di pericolo ovvero quando egli abbia commissionato o consentito l’inizio dei lavori, pur in presenza di situazioni di fatto parimenti pericolose. Il margine più o meno ampio di discrezionalità eventualmente conferito ai soggetti innanzi indicati (appaltatore e direttore dei lavori) non esclude di per sè la sua colpa concorrente sotto il profilo eziologico”.

Il quadro giuridico di riferimento, quindi, è mutato con il D.Lgs. n. 494 del 1996, poichè la figura del committente ha trovato in quello strumento normativo una espressa definizione art. 2, comma 1, lett. b), così come vi hanno trovato esplicitazione gli obblighi sullo stesso incombenti (art. 3). Il committente (o il responsabile dei lavori), nella fase di progettazione dell’opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell’esecuzione del progetto e nell’organizzazione delle operazioni di cantiere, si attiene ai principi e alle misure generali di tutela di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3; determina altresì, al fine di permettere la pianificazione dell’esecuzione in condizioni di sicurezza, dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, la durata di tali lavori o fasi di lavoro.

Nella fase di progettazione esecutiva dell’opera, valuta attentamente, ogni qualvolta ciò risulti necessario, i documenti di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) e b), ovvero il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 e il piano generale di sicurezza di cui all’art. 13 (la cui redazione grava sul coordinatore per la progettazione), nonchè il fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e protezione dai rischi, ai quali sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica e dell’allegato II al documento U.E. 260/5/93.

Inoltre, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione esecutiva, in alcuni casi specifici, designa il coordinatore per la progettazione.

All’esito di tale ricognizione normativa, pertanto, può affermarsi che la figura del committente, in passato titolare di una posizione di garanzia ancorata – in base al principio dell’effettività – ad una ingerenza in concreto nell’attività dell’appaltatore/datore di lavoro, dal D.Lgs. n. 494 del 1996 in avanti è figura espressamente contemplata dalla normativa di settore, come tale fonte di obblighi di controllo e di intervento, diversamente declinati in base alle dimensioni e alla tipologia del cantiere. Il committente, soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia l’opera, è quindi titolare ex lege di una posizione di garanzia che integra quella di altre figure di garanti legali, tanto da poter anche designare formalmente un responsabile dei lavori, con compiti di tipo decisionale e gestionale, con esonero, nei limiti dell’incarico conferito, dalle responsabilità (Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013, Rv. 256635).

L’individuazione di tale peculiare figura è del resto coerente con la complessiva configurazione del sistema di protezione di cui si parla, che tende a collegare la responsabilità penale al ruolo esercitato da alcune figure che di regola intervengono nell’ambito delle attività lavorative. Tale ruolo giustifica, quindi, l’attribuzione di una sfera di responsabilità per ciò che riguarda la sicurezza che si sostanzia nella previsione di alcuni obblighi sia nella fase progettuale che in quella esecutiva, destinati ad interagire e ad integrarsi con quelli delle altre figure di garanti legali. La normativa, peraltro, prevede ragionevolmente la possibilità che il committente non possa o non voglia gestire in proprio tale ruolo e, a tal fine, come già ricordato, gli è consentito designare un responsabile dei lavori (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 2, oggi D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89) che può essere incaricato dal committente, secondo la previgente disciplina, “ai fini della progettazione o della esecuzione o del controllo dell’esecuzione dell’opera”, secondo l’art. 89 citato “per svolgere i compiti ad esso attribuiti” dallo stesso decreto 81/2008.

La giurisprudenza di questa Corte, per lo più intervenendo in situazioni di contemporanea presenza nel cantiere di più imprese (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 3) ha avuto modo di precisare che il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell’infortunio subito dal lavoratore qualora l’evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l’inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (Sez. 4 n. 10608 del 04/12/2012 Ud. (dep. 07/03/2013), Rv. 255282, proprio con riferimento ad un caso di inizio dei lavori nonostante l’omesso allestimento di idoneo ponteggio). Egli è, pertanto, esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine, ma non anche nel caso in cui abbia omesso di attivarsi per prevenire un generico rischio di caduta, immediatamente percepibile Sez. 4 n. 1511 del 28/11/2013 Ud.

(dep. 15/01/2014), Rv. 259086, con riferimento al rischio di caduta di operai che lavoravano su un cornicione, la cui instabilità risultava peraltro ben nota all’imputato; conf. Sez. 3 n. 12228 del 25/02/2015 Ud. (dep. 24/03/2015), Rv. 262757, in un caso in cui il committente aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall’alto di un operaio operante su un lucernaio.

Tale controllo, a differenza di quanto si sostiene in ricorso, non è di natura meramente formale, ma implica una effettiva e ragionata verifica circa le soluzioni adottate come è dimostrato dal fatto che il committente, ove non sia in condizione o non voglia assumere direttamente tale ruolo, può nominare un responsabile dei lavori sul quale trasferire la responsabilità nei limiti dell’incarico e dei poteri conferiti cfr. in motivazione Sez. 4 n. 51190 del 10/11/2015 Ud. (dep. 30/12/2015).

Così ricostruito il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d’opera, tanto in capo al datore di lavoro (di regola l’appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), che al committente, questa sezione ha però avvertito la necessità che tale principio non conosca una applicazione automatica, “…non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori” (Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012, Rv. 252672).

Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, “…occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonchè alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo” (Sez. 4, n. 3563 del 2012 citata).

Il che presuppone, quindi, un attento esame della situazione fattuale: diverso è, evidentemente, il caso in cui il committente affidi in appalto lavori relativi ad un complesso aziendale di cui sia titolare, da quello di chi dia incarico ad un’impresa di ristrutturare o costruire un immobile (come nel caso in esame); rilevanti devono considerarsi i criteri seguiti dal committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera (quale soggetto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge e della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa); fondamentale è poi l’accertamento di situazioni di pericolo così evidenti e macroscopiche da non poter essere ignorate da un committente sovente presente in cantiere. 4.2. La difesa – nell’individuare i poteri di controllo e verifica incombenti sul committente – ha sottolineato la specificità della presente situazione, caratterizzata dall’affidamento dei lavori ad un’unica impresa e dalla non perfetta sovrapponibilità delle norme di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 8 e al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, la seconda avendo delimitato detti poteri, mediante l’espunzione della locuzione “anche” dal testo normativo, non prevedendo che il committente “chieda” alla ditta la documentazione di cui alle lett. a) e b), ma considerando soddisfatto l’obbligo di verifica attraverso la “presentazione” della documentazione in questione. Sul punto, deve rilevarsi che il D.Lgs. n. 495 del 1996, art. 3, comma 1, richiama il committente ad attenersi ai principi e alle misure generali di tutela di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3 e che, parallelamente, il comma 9, lett. a) dell’art. 90 citato prevede, in adempimento dell’obbligo di verifica da parte del committente, la presentazione, da parte del datore di lavoro, del certificato d’iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarità contributiva, corredato però dalla autocertificazione sul possesso degli altri requisiti di cui all’allegato XVII. Il citato allegato riguarda, per l’appunto, l’idoneità tecnico professionale dell’impresa e contiene un espresso richiamo alla documentazione minima che il datore di lavoro deve esibire al committente o al responsabile dei lavori, ove nominato. Vi figurano, oltre alla iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, anche il documento di valutazione dei rischi (lett. b), la specifica documentazione attestante la conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo, di macchine, attrezzature e opere provvisionali (lett. c), l’elenco dei dispositivi di protezione individuali forniti ai lavoratori (lett. d), la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e delle altre figure preposte alla prevenzione dei rischi nel cantiere (lett. e), gli attestati inerenti la formazione (lett. g), oltre all’elenco dei lavoratori e al documento unico di regolarità contributiva (lett. h e i). E’ evidente che l’intento del legislatore è stato quello di descrivere in maniera sufficientemente precisa il contenuto della verifica dell’idoneità tecnico-professionale dell’impresa da parte del committente, ma la portata di tale delimitazione non rimanda agli angusti ambiti entro cui le difese hanno inteso confinare il dovere incombente sul committente. Il controllo da esercitarsi sulla scorta della esibizione di tale documentazione, infatti, è sempre strettamente collegato alla realizzazione della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Ove così non fosse, non si comprenderebbe la ragione per cui il legislatore ha imposto il trasferimento di una tale mole di informazioni dal datore di lavoro al committente. Trattasi di dati che consentono al committente di svolgere un vaglio consapevole della idoneità della impresa prescelta, tenuto conto della natura e delle dimensioni dell’opera e dei tempi di realizzazione della stessa, dovendosi egli comunque attenere alle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, come elencate nel D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3 (e oggi recepite nell’art. 15 del T.U. 81/2008). L’obbligo di verifica documentale circa l’idoneità tecnico professionale della ditta prescelta non esaurisce, pertanto, come correttamente rilevato dal giudice del gravame e confermato dalle pronunce di legittimità sopra richiamate, i doveri di controllo cui è chiamato il committente rispetto al datore di lavoro. 5. Nel caso in esame, i numerosi elementi fattuali esposti nelle sentenze di merito sono stati correttamente utilizzati al fine di definire in concreto la posizione di garanzia, previamente individuata dalla norma. 5.1. Preliminarmente è doverosa una premessa di metodo, con riferimento alla valutazione di tali elementi e circostanze di fatto: lo scrutinio del giudice di legittimità, calibrato sulla scorta dei motivi di ricorso, può riguardare tanto la conformità della sentenza al dettato normativo di riferimento, che l’apparato argomentativo della stessa ai fini della verifica della sua esistenza non meramente apparente, e dell’insussistenza di profili di illogicità, contraddittorietà o incoerenza rispetto agli elementi di prova utilizzati. Restano, invece, “…precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito” (cfr. Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099). La motivazione del giudice del gravame in ordine alla ricostruzione delle cause del decesso, della dinamica del sinistro e di tutti gli elementi esposti ai punti da 1) a 8) dell’elenco di cui al 2 è congrua, non contraddittoria, logica e del tutto coerente con le risultanze probatorie esposte nelle due sentenze di merito, cosicchè le censure difensive che riguardano tali elementi di giudizio sono inammissibili, non potendo questo giudice sostituire a tale valutazione, immune da vizi, una propria rilettura di tali elementi probatori. Ciò vale soprattutto per l’accertamento secondo cui tra le parti furono stipulati due distinti contratti di appalto, entrambi verbalmente conclusi, argomento che, come vedremo, assume rilievo centrale nella ricostruzione della posizione di garanzia differenziata in capo ai due imputati: la motivazione della sentenza impugnata sul punto specifico si sottrae alle censure difensive, essendo fondata su elementi fattuali certi, tra cui le stesse affermazioni del consulente della difesa, oltre che sulla natura dei lavori da eseguire, tali da far apparirie assolutamente illogico che essi siano ripresi all’insaputa del committente e senza la previa rinegoziazione delle condizioni del contratto. Sul punto, va pure richiamato quanto esposto nella sentenza di primo grado a proposito delle deposizioni di RU.Ro. e RU.Mi., secondo cui i lavori di “tompagnatura” (quelli cioè relativi alla seconda fase) furono iniziati proprio su sollecitazione dell’ E.. 5.2. Quanto alle censure in diritto, le stesse sono altrettanto infondate. La Corte del merito ha correttamente ricostruito la condotta colposa del committente E., sia con riferimento alla scelta della ditta appaltatrice, tenuto conto degli obblighi di verifica imposti dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 8, che sulla scorta dell’omesso controllo dell’adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro, nel caso di specie totalmente omesse. Tali misure non devono essere approntate dal committente, rientrando certamente nel novero degli obblighi propri del datore di lavoro, ma la loro concreta adozione da p
arte di costui deve essere verificata e, in caso di accertata omissione, pretesa dal committente. In tale prospettiva, del tutto correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che le capacità tecniche ed organizzative della ditta appaltatrice apparissero del tutto inadeguate alla tipologia dei lavori commissionati: la ditta era sottodimensionata rispetto all’entità dell’opera che prevedeva la “tompagnatura” di una struttura già eretta di ben tre piani di altezza; la ditta del RU., al momento del decesso, stava impiegando la quasi totalità di operai in nero e l’opera richiedeva l’impiego di una forza lavoro superiore rispetto a quella formalmente indicata; il cantiere era del tutto privo dei minimi presidi di sicurezza e la ditta non aveva neppure adottato il documento di valutazione dei rischi e il P.O.S. Tali circostanze erano immediatamente percepibili dal committente E., in quanto soggetto solito frequentare giornalmente il cantiere e che, soprattutto, aveva sollecitato e negoziato l’esecuzione dei lavori oggetto del secondo accordo verbale. Giova, altresì, ricordare che neppure era stato adempiuto l’obbligo, sempre stabilito dall’art. 3, comma 1, a carico di tutti i committenti, di prevedere nel progetto la durata dei lavori e delle varie fasi di essi, obbligo che, proprio per le modalità che in concreto hanno caratterizzato la presente fattispecie – con la suddivisione dei lavori in due fasi distinte – ha assunto una evidente efficacia causale rispetto all’evento. Tale adempimento è oggi declinato nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, comma 1, lett. a) e b). La riscontrata inadeguatezza dimensionale dell’impresa con impiego di lavoratori irregolari, a fronte della entità e tipologia dell’opera in esecuzione, in uno con le macroscopiche irregolarità del cantiere, palesemente ed immediatamente evidenti, imponevano l’esercizio dei poteri di inibizione propri del committente, la cui attivazione avrebbe pertanto scongiurato l’evento verificatosi proprio a causa di tali inadeguatezze ed inadempienze. A fronte di tale situazione, nessun pregio può riconoscersi alla osservazione difensiva, secondo cui l’impiego di forza lavoro non regolare sarebbe stato ignorato dal giudice del gravame: la censura, lungi dall’indebolire l’apparato argomentativo della sentenza, finisce con il rafforzarlo, atteso che la riscontrata presenza di lavoratori “in nero” è speculare alla accertata inadeguatezza della forza lavoro regolare dell’impresa, come sottolineato dalla Corte d’appello alla pag. 7 della sentenza impugnata. Parimenti dicasi per la mancata adozione del P.O.S. e per la mancata predisposizione delle opere provvisionali e di qualsivoglia dotazione di sicurezza: il committente, infatti, deve prendere in considerazione l’adozione di tali misure sin dalla fase di progettazione dell’opera, soprattutto ove si consideri – come bene ha fatto il giudice d’appello – la natura del rischio all’esame, quello cioè della caduta dall’alto, immediatamente percepibile e oggetto di un potere di controllo del tutto generico e, quindi, tanto più esigibile da un committente presente in cantiere che neppure ha inteso nominare un responsabile dei lavori (sul punto, cfr. pag. 8 della sentenza di primo grado). 5.3. Così inteso, l’obbligo di verifica riconducibile al committente non si è tradotto in un inammissibile dovere di controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, che la legge non individua, nè in un rimprovero per la violazione di obblighi che fanno capo ad altra figura di garante legale. Esso è stato delimitato e calibrato in base alla capacità di governo della fonte di pericolo da parte del soggetto portatore dell’interesse primario alla realizzazione dell’opera, che ha messo cioè in moto l’attività in cui si è concretizzata l’esposizione a rischio della vittima. Ed infatti, anche se l’inidoneità dell’impresa non può farsi discendere dal solo fatto dell’avvenuto infortunio, questa sezione ha già chiarito che “…il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare l’idoneità tecnico – professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati…”, pur essendosi precisato, con riferimento alla verifica di una culpa in eligendo, che essa deve formare oggetto di specifica motivazione da parte del giudice (Sez. 4 n. 44131 del 2015 citata), onere assolto, nel caso di specie, dalla Corte napoletana. Il dovere di intervento del committente è stato infatti ricondotto alla posizione di garanzia dal medesimo assunta nel contesto del rischio connaturato alla esecuzione dell’opera appaltata. Egli doveva verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa, verifica che, nel caso di specie, andava cronologicamente collegata non solo alla scelta iniziale della ditta RU., ma anche alla conferma della stessa nella fase successiva dei lavori, nel corso della quale si verificò il tragico evento. Tale controllo non poteva esaurirsi, come vorrebbe la difesa, nella mera presa d’atto formale dei documenti esibiti (all’inizio dei lavori) dalla ditta appaltatrice, in un’ottica dunque di disincentivazione dell’impiego di manodopera in nero, essendo esso finalizzato alla realizzazione dello scopo primario della norma, in base ai principi e alle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, cui rinvia il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3 (e, oggi, anche il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90 mediante il richiamo all’art. 15 dello stesso decreto). Il committente, quale quello che, come nel caso di specie, affidi i lavori ad un’unica impresa, concorre, in definitiva, unitamente alle altre figure di garanti legalmente individuati, ognuno con precisi doveri, differentemente declinati dal legislatore, alla gestione del rischio connesso alla realizzazione di un’opera che ha specifiche caratteristiche ed è a lui riconducibile direttamente, in quanto ideatore, progettatore e finanziatore e, pertanto, vero dominus di essa, titolare di poteri di inibizione, la mancata attivazione dei quali, nel caso di specie, ha consentito la prosecuzione dei lavori in totale difformità alle norme più elementari poste a presidio dell’incolumità dei lavoratori impegnati nella esecuzione dell’opera stessa, ponendosi in rapporto di causa-effetto con il decesso dell’operaio V.V.. 6. L’inquadramento normativo nei termini che precedono, in uno con gli elementi di fatto valutati dai giudici di merito, non consentono, tuttavia, di ritenere dimostrata anche in capo alla imputata R. la stessa condotta omissiva ravvisata in capo al coimputato E.. Nei confronti di costei nessuno dei giudici di merito ha esposto elementi e circostanze di fatto che la ricolleghino al cantiere e all’attività che vi si svolgeva, diversi dalla formale committenza e dalla titolarità dell’erigendo edificio. Cosicchè, nel suo caso, il rimprovero sulla scelta dell’impresa non potrebbe andare oltre la verifica documentale condotta nella fase iniziale dei lavori, mentre – con riferimento alla seconda fase di essi, quella cioè in cui si verificò l’evento mortale – nel giudizio di merito non è emerso alcun elemento che ricolleghi l’imputata alla stipula del relativo accordo verbale, essendo emerso che esso fu stipulato dal solo E., con la conseguenza che la stessa non ha assunto, almeno rispetto alla fase di lavori interessata dall’evento mortale, alcuna posizione legale di garanzia. A meno di ritenere che essa derivi dalla stipula del primigenio accordo, il che può sostenersi solo in virtù di un inammissibile ragionamento presuntivo. In difetto di elementi che dimostrino che anche la R. ha effettivamente assunto la posizione di garante legale e che dalla stessa poteva esigersi l’attivazione del potere di controllo sulla fonte del rischio, cui ricondurre la condotta omissiva contestata, si impone nei suoi confronti l’annullamento della sentenza senza rinvio con formula assolutoria per non avere commesso il fatto. 7. Al rigetto del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato E.A., invece, segue la condanna dello stesso al pagamento delle spese processual
i e alla rifusione delle spese in favore della parte civile Ra.Ma.Ro. che si stima equo liquidare in Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge, nonchè delle parti civili V.F., V.V. e V.R. che si stima equo liquidare in Euro 4.200,00, comprensivi dell’aumento del 20% per ciascuna oltre la prima, con accessori come per legge.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di R. R. per non aver commesso il fatto.

Rigetta il ricorso di E.A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore della parte civile Ra.Ma.Ro. che liquida in Euro 3000,00, oltre accessori come per legge, nonchè delle parti civili V.F., V.V. e V.R. che liquida in Euro 4.200,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2016

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