www.studiodisa.it

Suprema Corte di Cassazione 

sezione III

sentenza n. 46726  del 3 dicembre 2012

Ritenuto in fatto

Il Tribunale di (omissis), in funzione di giudice del riesame, decidendo sull’appello proposto dall’(omissis.) avverso l’ordinanza del GIP del tribunale di (omissis) in data 30.12.2011, con la quale è stata respinta la richiesta di revoca del sequestro preventivo disposto nei confronti dell’(omissis), con ordinanza in data 3.2.2012, ha rigettato l’appello confermando il provvedimento impugnato.
L’(omissis) è stato indagato, nell’ambito del procedimento penale n. 13607/2010 rgnr. del reato di cui all’art. 10-ter L. 74/2000, perché ometteva di versare all’erario, entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale relativa al 2007, pari ad euro 219.499,00.

Nell’ambito di tale procedimento, in esecuzione del decreto del GIP in data 2.11.2010, è stato eseguito dalla GdF sequestro preventivo sui conti correnti e dossier titoli intestati all’indagato accesi presso vari istituti bancari, per complessivi euro 219.499,00.
Successivamente alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, l’(omissis), avendo provveduto alla sanatoria integrale della propria esposizione debitoria verso l’erario, ha formulato istanza di dissequestro e di restituzione della somma di euro 219.499,00, istanza respinta dal GIP con ordinanza in data 30.12.2011.
Il tribunale, in sede di riesame, ha rilevato che la confisca obbligatoria di cui all’art. 322-ter c.p. cui è funzionale il sequestro preventivo per equivalente, ha per oggetto il profitto del reato, da intendersi come il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato; esso, nel caso di specie, coincide con l’importo dell’IVA evasa, essendo stato contestato all’(omissis) il reato ex art. 10-ter DLgs. 74/00 consistente nel mancato pagamento nei termini dell’IVA.
Dal profitto, coincidente con l’importo dell’imposta evasa, si distingue il lucro che è l’arricchimento concreto verificatosi nel patrimonio del contribuente a seguito del mancato pagamento dell’imposta.
Mentre il lucro può variare a seconda del pagamento, totale o parziale, della somma dovuta a titolo di imposta e viene completamente meno nel caso di integrale versamento, il profitto si cristallizza al momento della consumazione del reato ed è aggredibile con la confisca per equivalente.
La distinzione spiega, ad avviso dei giudici del riesame, anche le diverse conseguenze sul piano penale ed amministrativo-tributario del pagamento tardivo dell’imposta: esso determina l’estinzione dell’obbligazione tributaria ma non ha alcuna rilevanza sul piano penale, rimanendo in vita il reato.
Ha rilievo solo ai fini del riconoscimento dell’attenuante speciale prevista dal DLgs. 74/2000 e al fine di accedere al rito speciale dell’atteggiamento, secondo la recente modifica introdotta.
Quindi, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca, anche a seguito della sanatoria dal medesimo effettuata, non realizza alcuna duplicazione di sanzioni, posto che il pagamento delle somme evase ha funzione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione finanziaria, mentre la confisca, cui è funzionale il sequestro per equivalente ex art. 322-ter c.p., ha funzione sanzionatoria.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame reiettiva dell’appello proposto contro il provvedimento del GIP di diniego del dissequestro, l’(omissis) ha proposto ricorso per Cassazione denunciando, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. B) c.p.p., che il Tribunale del Riesame ha illegittimamente mantenuto il sequestro preventivo per equivalente nonostante l’intervenuta sanatoria della sua posizione debitoria con l’amministrazione finanziaria, con ciò violando la norma di cui all’art. 322-ter c.p.p. e art. 1 co. 143 L. finanziaria 244/2007, che ha esteso l’istituto della confisca obbligatoria per equivalente ai reati tributari di cui al d.l.vo 10.3.00 n. 74.
E difatti, a giudizio del ricorrente, la sanatoria fiscale ha fatto venire meno lo scopo principale perseguito con la confisca, che è la restituzione all’Erario del profitto del reato.

L’ordinanza impugnata, trascurando questo fondamentale rilievo, ha omesso di valutare l’effettiva natura, funzione e finalità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, determinando un’inammissibile duplicazione sanzionatoria in contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato dal reato.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.
Ad avviso dei giudici del riesame, con la previsione dell’art. 1 comma 143 L. finanziaria 143/07, che ha esteso la confisca per equivalente ex art. 322-ter c.p. anche ai reati tributari di cui al DLgs. 74/000, non si è inteso introdurre uno strumento finalizzato ad assicurare il recupero delle imposte evase (come sostiene il ricorrente), poiché l’agenzia delle Entrate già dispone di poteri di intervento cautelari sui beni del contribuente che si sottrae alla riscossione dei tributi (ipoteca, sequestro conservativo) bensì si è inteso, al fine del rafforzamento degli strumenti penali di contrasto dell’evasione fiscale, introdurre una vera e propria sanzione penale (la confisca anche per equivalente del profitto o prezzo del reato) che si affianca alla pena della reclusione, nei soli casi di violazioni più gravi delle norme tributarie; e difatti l’art. 10-ter DLgs. 74/2000 richiamato ai fini dell’applicazione della confisca, sanziona la condotta del contribuente che, oltre a non aver versato l’IVA a suo debito nei termini previsti dalla normativa tributaria (entro il 16 marzo) ometta di versarla anche nel periodo compreso fra tale data e il 27 dicembre e sempre che il debito erariale superi i 50.000,00 euro.
La circostanza dell’avvenuto versamento all’erario dell’imposta evasa estingue solo l’obbligazione tributaria ma non rileva ai fini dell’estinzione del reato, costituendo solo una circostanza attenuante speciale ove si pervenga all’affermazione di responsabilità dell’imputato.
In tal caso conseguirà di diritto, come sanzione penale accessoria alla pena principale, la confisca del prezzo o profitto del reato, anche per equivalente, a prescindere dalla sanatoria del debito in sede tributaria, sussistendo piena autonomia fra il piano della riscossione dell’imposta in sede amministrativa-tributaria, e quello della sanzione penale irrogabile a titolo di confisca.
La tesi sostenuta dal tribunale del riesame (sulla funzione dell’istituto) in esame non è condivisibile.
Come è noto, nell’ottica di un rafforzamento dei sistemi di contrasto della criminalità finanziaria, attraverso strumenti direttamente incidenti sul patrimonio dei contravventori, il legislatore ha esteso la confisca obbligatoria anche per equivalente prevista dall’art. 332-ter c.p.p. per i reati contro la Pubblica amministrazione anche ai reati tributari contemplati dal d.lvo n. 74/2000 attraverso il rinvio espresso a detta norma operato dall’art. 1 comma 143 legge finanziaria 2008 n. 244/2007.
Essa si realizza mediante lo spostamento della misura reale dal bene costituente profitto o prezzo del reato ad altro bene di valore equivalente nella disponibilità dell’indagato, qualora non sia possibile aggredire il primo per circostanze sopravvenute che ne abbiano determinato la perdita o il trasferimento definitivo.
La misura è subordinata al previo accertamento dell’effettiva esistenza di un bene costituenteprofitto o prezzo del reato.

Momento prodromico di tale misura è il sequestro preventivo per valore, attraverso il quale, con la sottoposizione a vincolo dell’equivalente del profitto del reato, si assicura la futura esecuzione della confisca all’esito dell’accertamento della responsabilità.
Poiché il citato articolo della legge finanziaria dispone un rinvio integrale alle disposizioni di cui all’art. 322-ter c.p., si deve ritenere che per i reati tributari trovi applicazione non solo il primo ma anche il secondo comma dell’art. 322-ter c.p.p., con la conseguenza che il sequestro preventivo funzionale alla confisca può essere disposto non solo per il prezzo ma anche per il profitto del reato (Cass. 7/7/2010 n. 35807, Be. e altri rv 248618), ipotesi, quest’ultima, prevista appunto dal secondo comma della norma codicistica in esame, intendendosi per profitto il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e per prezzo il compenso dato o promesso da una persona come corrispettivo dell’esecuzione del reato.
Controversa è la natura giuridica dell’istituto in esame.
La confisca per equivalente non presenta i caratteri propri della misura di sicurezza della confisca prevista in via generale dall’art. 240 c.p..
Quest’ultimo istituto è una misura di sicurezza patrimoniale che tende a prevenire la commissione di nuovi illeciti mediante l’espropriazione a favore dello stato di cose collegate all’esecuzione del reato, sul presupposto della pericolosità sociale derivante dal protrarsi della loro disponibilità in capo al reo, che potrebbe in qualche modo favorire o amplificare la reiterazione di attività criminose.
Essa ha dunque carattere cautelare ed implica l’esistenza di un asservimento della cosa al reato nel senso che la prima deve essere oggettivamente collegata al reato da un nesso strumentale che riveli effettivamente la possibilità futura del ripetersi dell’azione illecita, permanendo la detenzione della res.
La confisca per equivalente, pur avendo in comune con la misura prevista dall’art. 240 c.p. il carattere ablatorio, traducendosi anch’essa nella privazione di beni materiali, non ha natura cautelare, di prevenzione di futuri reati.
Essa esplica invece una funzione sostanzialmente punitiva come la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire, definendo la confisca per equivalente introdotta dagli art. 322-ter c.p. art. 1 comma 143 legge finanziaria 2008, n. 244/2007, “una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti”, che, in quanto tale, “viene ad assumere un carattere preminentemente sanzionatorio” (Cass. Sez. 5^ 16.1.2004 n. 15445, Na., rv. 228750; Sez. Un. 25.10.2005 n. 41936 rv 232146).
La Corte, nelle citate pronunce, ha ritenuto che, pur tenendosi conto della fisionomia ibrida e polivalente progressivamente assunta nell’evoluzione normativa dell’istituto, per effetto di recenti modifiche legislative (potendo a seconda dei casi fungere da misura di sicurezza, misura di prevenzione e, talora, pena accessoria), alla confisca per equivalente debba riconoscersi una funzione preminentemente sanzionatoria, “in chiave di prevenzione e di strumento strategico di politica criminale, inteso a contrastare fenomeni sistemici di criminalità economica e di criminalità organizzata”.
Così delineata la natura e le finalità dell’istituto in questione, passando allo specifico esame della questione dibattuta, se cioè l’intervenuta sanatoria della posizione tributaria possa determinare il venir meno dei presupposti della confisca e quindi consentire la revoca del sequestro preventivo disposto in funzione della futura esecuzione di tale misura ablativa, si deve rilevare che col versamento dell’imposta evasa viene meno la funzione sanzionatoria della confisca.

Tale finalità si realizza attraverso l’eliminazione dell’ingiustificato arricchimento derivante dalla commissione del reato, impedendo che. attraverso l’impiego dei beni di provenienza delittuosa o del loro equivalente, il colpevole possa assicurarsi quel vantaggio economico che era oggetto specifico del disegno criminoso (Cass. sez. 3^ 1.12.2010 n. 10120 rv 249752).
In tal caso, se venga accertata la responsabilità dell’indagato, alle pene previste per i reati finanziari di cui al DLgs. 74/2000 si aggiunge, quale sanzione accessoria, la confisca di beni di valore equivalente a quello costituente il profitto del reato.
Ma se il reo provvede al pagamento dell’imposta, considerato che il profitto suscettibile di confisca corrisponde all’ammontare dell’imposta evasa, col pagamento viene meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire col provvedimento ablatorio; viene meno la stessa ragione giustificatrice della confisca, da rinvenirsi proprio nella necessità di evitare che il conseguimento dell’indebito profitto del reato si consolidi in capo al reo.
Contrariamente all’assunto dei giudici del riesame, non deve farsi discendere dalla natura di pena accessoria di tale forma di confisca la conclusione che essa debba sempre e comunque trovare applicazione (nel caso di accertamento della responsabilità), anche quando l’indagato abbia provveduto a sanare il suo debito verso l’erario.
La natura prevalentemente sanzionatoria riconosciuta alla confisca per equivalente non deve portare ad un indiscriminato automatismo nella sua applicazione senza tener conio che con l’adempimento, sia pure tardivo, dell’obbligazione tributaria, viene meno quel profitto del reato che la misura ablatoria è destinata ad aggredire.
Diversamente opinando, si assisterebbe ad un ingiustificato ricorso alla misura sanzionatoria in quanto l’indagato, oltre ad aver adempiuto al suo debito verso l’amministrazione finanziaria, si vedrebbe privato, all’esito dell’accertamento della responsabilità penale, anche di beni equivalenti per valore al profitto del reato, ormai dismesso con il versamento dell’imposta evasa.
Ne discende che l’adempimento del debito verso l’amministrazione finanziaria fa venir meno lo scopo principale che si intende perseguire con la confisca.
La restituzione all’erario del profitto derivante dal reato elimina in radice lo stesso oggetto sul quale dovrebbe incidere la confisca.
Pertanto il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca, nonostante l’intervenuta sanatoria fiscale, darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato (Cass. VI 17.3.2009 n. 26176; 23.11.2010 n. 45504).
Discende da ciò che il mantenimento della misura ablativa è giustificato fino al momento in cui si realizza il recupero delle imposte evase a favore dell’amministrazione finanziaria con corrispondente deminutio del patrimonio personale del contribuente, momento superato il quale non ha più ragione di essere mantenuto in vita il sequestro preventivo.
Non possono essere invocate a sostegno della tesi sostenuta dai giudici gravati le pronunce di legittimità citate nell’ordinanza impugnata, in particolare la sentenza Cass. sez. 6^, 09/04/2010 – 02/07/2010, Rv. 247770, Di..
Tale sentenza afferma effettivamente che la sanatoria della posizione tributaria non determina il venir meno dei presupposti della confisca per equivalente (e del prodromico sequestro), ma il principio enunciato trova giustificazione in presupposti che ineriscono all’ipotesi, del tutto diversa, del versamento all’erario dell’imposta evasa non da parte dall’obbligato principale, bensì da parte terzi garanti, ragione per cui permarrebbe in capo al primo l’indebito vantaggio economico conseguito dall’azione criminosa che giustifica il mantenimento del sequestro, proprio perché ad effettuare il pagamento sono terzi e non il reo, che continua a fruire di tali vantaggi.
E comunque la sentenza pone un termine finale alla permanenza del sequestro preventivo, coincidente col venir meno della situazione di vantaggio economico per il colpevole a seguito dell’esercizio nei suoi confronti, da parte del fideiussore, dell’azione di rivalsa per il recupero della somma pagata all’amministrazione finanziaria: pertanto, il mantenimento della misura è giustificato sino a tale momento, in cui, con l’esborso da parte del reo della somma dovuta al garante in sede di rivalsa, viene definitivamente a cessare l’indebito arricchimento ottenuto dalla sua illecita condotta.
In definitiva la citata sentenza, lungi dal condividere l’indirizzo sostenuto dai giudici gravati, recepisce il principio secondo cui il sequestro preventivo in funzione della possibile confisca può essere legittimamente mantenuto fino a quando permane in capo al reo l’indebito arricchimento derivante dall’azione illecita posta in essere: quando questo cessa col pagamento delle imposte evase all’Erario o col pagamento in favore del terzo garante che agisce in rivalsa per il recupero delle somme versate all’Erario al posto dell’obbligato principale, il vincolo non ha più ragione di essere mantenuto.
L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al tribunale del riesame di (omissis), per nuovo esame alla luce dei principi enunciati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di (omissis)

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *