aggressione cane

Suprema Corte di Cassazione 

sezione III

sentenza n. 12990 del 24 maggio 2013

Svolgimento del processo

M.D.T. convenne in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Rovereto N.C. e G.S. per far accertare e dichiarare l’illecito di immissioni ex art. 844 c.c. derivante dal latrare dei cani di proprietà dei convenuti e per ottenere la condanna di questi ultimi alla cessazione di detto illecito, oltre al risarcimento dei danni in suo favore, quantificato in misura di Euro 2.500,00.
I convenuti si costituirono chiedendo che venisse accertata e dichiarata l’insussistenza dell’illecito de quo, nonché l’inesistenza del danno.
A seguito della mancata comparizione delle parti, alle udienze del 18 dicembre 2003 e del 15 gennaio 2004, il Giudice di Pace dispose la cancellazione dal ruolo della causa che venne poi riassunta con comparsa del 4/25 febbraio 2005 dal D.T..

Il Giudice di Pace rigettò la domanda di quest’ultimo che propose appello chiedendo in via principale l’accoglimento delle domande proposte in primo grado e in via subordinata la compensazione delle spese di entrambi i gradi.
Il Tribunale ha dichiarato la tardività delle istanze istruttorie formulate nell’atto di appello ed ha disposto la compensazione delle spese di primo e secondo grado.
Propongono ricorso per cassazione N.C. e G.S. con un unico motivo.
Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale.
M.D.T., con un solo motivo.
Resistono con controricorso al ricorso incidentale N.C. e G.S..

Motivi della decisione

I ricorsi sono riuniti ai sensi dell’art. 335 cpc.
Con il primo motivo del ricorso principale parte ricorrente denuncia «Art. 360 comma l nr. 5) c.p.c.: omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.»
Il Giudice del gravame, si afferma, ha rigettato la domanda del D.T., per mancato assolvimento da parte dello stesso dell’onere probatorio e, nonostante la conferma della sua piena soccombenza, ha disposto la compensazione delle spese di lite di ambedue i gradi del giudizio, con una motivazione apparente e in ogni caso illogica e contraddittoria rispetto alle risultanze del giudizio di merito.
Il motivo è infondato.
In tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 cpc, (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore a quello introdotto dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263), poiché il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altre giuste ragioni, che il giudice di merito non ha obbligo di specificare, senza che la relativa statuizione sia censurabile in cassazione, poiché il riferimento a “giusti motivi” di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia (Cass., 6 ottobre 2011, n. 20457).
Nel caso in esame il giudice di merito ha congruamente motivato la sua decisione. Emerge infatti dall’impugnata sentenza che l’obiettiva controvertibilità in fatto della causa e l’effettiva difficoltà di acquisizione della prova in relazione a condotte suscettibili di mutamenti nel tempo, tipica della natura delle controversie come quella in esame, giustificano la compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio. Emergeva in particolare in sede di appello la reciproca soccombenza per il rigetto dell’appello incidentale volto alla condanna ex art. 96 cpc.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale parte ricorrente denuncia «Violazione e falsa applicazione artt. 112, 115, 116, 61 c.p.c. e segg., 191 c.p.c. e segg.; omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. »
Sostiene parte ricorrente che il Tribunale ha respinto il suo appello, senza dare adeguata motivazione e senza ammettere una consulenza tecnica d’ufficio che avrebbe permesso di accertare, senza margine d’incertezza, l’esistenza dell’asserito fenomeno immissivo e dunque la sua tollerabilità.
Il motivo deve essere rigettato.
La consulenza tecnica d’ufficio non è infatti un mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Il suddetto mezzo di indagine non può pertanto essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume e può essere quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass., 8 febbraio 2011, n. 3130).
In altri termini, la parte che deve provare i fatti costitutivi del suo diritto non può pretendere di fornire la prova attraverso la consulenza tecnica.
Nel caso in esame il Tribunale di Rovereto, ha ritenuto: a) che le prove testimoniali non fossero univoche ed idonee ad assolvere l’onere probatorio; b) che quest’ultimo non poteva essere supplito con l’ammissione della consulenza tecnica.
Né fondata appare la critica del ricorrente all’esercizio del potere discrezionale del giudice il quale, per contro, ha congruamente motivato la propria decisione.
In conclusione i ricorsi riuniti devono essere rigettati con compensazione delle spese del giudizio di cassazione in ragione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese del giudizio di cassazione.

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