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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza n. 21695  del 21 maggio 2013

Svolgimento del processo

1. Con sentenza 5.7.2012 la Corte d’Appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale che aveva ritenuto R.N. responsabile del reato di omesso versamento di ritenute previdenziali per l lavoratori – periodo gennaio – giugno 2005, osservando che, quale Direttore Generale e Amministratore della SEA (giusta visura camerale e dichiarazione Mod. 770) egli era comunque obbligato al versamento mentre M.G. aveva avuto conferma della propria nomina a Presidente del Consiglio di Amministrazione in data successiva.
2. Per la cassazione della sentenza ricorre l’imputato deducendo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, la violazione dellà legge penale (D.L. 12 settembre 1983, n. 463,art. 2, commi 1 e 1 bis, convertito in L. 11 novembre 1983, n. 638) nonchè, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, la manifesta illogicità della motivazione: dopo aver premesso che del reato in contestazione risponde il datore di lavoro, rimprovera in sostanza alla Corte di merito di non avere considerato che, come da visura camerale, all’epoca dei fatti, egli non rivestiva più tale carica in quanto il legale rappresentante della società SEA era un altro soggetto, tale M.G. e che pertanto egli, come Direttore Generale, non era tenuto all’adempimento in quanto privo della rappresentanza legale della società; rileva che dalla visura risultava l’accettazione, da parte della M., della carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione sin dal 10.12.2002 e che nel 2005 è intervenuta la conferma.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile sotto entrambi i profili che ben possono essere oggetto di trattazione unitaria investendo sostanzialmente l’individuazione del responsabile del reato di omesso versamento di ritenute previdenziali.
In linea di principio va osservato che:
l’obbligo dei versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti grava sul datore di lavoro e tale qualificazione nelle imprese collettive spetta al soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa o dell’unità produttiva (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24938 del 10/06/2005 Ud. dep. 07/07/2005 Rv. 231819);
– il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110; Cass. 6.6.06 n. 23528). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
Nella fattispecie, i giudici di merito hanno accertato, in base alla deposizione del teste P. ed all’acquisizione dei certificati della Camera di Commercio, che l’imputato a partire dal 21.3.2003 era il Direttore Generale della SSA ed anche consigliere di amministrazione e che dal Modello 770 presentato all’Agenzia delle Entrate egli risultava amministratore della stessa.
Hanno rilevato altresì che M.G. aveva avuto conferma della propria nomina a Presidente del Consiglio dei Amministrazione in data 29.6.2005.
Quanto all’elemento psicologico, hanno rilevato che il Direttore Generale sicuramente aveva il potere di disporre i pagamenti e i versamenti in favore dell’istituto previdenziale, attività di routine, e che il mancato pagamento appare dovuto a consapevole volontà di omettere i versamenti da parte dell’imputato. La Corte di merito ha osservato infine che la presentazione del DM 10 emergente dal prospetto delle inadempienze costituisce prova del versamento delle retribuzioni ai dipendenti, circostanza da cui sorge l’obbligo di effettuare il versamento delle ritenute previdenziali.
Trattasi di accertamento in fatto, congruamente motivato e come tale insindacabile in questa sede, non essendo consentito il riesame degli atti del processo, attesa la natura dei vizi dedotti. In ogni caso, dall’estratto dello Statuto sociale, riprodotto nel ricorso a pag. 6, si evince che tra i poteri del direttore generale, da esercitarsi con firma disgiunta, rientrava anche quello di inquadrare i lavoratori dipendenti e di operare sui conti bancari, e quindi la responsabilità dell’unità produttiva, quanto meno con riferimento ai rapporti di lavoro dipendente.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna dei ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 c.p.p., nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2013.

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