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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza n. 44442 del 4 novembre 2013

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Trento – Sezione Distaccata di Bolzano con sentenza del 26.1.2012 ha riformato parzialmente, rideterminando la pena originariamente inflitta previa concessione delle attenuanti generiche, la decisione con la quale, in data 15.11.2010, il Tribunale di Bolzano aveva riconosciuto P.O. responsabile del reato di cui all’art. 609 bis cod. pen. perché, mentre operava come macchinista su un convoglio ferroviario, si avvicinava alla capo-treno in servizio sul medesimo convoglio, tirandola a sé con forza contro la sua volontà, avvolgendole il braccio intorno alla vita, accarezzandola in modo lascivo sul fianco, baciandola sulle labbra e sul viso ed affermando di preferire guardare lei anziché i segnali ferroviari (sulla tratta (omissis)).

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che la costituzione di parte civile, ritenuta tempestiva dai giudici del merito, sarebbe stata effettuata oltre il termine di decadenza di cui all’art. 79 cod. proc. pen., in quanto dal verbale dell’udienza del 12.10.2009, poi rinviata per irregolare composizione del collegio giudicante, risulterebbe già effettuata dal Tribunale la verifica della regolare costituzione delle parti.
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che erroneamente la Corte territoriale avrebbe individuato, quali elementi di riscontro alle dichiarazioni della persona offesa, un messaggio di scuse inviato dal telefono di servizio dell’imputato ed il terzo motivo dell’appello da questi proposto, ove la materialità dei fatti non veniva contestata affermando, tuttavia, che vi sarebbe stato un equivoco sul consenso della persona offesa.
Osserva, a tale proposito, che non vi sarebbe certezza circa la effettiva provenienza del messaggio e che il comportamento cui la comunicazione fa riferimento non è detto sia quello indicato nell’imputazione.
Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe chiarito le ragioni per le quali dovrebbe ritenersi maggiormente attendibile la seconda versione dei fatti offerta dalla persona offesa, né avrebbe motivato adeguatamente sulla specifica censura utilizzata, invece, quale elemento di riscontro alle dichiarazioni accusatorie della donna.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è infondato.
La questione di natura procedurale sollevata con il primo motivo di ricorso, concerne, come si è detto, la tempestività della costituzione di parte civile, effettuata dopo due rinvii dell’udienza disposti, una prima volta, per impedimento del presidente del collegio giudicante e la seconda volta per impedimento del Pubblico Ministero assegnatario del procedimento.
Sull’ammissibilità della costituzione di parte civile in caso di rinvio dell’udienza deve rilevarsi l’esistenza di opinioni discordi circa l’individuazione del termine di decadenza di cui all’art. 79 cod. proc. pen..
Nella maggior parte di casi, infatti, si ritiene che, coincidendo tale termine con l’apertura del dibattimento, sia rituale la costituzione effettuata all’udienza di rinvio se il dibattimento non sia stato ancora dichiarato aperto (v. Sez. V n. 3205, 22 gennaio 2013; Sez. VI n. 29442, 16 luglio 2009; Sez. V n. 4972, 07 febbraio 2007; Sez. II n. 11818, 12 marzo 2003; Sez. Il n. 11758, 12 marzo 2003; Sez. IV n. 24877, 28 giugno 2002; Sez. V n. 12718, 6 dicembre 2000; Sez. V n. 12906, 11 novembre 1999; Sez. II n. 8880, 31 luglio 1998; Sez. IV n. 9301, 26 ottobre 1996).
In un caso, concernente un dibattimento instaurato ex novo a seguito di astensione del giudice, la tempestività della costituzione di parte civile è stata ritenuta sulla base del fatto che nell’art. 79 cod. proc. pen. non è riprodotta la previsione dell’art. 93, comma secondo, del codice di rito precedentemente in vigore, secondo cui la costituzione doveva avvenire, a pena di decadenza, con il compimento “per la prima volta” delle formalità di apertura del dibattimento (Sez. VI n. 17807, 9 maggio 2007).
Tale ultima pronuncia ha dato luogo ad una segnalazione di contrasto di giurisprudenza da parte dell’Ufficio del Massimario (Rei.n. 83/07, 12 novembre 2007) nella quale, dato atto dell’adeguamento alla prevalente giurisprudenza, si evidenzia come la decisione formuli un principio non condiviso da altre precedenti decisioni (Sez. V n. 519, 12 gennaio 2007; Sez. V n. 29233, 6 luglio 2004).
5. Va tuttavia osservato, per quel che qui interessa, come dalla lettura della motivazione delle sentenze 529/2007 e 29233/2004, risulti comunque l’individuazione dell’apertura del dibattimento quale limite per la costituzione di parte civile.
Deve inoltre rilevarsi che altra decisione (Sez. III n. 25133, 17 luglio 2009), menzionata anche in ricorso, giunge a diverse conclusioni, ritenendo che il termine di decadenza per la costituzione di parte civile, individuato nel compimento degli adempimenti relativi alla regolare costituzione delle parti, operi nel caso in cui, dichiarata la contumacia dell’imputato, il giudice abbia provveduto a rinviare il processo ad altra udienza senza aprire il dibattimento.

Tale decisione si fonda sul tenore letterale delle disposizioni codicistiche esaminate (artt. 79, 484, 491, 492 cod. proc. pen.) e sul rilievo del tassativo collegamento operato, nell’individuare il momento ultimo della costituzione di parte civile dall’art. 79, alla sola effettuazione degli adempimenti di cui all’art. 484 cod. proc. pen..
Nel pervenire quindi alla conclusione che è la stessa successione cronologica degli adempimenti previsti nella fase degli atti introduttivi ad attestare, inequivocabilmente, che il limite per la costituzione di parte civile è rappresentato dal controllo della regolare costituzione delle parti, la richiamata sentenza si discosta dal diverso orientamento in precedenza ricordato, ritenendo non condivisibili le pronunce che riconoscono la ritualità della costituzione della parte civile fino a che non sia dichiarato aperto il dibattimento ai sensi dell’art. 492 cod. proc. pen. o che, riconoscendo una coincidenza tra i due momenti, considerata indebita, ritengono tempestiva la costituzione di parte civile “effettuata prima che siano compiuti gli adempimenti di cui all’art. 484 cod. proc. pen., vale a dire prima della apertura del dibattimento” (a tale proposito si cita Sez. V n. 12718 del 27.10.2000).
6. Date tali premesse, ritiene il Collegio che il contenuto delle disposizioni esaminate nella sentenza 25133/2009, non potendo dare adito a dubbi, sia effettivamente determinante ai fini di una corretta individuazione del termine di decadenza per la costituzione di parte civile.
Invero, l’art. 79 cod. proc. pen., come si è detto, stabilisce, nel primo comma, che la costituzione di parte civile può avvenire per l’udienza preliminare e, successivamente, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’articolo 484.
L’art. 484 cod. proc. pen., al comma 1, prevede che, prima di dare inizio al dibattimento, il presidente controlli la regolare costituzione delle parti.
L’art. 492 cod. proc. pen. dispone che, compiute le attività indicate negli articoli 484 e seguenti, il presidente dichiara aperto il dibattimento, mentre l’art. 491 prescrive, al comma 1, tra l’altro, che le questioni concernenti la costituzione di parte civile sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti e sono decise immediatamente.
Risulta pertanto evidente che le attività descritte si svolgono secondo una sequenza prestabilita e sono tra loro distinte, dovendosi quindi escludere ogni coincidenza tra la verifica della regolare costituzione della parti e l’apertura del dibattimento.
Va peraltro rilevato che, nella prassi, la sequenza procedimentale descritta si svolge frequentemente in un contesto unico, che vede il giudice effettuare la verifica prevista dall’art. 484 cod. proc. pen. e dichiarare contestualmente aperto il dibattimento senza alcuna soluzione di continuità, il che può portare ad una sostanziale coincidenza tra l’accertamento della regolare costituzione delle parti e la dichiarazione di apertura del dibattimento, senza che tali adempimenti perdano, però, l’autonomia e l’identità loro attribuita dal codice di rito.
È dunque sulla base di tale distinzione, dalla quale ritiene il Collegio non può prescindersi, che deve essere rilevata la tempestività della costituzione di parte civile, considerando, sulla base dei verbali, gli sviluppi del singolo caso esaminato. />Deve tuttavia precisarsi che l’art. 484 cod. proc. pen. attribuisce al presidente del collegio il dovere di controllare la regolarità della costituzione delle parti, imponendogli pertanto una attività specifica che presuppone una verifica ed una successiva valutazione, cui fanno eventualmente seguito attività ulteriori, quali la designazione del sostituto del difensore (art. 484, comma 2) o gli altri adempimenti di cui agli artt. 420-bis, 420-ter, 420-quater e 420-quinquies richiamati dal comma 2-bis del medesimo art. 484. Allo stesso modo, la successiva apertura del dibattimento consegue ad una formale dichiarazione del presidente del collegio.
Si tratta, pertanto, di formalità ben definite che richiedono una specifica menzione nel verbale d’udienza, tale da documentarne l’effettivo espletamento e la collocazione temporale, proprio perché il loro compimento determina preclusioni e decadenze.

Tale attività, connotata, come si è detto, da forme e tempi ben definiti, deve pertanto essere tenuta distinta dalla semplice ricognizione ed indicazione, nel verbale udienza, dei soggetti intervenuti, che esula da ogni apprezzamento da parte del giudice, trattandosi di requisito proprio del verbale (cfr. artt. 136, 142 e 480 cod. proc. pen.).
7. Deve conseguentemente affermarsi il principio secondo il quale la costituzione di parte civile deve avvenire, a pena di decadenza, fino a che non siano compiuti gli adempimenti relativi alla regolare costituzione delle parti e tale momento non coincide con la dichiarazione di apertura del dibattimento, in considerazione della sequenza temporale delle attività indicate negli artt. 79, 484, 491, 492 cod. proc. pen.. Il controllo della regolare costituzione delle parti, il quale presuppone una valutazione da parte del giudice, resta comunque distinta dalla mera ricognizione dei soggetti presenti in udienza la cui indicazione nel verbale è comunque richiesta (artt. 136, 142 e 480 cod. proc. pen.).
8. Tenendo conto di quanto appena affermato, deve osservarsi che, nella fattispecie, avuto riguardo a quanto risulta dall’esame degli atti, la cui consultazione è consentita a questa Corte in ragione della natura processuale della censura formulata, emerge chiaramente che la verifica di cui all’art. 484 cod. proc. pen. non era stata ancora effettuata all’udienza del 12.10.2009 (erroneamente indicata in sentenza con la data del 10.12.2009).
Invero, come osservato dalla Corte territoriale, in quell’udienza il collegio, in composizione precaria, si limitava a dare atto dell’impedimento del presidente (Dott.ssa S.) disponendo un rinvio alla successiva udienza dell’1.2.2010, anch’essa rinviata per impedimento del Pubblico Ministero assegnatario del procedimento.
Nei verbali di entrambe le udienze non risulta documentata alcuna attività corrispondente a quella di verifica contemplata dall’art. 484 cod. proc. pen. o a quelle successive alla verifica della regolare costituzione delle parti, cosicché l’indicazione dei soggetti presenti, che il ricorrente indica come sintomatica dell’effettivo espletamento di tale verifica, altro non rappresenta se non l’inserimento dei dati essenziali richiesti dal codice di rito per la redazione del verbale d’udienza.
Ciò risulta peraltro dimostrato dalla circostanza che, nel verbale d’udienza del 12.10.2009, è presente, prestampata in italiano e tedesco, la frase “Il Presidente/il Giudice controlla la regolare costituzione delle parti. Compiuto l’accertamento della costituzione delle parti preliminarmente:”, mentre il testo manoscritto che segue non è, evidentemente, collegabile alla frase stampata che lo precede, perché il provvedimento di mero rinvio è stato fisicamente collocato in una parte del verbale che ne consentiva l’inserimento per la presenza di righe vuote, tanto è vero che il testo prosegue anche in spazi liberi successivi e preceduti da altre frasi prestampate riferite all’assunzione delle prove ed alla formulazione delle conclusioni delle parti.
La medesima situazione si è verificata nella successiva udienza.
Le formalità di cui all’art. 484 cod. proc. pen. risultano invece espletate all’udienza del 12.4.2010, nel corso della quale venne effettuata anche la costituzione di parte civile, che è quindi tempestiva, con rinvio, per legittimo impedimento dell’imputato, alla successiva udienza del 7.6.2010, nel corso della quale si procedeva alla formale apertura del dibattimento.
Ne consegue che, sebbene la Corte territoriale abbia fatto sostanziale riferimento al diverso indirizzo giurisprudenziale che ritiene possibile la costituzione di parte civile fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, la stessa risulta comunque ritualmente effettuata nel rispetto del termine di cui all’ari:. 79 cod. proc. pen..
Ne consegue l’infondatezza del motivo di ricorso, dovendosi tuttavia dare atto che, in data 30.9.2013 è pervenuta alla cancelleria di questa Corte dichiarazione di revoca della costituzione di parte civile.
9. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento al secondo motivo di ricorso.
Le censure mosse sono sostanzialmente coincidenti con le doglianze mosse nell’atto di appello, che la Corte del merito ha compiutamente analizzato e confutato.
I giudici del gravame hanno infatti richiamato la decisione di primo grado, dichiarando di condividere le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale nel giudicare credibile la deposizione della persona offesa.

10. È appena il caso di ricordare che la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte riconosce alla testimonianza della persona offesa del reato ritenuta intrinsecamente attendibile la natura di vera e propria fonte di prova, ammettendo che sulla stessa, anche esclusivamente, possa essere fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purché la relativa valutazione sia adeguatamente motivata (Sez. IV n. 44644, 1 dicembre 2011; Sez. III n. 28913, 20 luglio 2011; Sez. III n. 1818, 20 gennaio 2011; Sez. IV n. 30422, 10 agosto 2005; Sez. IV n. 16860, 9 aprile 2004; Sez. V n. 6910, 1 giugno 1999).
Tale principio è stato ribadito con specifico riferimento ai reati sessuali, il cui accertamento è frequentemente connotato dalla necessaria valutazione del contrasto tra le opposte versioni di imputato e parte offesa, unici protagonisti dei fatti, spesso in assenza anche di riscontri oggettivi o di altri elementi che consentano di attribuire maggiore credibilità, dall’esterno, all’una o all’altra tesi.
Inoltre, ai fini della valenza probatoria delle dichiarazioni rese, è stata ritenuta non rilevante la circostanza che la persona offesa sia costituita parte civile, richiedendosi, in tal caso, soltanto un maggior rigore nella valutazione di attendibilità (Sez. I n. 29372, 27 luglio 2010; Sez. VI n. 33162, 2 agosto 2004; Sez. IV n. 16860, 9 aprile 2004; Sez. II n. 694, 24 gennaio 2001; Sez. III n. 766, 22 gennaio 1998; Sez. I n. 3860, 20 aprile 1993) che, se riconosciuta dal giudice del merito, non è censurabile in sede di legittimità, quando sia sorretta da un’adeguata e coerente giustificazione che dia conto, nella motivazione, dei risultati acquisiti e dei criteri adottati (Sez. VI n. 27322, 4 luglio 2008; Sez. VI n. 443, 13 gennaio 2005).
Più recentemente le Sezioni Unite di questa Corte hanno riconosciuto l’inapplicabilità delle regole fissate dall’art. 192, comma 3 cod. proc. pen. alle dichiarazioni della persona offesa, che possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, sottoponendo a preventiva e motivata verifica la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità intrinseca del narrato, che deve tuttavia effettuarsi in modo più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, aggiungendo che, in caso di costituzione di parte civile della persona offesa, può essere opportuno procedere anche al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (SS.UU. n. 41461, 24 ottobre 2012).
Nell’occasione, le Sezioni Unite hanno altresì ricordato come costituisca un principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo la quale la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (a tale proposito richiamando, ex pi., Sez. VI n. 27322, 4 luglio 2008, cit.; Sez. III, n. 8382, 25 febbraio 2008; Sez. VI, n. 443, 13 gennaio 2005; Sez. III n. 3348, 29 gennaio 2004; Sez. III, n. 22848 23 maggio 2003).
11. Ciò posto, deve rilevarsi che l’accertamento in fatto sulla credibilità della persona offesa risulta, nella fattispecie, oggetto di adeguata verifica da parte dei giudici del merito e che la sentenza impugnata non manca di individuare, con valutazione scevra da cedimenti logici o manifeste contraddizioni, alcuni elementi di riscontro alle dichiarazioni della donna abusata.
In particolare, viene valorizzato il contenuto dei un messaggio proveniente dal telefono di servizio dell’imputato, il cui tenore (“ti chiedo scusa per il mio cattivo comportamento”) è stato ritenuto inequivocabile ed avente valore di confessione stragiudiziale e tale apprezzamento risulta adeguato in considerazione al contesto dei fatti ed in relazione agli altri elementi di giudizio.
Inoltre, un ulteriore riscontro viene individuato dalla ricostruzione della vicenda effettuata nell’atto di appello, ove l’imputato sostanzialmente non esclude il contatto fisico con la collega, giustificandolo, tuttavia, con una errata valutazione circa il consenso della donna all’approccio di natura esplicitamente sessuale.

L’infondatezza della tesi difensiva dell’errore sul consenso risulta peraltro implicitamente esclusa dallo svolgimento dei fatti come descritti nell’imputazione ed accertati nel giudizio di merito, risultando che l’imputato aveva attirato a sé con forza e contro la sua volontà la donna per poi baciarla ed accarezzarla, cosicché nessun difetto di motivazione può ravvisarsi sul punto.
A fronte di tali valutazioni di dati fattuali, cui la Corte aggiunge altri elementi significativi di confutazione della tesi difensiva, ivi compresa una razionale giustificazione della iniziale diversa versione dei fatti, il cui scopo era soltanto quello di evitare ulteriori turni di lavoro in compagnia dell’imputato, cui faceva seguito, dopo un ulteriore assegnazione ad un turno comune, una successiva e più dettagliata relazione di servizio, il ricorrente si limita a prospettarne una lettura alternativa che non è consentita in questa sede di legittimità.
12. La sentenza impugnata risulta, dunque, del tutto immune da censure.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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