Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza n. 12251 del 20 maggio 2013
Svolgimento del processo
1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 20 giugno 2006, la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato gli appelli, principale ed incidentale, proposti avverso la sentenza dell’8 febbraio 2001 del Tribunale di Napoli.
Il Tribunale era stato adito da U.C., quale conduttore, al fine di ottenere la condanna di F.D.P. , quale locatore, al risarcimento dei danni (quantificati nella somma di L. 30.000.000, oltre alla somma di L. 3.000.000, per spese di trasloco), sofferti per avere il locatore esercitato il recesso, ex art. 59 della legge n. 392 del 1978, dichiarando di avere necessità di destinare ad abitazione della figlia l’appartamento oggetto del contratto di locazione corrente tra le parti e per averne ottenuto la disponibilità, a seguito del rilascio da parte del C. , senza che detta necessità sussistesse, tanto che il cespite non era mai stato destinato a soddisfare le esigenze dichiarate.
1.1.- Si era costituito il D.P. ed aveva dedotto che l’appartamento era stato rilasciato dal conduttore in maniera del tutto pacifica, tanto che, al momento del rilascio, era stato stilato un verbale, sottoscritto dalle parti e dai loro difensori, in cui le prime avevano dichiarato di non avere null’altro a pretendere per qualsiasi ragione comunque connessa o dipendente dall’intercorso rapporto di locazione; che, inoltre, il C. , a seguito di sfratto a catena, era entrato in possesso di un appartamento di sua proprietà, per cui non si era trovato in situazione alcuna di disagio, tale da giustificare la richiesta risarcitoria.
1.2.- Il Tribunale, a seguito di istruttoria svoltasi anche con l’assunzione di testimoni, aveva accolto parzialmente la domanda dell’attore ed aveva condannato il D.P. al pagamento, in favore del C. , della somma complessiva di L. 9.000.000 nonché al pagamento delle spese di lite.
2.- Proposti appello principale da parte del D.P. ed incidentale da parte del C. , la Corte d’Appello ha, come detto, rigettato entrambi i gravami ed ha condannato l’appellante principale al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio nella misura di 3/4, compensando le stesse per 1/4.
La Corte d’Appello ha ritenuto provato che l’appartamento oggetto della locazione, dopo il rilascio da parte del conduttore, non fosse mai stato stabilmente occupato dalla figlia del locatore e che -ponendo l’art. 3, comma 4, della legge n. 61 del 1989 una presunzione iuris tantum di responsabilità a carico del locatore, che, avendo dichiarato l’urgente necessità propria o di un prossimo congiunto, non abbia adibito l’alloggio all’uso dichiarato nel termine di giorni novanta dal rilascio dell’immobile – il D.P. non avesse fornito la relativa prova liberatoria, della quale era onerato.
Ha altresì rilevato che non si sarebbe potuto sostenere, così come sostenuto dall’appellante, che il C. non avesse “patito danno alcuno, considerando anche che, nelle more dell’esecuzione, aveva fruito dell’intero periodo di durata legale della locazione”, poiché si trattava di motivo d’appello con cui l’appellante finiva per adombrare “un’ inammissibile compensatici lucri cum damno” e per obliterare “la natura sanzionatoria della normativa che qui ne occupa”.
3.- Avverso la sentenza F..D.P. ha proposto ricorso affidato a tre motivi.
L’intimato U.C. non si è difeso.
Motivi della decisione
1.- Il ricorso è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dall’art. 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40, ed abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d, della legge 18 giugno 2009 n. 69), applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (20 giugno 2006).
Il quesito di diritto riferito al secondo motivo ed il momento di sintesi (indicato come “quesito”) riferito al terzo motivo sono talmente generici da non potere nemmeno essere ricondotti ai paradigma normativi di cui al citato art. 366 bis cod. proc. civ., rispettivamente parte prima e seconda, così come interpretato da questa Corte.
Il secondo motivo, che peraltro è prospettato senza rispettare nemmeno il disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., poiché non è detto né è desumibile dall’illustrazione quale sia il vizio denunciato, che sembra essere consistito esclusivamente in un errore materiale, si conclude col seguente quesito di diritto: “vero che la lamentata violazione dell’art. 281 c.p.c. nella impugnata sentenza, così come avanti riportato, comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra Corte di Appello”.
1.1.- Col terzo motivo si denuncia motivazione insufficiente, contraddittoria ed illogica in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.; esso si conclude con la seguente indicazione: “vero che la lamentata insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. nella impugnata sentenza comporta la cassazione della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello”.
1.2.- Entrambi i motivi sono inammissibili.
Il quesito di diritto relativo al secondo motivo di ricorso è formulato in modo tale da non precisare la questione di diritto sottoposta all’esame della Corte, né da consentire l’individuazione degli errori di diritto che il ricorrente intende denunciare con riferimento alla fattispecie concreta (cfr., per la funzione riservata ai quesiti di diritto, tra le altre Cass. S.U. n. 26020/08 e n. 28536/08).
Quanto alla denuncia del vizio di motivazione, di cui al terzo motivo di ricorso, va ribadito il principio per il quale, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. S.U. n. 20603/07, cui adde, tra le tante, Cass. n. 24255/11). Non si rinviene in ricorso alcuna indicazione in tal senso, non essendo evidentemente idonea allo scopo quella di cui alla pagina 9, sopra testualmente riportata.
2.- Col primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 60 della legge n. 392 del 1978, sostenendosi che questa disposizione normativa sarebbe invocabile da parte del conduttore soltanto ove lo stesso abbia perduto la disponibilità dell’immobile prima del periodo transitorio di proroga legale e non anche nel caso in cui abbia goduto dell’intero periodo di durata della locazione. Il ricorrente deduce che, nel caso in esame, il C. avrebbe usufruito interamente del periodo di proroga legale, senza interruzione, in quanto dalla sentenza di sfratto emessa il 16 ottobre 1981 all’effettiva liberazione dell’appartamento, avvenuta il 10 marzo 1987, sono trascorsi sei anni. A sostegno del motivo viene richiamato il precedente di legittimità n. 11430 dell’1 agosto 2002.
L’illustrazione del motivo si conclude col seguente quesito di diritto:
“vero che la corretta applicazione dell’art. 60 Legge 392/78 è nel senso che tale disposizione normativa è invocabile dal conduttore laddove lo stesso abbia perduto la disponibilità dell’immobile prima del periodo transitorio di proroga legale e non anche nel caso in cui abbia goduto dell’intero periodo di durata legale della locazione”.
Il quesito prosegue indicando le circostanze fattuali che consentirebbero di riferire al caso di specie il principio di diritto che il ricorrente vorrebbe affermato al fine di censurare la sentenza impugnata che non ne avrebbe fatto applicazione. Pertanto, il motivo è assistito da un quesito di diritto formulato in modo da rispettare la norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ..
2.1.- Esso tuttavia va reputato inammissibile perché pone una questione nuova.
Non risulta dal ricorso né dalla sentenza che la detta interpretazione dell’art. 60 della legge n. 392 del 1978 fosse stata proposta ed invocata, sin dal primo grado di giudizio, al fine di contestare la sussistenza dei presupposti del diritto del conduttore al risarcimento dei danni. Ed, invero, alla stregua della giurisprudenza richiamata in ricorso, che qui si ribadisce, il diritto al risarcimento non spetta al conduttore che abbia beneficiato, per qualsiasi motivo, in linea di fatto, di una durata del contratto in corso soggetto a proroga pari o superiore al periodo di proroga legale previsto dall’art. 58.
Sebbene il ricorrente indichi in ricorso elementi fattuali che dovrebbero indurre a ritenere che questa situazione si sia avuta nel caso di specie, non risulta affatto che tali elementi fossero stati indicati e che la relativa questione fosse stata posta già con la costituzione nel giudizio di primo grado. In particolare, non risultano essere stati oggetto del dibattito processuale nei gradi di merito la durata del contratto stipulato tra le parti, l’essere stato o meno soggetto a proroga secondo la legislazione vigente, la decorrenza eventualmente prevista dall’art. 58 con riguardo a questo contratto o comunque la data della scadenza della locazione, il periodo di detenzione dell’appartamento dopo tale scadenza, come avrebbe dovuto essere se, già con la comparsa di risposta in primo grado, il locatore avesse preso posizione, in maniera precisa, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda e, soprattutto, avesse proposto la specifica difesa fondata sull’asserita assenza dei presupposti richiesti dal combinato disposto degli artt. 59 e 60 della legge n. 392 del 1978 per l’accoglimento della pretesa risarcitoria del conduttore.
Quanto in proposito affermato nella sentenza d’appello, e sopra testualmente riportato nella parte dedicata allo svolgimento del processo, dimostra che il giudice di secondo grado ha interpretato il relativo motivo (indicato in sentenza come l’ultimo dell’atto di appello) non come riferito alla sussistenza/insussistenza dei fatti costitutivi del diritto al risarcimento ex art. 60 cit., bensì come riferito alla difesa concernente il quantum debeatur, e quindi la sussistenza/insussistenza di un danno risarcibile. Pertanto, è da escludere che possa trarsi argomento dalla sentenza impugnata al fine di sostenere che la questione interpretativa dell’art. 60 fosse stata oggetto di contraddittorio e di decisione sin dai pregressi gradi di merito.
Allora, il ricorrente, al fine di evitare la statuizione di inammissibilità, per novità della censura, avrebbe dovuto adempiere all’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 22540/06, n. 12992/10). In mancanza, la questione è da considerarsi nuova e, perciò, come detto, inammissibile.
3.- Ulteriore profilo di inammissibilità del primo motivo di ricorso si rinviene nella mancata impugnazione di una delle due rationes decidendi che il giudice d’appello ha posto a fondamento del rigetto del gravame, proprio con riguardo al terzo ed ultimo motivo d’appello di cui si è appena detto. Risulta infatti chiaramente, pur se sinteticamente, dalla sentenza impugnata che la Corte d’Appello non solo abbia ritenuto sussistente il danno da risarcire in favore del C. , ma abbia altresì ritenuto che la norma dell’art. 60 della legge n. 392 del 1978 abbia anche “natura sanzionatoria”, tale quindi da consentire la liquidazione di una somma in favore del conduttore ed a carico del locatore per il solo fatto della violazione da parte di quest’ultimo del disposto dell’art. 59 della stessa legge, nell’esercizio del diritto di recesso.
Questa seconda ratio decidendi della sentenza – in sé sufficiente a giustificare la decisione impugnata – non è stata in alcun modo contestata dal ricorrente, sicché, in ragione di ciò, il motivo in esame va reputato inammissibile anche per difetto di interesse (cfr., da ultimo, Cass. ord. n. 22753/11).
Non vi è luogo a provvedere sulle spese, atteso che l’intimato non si è difeso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese.
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