Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 17 ottobre 2013, n. 42625
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza del 15/7/2011, dichiarava V..P. colpevole di violenza sessuale nei confronti delle proprie figlie, delle quali due minorenni; di maltrattamenti nei confronti di una di esse (Ve. , infradecenne), che costringeva, peraltro, a commettere reati contro il patrimonio; F..P. per maltrattamenti nei confronti della sorella Ve. e di concorso, con F..O. , anch’egli riconosciuto responsabile, nel reato di violenza sessuale in danno della predetta Ve. ; A..P. dei reati di cui agli artt. 81 cpv, 609 bis, 609 ter, co. 1, n. 5, e co. 2 cod.pen., in danno delle nipoti F. , M. e Ve. , e di cui all’art. 600 bis, co. 2 cod.pen., perché pagava somme di denaro in cambio dei predetti rapporti sessuali, versandole ai genitori delle predette nipoti; tutti gli imputati venivano condannati alle pene ritenute di giustizia.
La Corte di Appello di Napoli, chiamata a pronunciarsi sugli appelli interposti nell’interesse dei prevenuti, con sentenza del 6/12/2012, in parziale riforma del decisum di prime cure, ha ridotto ad ognuno di essi le pene rispettivamente inflitte, confermando il giudizio di responsabilità, per i reati contestati, a carico di tutti i prevenuti.
Propongono autonomi ricorsi per cassazione i prevenuti, con i seguenti motivi:
– P.V. e A. , sia personalmente, che a mezzo del loro difensore, eccepiscono la inutilizzabilità delle dichiarazioni, rese dalle minori Pe.Ve. e M. in sede di incidente probatorio tramite formulazione di domande nocive, suggestive e lesive del diritto all’autodeterminazione dichiarativa del teste;
– vizio di motivazione, rilevando che, a fronte di una contestazione imputativa inequivoca, rapporti sessuali completi, la Corte territoriale ha riconosciuto la penale responsabilità dei prevenuti per il tramite di una falsa e viziata interpretazione di atto sessuale “completo”, rilevante ex art. art. 609 bis cod.pen.;
– insussistenza di prove su minacce o violenze poste in essere dai prevenuti nei confronti delle presunte vittime;
– difetto di prova in relazione alla finalizzazione sessuale delle asserite elargizioni di denaro fatte dall’A..P. ;
– insussistenza di prova in relazione al reato ex art. 611 cod.pen. ascritto a V..P. ;
– peraltro, l’affermazione della penale responsabilità di P.V. ed A. risulta dal giudice di merito sostanzialmente fondata solo sul riferito della parte civile Pe.Ve. . Il narrato dalla stessa fornito è, però, nettamente smentito, non solo da quanto dichiarato dalla sorella Maria, la quale aveva negato di avere subito violenze da parte del padre e dello zio, ma anche dalla documentazione clinico – sanitaria, attestante lo stato di verginità della predetta Maria, elemento questo che intacca, in maniera netta, il giudizio di credibilità espresso dai giudici di merito sulle dichiarazioni rese da Ve. e, conseguentemente, determina il venir meno di ogni prova della sussistenza dei reati contestati agli imputati;
– vizio di motivazione in ordine al diniego della rinnovazione della istruttoria dibattimentale, al fine di disporre perizia sullo stato di capacità della Ve..Pe. , nonché perizia medico-legale volta ad accertare la condizione di verginità delle due ragazze (Ve. e M. );
– per F..P. : insussistenza di prove in relazione al reato di maltrattamenti contestato all’imputata, essendo, di contro, emerso che la stessa, dal momento del decesso della madre, si era preoccupata di badare alle sorelle minori (testi Pe.Li. e Fr. );
– insussistenza di elementi probatori, atti a rappresentare la responsabilità della prevenuta in ordine al reato ex artt. 110, 81, 609 bis cod. pen., commesso nei confronti della sorella Ve. , da quest’ultima denunciato, la cui credibilità, però, è da ritenere smentita dagli esiti della visita sanitaria a cui M. si è sottoposta, da cui è risultato lo stato di verginità di costei;
– per O. : vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine alla attribuzione di credibilità delle dichiarazioni rese da Ve..Pe. , sconfessate da risultanze processuali, in specie, da quanto affermato da M..P. e dall’esito del predetto accertamento sanitario, circostanza, questa, che va ad elidere la ritenuta credibilità del dichiarato della Pe.Ve..
Considerato in diritto
I ricorsi si palesano fondati e vanno accolti, per quanto di seguito specificato.
La pronuncia di condanna degli imputati, in relazione a tutti i reati, in particolare agli abusi sessuali in contestazione, resa dal Tribunale e confermata dalla Corte territoriale, si fonda sul giudizio di piena attendibilità, attribuito dai giudici di merito a Ve..Pe. , e di credibilità del narrato dalla stessa offerto; coerenza e intrinseca attendibilità, riscontrata, ad avviso dei decidenti, da plurimi elementi estrinseci; attendibilità contestata da tutti i ricorrenti, con specifica censura.
Orbene, il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata pronuncia, in correlato all’esame dei motivi di annullamento, avanzati dai prevenuti nei rispettivi atti di impugnazione, induce questo Collegio a procedere alle seguenti osservazioni:
– in sede di incidente probatorio, le versioni dei fatti fornite da Pe.Ve. e M. sono state del tutto opposte: la prima afferma di essere stata, unitamente alla sorella, vittima di abusi sessuali da parte degli imputati; la seconda nega tale circostanza.
Il decidente ritiene attendibile Ve. , ma non M. .
– in sede di giudizio di appello viene prodotta dalla difesa di P.V. e A. una certificazione medica, rilasciata a Maria dall’Ospedale Cardarelli di Napoli, comprovante lo stato di verginità della ragazza; elemento questo che, ad avviso della stessa difesa, avrebbe dovuto indurre il decidente a rivedere il giudizio valutativo espresso sulla credibilità delle due ragazze.
Secondo la Corte distrettuale, però, tale dato, accertato documentalmente, non inficia la ricostruzione dei fatti ascritti agli imputati, né incide sulla credibilità complessiva del narrato di Ve..Pe. nella parte in cui ha descritto, dettagliatamente e con dovizia di particolari, gli abusi sessuali subiti anche dalla sorella M. .
Invero, prosegue la Corte, dalla lettura integrale della deposizione di Ve. non emerge che la stessa, in sede di incidente probatorio, abbia descritto nel dettaglio di penetrazioni vaginali seguite da sanguinamento e dolore, che si accompagnavano agli atti sessuali indicati, posti in essere dagli appellanti.
Anzi, quando la ragazza racconta i fatti, narra che le persone che abusavano di lei e della sorella M. pervenivano alla eiaculazione, elemento questo che permette di qualificare completi i predetti rapporti sessuali, come contestato nel capo di imputazione, perché, così, l’agente aveva soddisfatto del tutto il proprio istinto sessuale, pur non causando la perdita della verginità delle due vittime.
In base a tale iter argomentativo il giudice di seconde cure ha rigettato la richiesta, formulata dalla difesa dei P. , di disporre ctu al fine di accertare lo stato di verginità o meno delle due ragazze.
Sennonché, sul punto, invero, il decidente ha omesso di valutare una delle risultanze probatorie, acquisite in atti del processo, evidenziata dalla difesa dei prevenuti: Ve. ha dichiarato alla ctu, nominata dalla Polizia di Caserta, Dott.ssa S. (relazione del 27/4/2008), di essere stata costretta dall’O. a subire rapporti sessuali completi, che le avevano causato la conseguente fuoriuscita di sangue, determinata dalla procurata deflorazione. Episodio, questo, confermato anche dalla C. , sentita a s.i.t. dal Tribunale per i Minorenni.
Tali rilievi pongono in evidenza: in primis, una non compiuta ed esaustiva argomentazione motivazionale, posta a sostegno della affermazione di credibilità, come valutata dai giudici di merito, della versione dei fatti fornita da Ve. , riconosciuta dagli stessi decidenti la fonte di prova primaria a sostegno della tesi accusatoria in relazione a tutti i reati in contestazione; secondariamente, una errata giustificazione a sostegno del rigetto della istanza di rinnovazione istruttoria invocata dalle parti, tendente ad accertare lo stato di illibatezza delle ragazze.
I ravvisati vizi argomentativi permettono di rilevare che il giudice di merito non ha colto appieno la verità processuale, così che l’affermazione di colpevolezza si palesa priva di un corretto paradigma logico-giustificativo, indispensabile per riconoscere, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dei prevenuti, in ordine ai reati ad essi ascritti.
Questo Collegio, pertanto, ritiene di dovere annullare con rinvio la ‘sentenza impugnata, affinché il giudice ad quem proceda ad un riesame delle risultanze processuali, con compiuto riscontro alle istanze delle parti, ut supra evidenziato, così da fornire adeguata ed esaustiva giustificazione al pronunciando decisum.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, altra sezione.
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