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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza del 20 dicembre 2012, n. 23620

Svolgimento del processo

M.V. e S.P. , il primo come contraente e la seconda come garante, si opponevano al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Firenze in favore della M. Leasing s.p.a. per la riconsegna di una macchina per maglieria nonché per il pagamento in solido della somma di Euro 43.412,05 a seguito della risoluzione per inadempimento del contratto di leasing in essere. A sostegno della domanda gli opponenti allegavano l’invalidità delle clausole contrattuali invocate da controparte per determinare l’importo dovuto.
La M. Leasing s.p.a. si costituiva in giudizio contestando la fondatezza dell’opposizione e chiedendo il risarcimento di ulteriori danni non coperti dalla penale monitoriamente azionata. Nelle more del giudizio la società opposta otteneva la restituzione dei macchinario e documentava i costi sostenuti ed il prezzo di Euro 17.043.08 ricavato dalla rivendita a terzi.
Al giudizio veniva riunita l’opposizione proposta da I.G. , garante dello stesso rapporto di leasing, avverso analogo decreto ingiuntivo.
Il Tribunale adito accoglieva le opposizioni e revocava i decreti ingiuntivi, sul rilievo della nullità della clausola penale azionata, trattandosi di leasing traslativo disciplinato inderogabilmente dall’art. 1526 c.c.
Con sentenza del 18 novembre 2008 la Corte di appello di Firenze, evocata su impugnazione della M. Leasing s.p.a., a modifica della decisione di primo grado, ha confermato il decreti ingiuntivi opposti.
Propongono ricorso M.V. , S.P. e G.I. con due motivi.
Resiste M. Leasing s.p.a e presenta memoria la Banca I. s.p.a., incorporante per fusione la M. Leasing.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo si denunzia violazione degli artt. 1526 e 1383 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Viene formulato il seguente quesito di diritto: dica la Suprema corte se, in forza di quanto disposto dagli artt. 1526 e 1383 c.c. la M. Leasing s.p.a. sia o meno legittimata a richiedere l’adempimento della prestazione principale contestualmente al pagamento della penale contrattualmente stabilità.
2. Il quesito è inammissibile per inconferenza con la decisione adottata. La Corte di appello, confermata la natura traslativa del leasing in oggetto e l’applicabilità allo stesso della disciplina prevista dall’art. 1526 c.c., come già affermato dal primo giudice, ha ritenuto che erroneamente era stata dichiarata la nullità della clausola penale azionata con il decreto ingiuntivo per contrasto con la disciplina dell’art. 1526 c.c., sul rilievo che non è ravvisabile alcun contrasto concettuale tra la predeterminazione pattizia del danno e la norma richiamata che tende soltanto a rendere eque le conseguenze della risoluzione.
La penale può sempre validamente sostituirsi e semplificare l’accertamento analitico del danno da inadempimento, purché non sia iniqua. Successivamente ha valutato se l’ammontare della penale era o meno manifestamente eccessivo ai fini dell’esercizio del potere di riduzione ex art. 1384 c.c.
La risoluzione del contratto per inadempimento costituisce il necessario presupposto per l’applicabilità della clausola, posto che la norma di cui all’art. 1382 c.c. ad essa attribuisce la specifica funzione di liquidazione preventiva del danno, funzione che, come questa Corte ha già stabilito (Cass., n. 9161/2002), quale conseguente a pattuizione lecita espressione dell’autonomia privata, è ammessa anche nel leasing traslativo in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore.
3. L’accertamento del giudice di appello ha avuto ad oggetto esclusivamente il risarcimento del danno da inadempimento, in aderenza del resto alla domanda azionata dalla M. Leasing che aveva richiesto solo l’importo dovuto per l’applicazione della clausola penale, senza alcuna domanda relativa al pagamento della prestazione principale.
4. Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.
Viene formulato il seguente quesito di diritto: Dica la Suprema Corte se costituisca o meno violazione del principio sancito all’art. 112 c.p.c., la pronuncia della Corte d’Appello di Firenze in ordine alla quantificazione dell’equo compenso e risarcimento danni in favore della M. Leasing s.p.a. in assenza di espressa richiesta in tal senso da parte di quest’ultima, richiesta che, quand’anche vi fosse (e non vi è) risulterebbe per giunta inammissibile all’interno dei ricorsi per D.I. nonché nei relativi giudizi di opposizione, richiedendo un’autonoma e distinta azione giudiziaria. Dica inoltre la Suprema Corte se la conseguente differente imputazione della somma ingiunta nei D.I. operata arbitrariamente dalla Corte d’Appello nella sentenza impugnata in seguito ad un procedimento logico-giuridico evidentemente viziato, oltre a costituire violazione dell’anzidetto principio di cui l’art. 112 c.p.c. infici o meno la validità ed efficacia della sentenza impugnata”.
5. Il Motivo è infondato.
Il risarcimento del danno ed il diritto all’equo compenso costituiscono azioni distinte, che adempiono a scopi diversi e che, quindi, richiedono la espressa domanda.
Orbene, nei caso di specie la società M. leasing con il ricorso per decreto ingiuntivo, che è l’atto introduttivo della presente controversia, ha reclamato l’applicazione della penale convenzionale, ma non anche l’equo compenso che, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, la M. Leasing non aveva neanche richiesto in quanto le parti opponenti avevano ritenuto lecita l’attribuzione alla società di leasing della rate previamente versate.
6. Non vi è stata la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto, come già chiarito nella motivazione relativa inammissibilità del primo motivo, la Corte di appello si è pronunziata unicamente sulla misura risarcimento del danno secondo la previsione della clausola penale azionata con il decreto ingiuntivo e sulla non manifesta eccessività della stessa.
7. La Corte ha affermato che l’importo desumibile dall’applicazione della penale non risulta affatto eccessivo. Il bene infatti è stato pagato £ 74.886,25 (nell’aprile 2000) e l’utilizzatore, nell’arco di circa 10 mesi, ha versato (al febbraio del 2001) soltanto l’importo di Euro 23,212.12 (somma composta dal primo canone di L. 11.232.94 e da dieci canoni di Euro 1.331,02). Dalla rivendita del bene (ritirato nel luglio 2001 con l’intervento dell’ufficiale giudiziario) il concedente ha successivamente ricavato l’importo di Euro 17.043,08, sicché il confronto delle prestazioni eseguite dalle parti evidenzia uno sbilancio di Euro 34.631.05 in pura linea capitale a sfavore dell’appellante, cui devono aggiungersi i costi vivi sostenuti per il ritiro e la ricollocazione sul mercato del bene (costi di almeno Euro 2.449,03 come emerge dai documenti non contestati prodotti sub 14-17) e, soprattutto, devono aggiungersi i rilevanti costi finanziari dell’anticipazione, tali da rendere nel complesso tutt’altro che eccessivo l’importo ingiunto di Euro 43.412.05 anche solo nella prospettiva del danno emergente, trascurando le legittime aspettative di guadagno che il concedente poteva attendersi dalla puntuale esecuzione del contratto fino alla fisiologica scadenza.
8. Come appare chiaro da tale motivazione la pronunzia ha riguardato l’ammontare del risarcimento del danno risultante dall’applicazione della clausola penale e la sua congruità rispetto all’interesse dei creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per spese,oltre spese generali ed accessori come per legge.

Depositata in Cancelleria il 20.12.2012

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