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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  del 15 gennaio 2013, n. 791

Svolgimento del processo

1. I coniugi R. , in proprio e nella qualità di legali rappresentanti del figlio minore G. , convennero in giudizio (nel 2001) dinanzi al Tribunale di Treviso, sezione distaccata di Castelfranco Veneto, la ULSS n. (…) di Castelfranco, chiedendo il risarcimento dei danni per le lesioni cerebrali del minore, ascrivibili alla condotta colpevole dei sanitari dell’ospedale: durante il travaglio (in ordine alla mancata interpretazione dei dati emergenti dalle analisi e dagli accertamenti effettuati, quale sofferenza ipossica); nella scelta della tecnica per il parto (v.e.m, piuttosto che taglio cesareo o forcipe); nell’immediata fase post-partum (in riferimento alla omessa intubazione, alla omessa somministrazione di sostanza tampone, idonee a ridurre le conseguenze neurologiche).
Nel contraddittorio con le tre compagnie di assicurazione, chiamate in garanzia dalla ULSS, venne espletata consulenza tecnica e vennero chiesti chiarimenti ad altri consulenti tecnici.
Il Tribunale rigettò la domanda.
La Corte di appello di Venezia, che provvide a disporre nuova consulenza, rigettò l’impugnazione proposta dai coniugi (sentenza del 5 ottobre 2011).
2. Avverso la suddetta sentenza, i coniugi R. , anche nella qualità di rappresentanti del minore, propongono ricorso per cassazione con tre motivi, esplicati da memoria.
La ULSS e la A.Spa resistono con distinti controricorsi e depositano memoria.
I. A. Spa e F. S. Spa, ritualmente intimate, non svolgono difese.

Motivi della decisione

1. La Corte di merito ha rigettato la domanda, confermando la sentenza del primo giudice, che escludeva la sussistenza del nesso causale, sulla base delle seguenti, essenziali, argomentazioni.
a) Tutti i consulenti tecnici hanno escluso che si sia verificato un evento acuto ipossico durante il travaglio, con la conseguenza che i danni cerebrali del neonato non potevano trovare la loro causa nella sofferenza fetale, ma in cause estranee al parto.
In particolare, secondo il collegio di consulenti di appello:
– il tracciato cardiotocografico non evidenzia patologia asfittica del neonato, perché mai la bradicardia era scesa sotto i 100 battiti al minuto, le decelerazioni erano seguite da buona risalita, i tratti di bradicardia andavano interpretati come scomparsa del battito cardiaco fetale con inserimento del battito materno, legata a movimenti volontari e involontari della gestante;
– un giro di funicolo non può considerarsi sicura causa di patologia asfittica fetale in assenza di alterazioni patologiche del tracciato cardiotocografico;
– è stato “normale” l’utilizzo della ossitocina durante il parto ed è escluso che tale farmaco abbia determinato una iperstimolazione ossitocica;
– l’acidosi fetale riscontrata era lieve/moderata, con valori che non richiedevano alcun specifico trattamento.
b) Al contrario di quanto sostiene l’appellante, la sofferenza ipossica del feto durante il parto, quale fatto potenzialmente produttivo del danno, non può essere presunta sino a prova contraria da parte della struttura ospedaliera, valendo la presunzione solo in riferimento alle condotte colpose, la cui indagine è successiva all’accertamento dell’esistenza del nesso causale.
c) L’esistenza del fatto (sofferenza ipossica) potenzialmente produttivo del danno non può che essere accertato mediante consulenza, su base probabilistica e in applicazione delle regole scientifiche. E, secondo i consulenti, i dati non erano tali da indurre i medici a ritenere che vi fosse una sofferenza fetale.
d) Sotto un diverso profilo, consegue l’esclusione della negligenza dei medici, che sulla base dei dati a disposizione non potevano essere indotti a ritenere in atto una sofferenza fetale, nella scelta del metodo del parto e nella mancata intubazione del neonato.
2. I tre motivi di ricorso – con i quali si deduce la violazione degli artt. 1218, 2697, 1223, 1225 cod. civ. e dell’art. 191 cod. proc. civ. – sono strettamente connessi.
I ricorrenti mettono in evidenza: – che le consulenze non escludono che vi sia stata sofferenza durante il travaglio, ma ritengono che non vi sono segni certi di ipossia neonatale; – che, comunque, il giudice avrebbe dovuto ritenere la mancata certezza in ordine alla ipossia, atteso che, i tratti di bradicardia erano stati interpretati come perdita di BCF e inserimento del battito materno, senza che dalla cartella clinica risultasse tale rilievo, riconducibile a malfunzionamento della macchina; che il mancato rilievo del giro di funicolo era stato basato sull’assenza di alterazioni patologiche del tracciato cardiotocografico.
La Corte di merito avrebbe errato: nel ritenere certa l’assenza di ipossia neonatale, mentre i consulenti avevano affermato che non era certa la presenza di ipossia; nel non valutare criticamente le affermazioni deducenti dei consulenti a proposito della mancata percezione del battito, in mancanza di attestazioni sul cattivo funzionamento del macchinario, cui si collegavano le conclusioni relative al mancato rilievo del giro di funicolo. In tal modo, escludendo il nesso causale, mentre alla struttura sanitaria sarebbe spettato provare la mancanza di sofferenza fetale e la riconduzione del tracciato al mal funzionamento della macchina (primo motivo) Inoltre, la certezza della presenza o della assenza di ipossia si sarebbe potuta avere attraverso l’emogasanalisi sul sangue del cordone ombelicale, che solo l’ospedale avrebbe potuto disporre. Mentre, l’emogasanalisi era stata disposta solo dal pediatra 40 minuti dopo e, comunque evidenziava – dopo che il neonato era stato rianimato – acidosi metabolica. Con la conseguenza che l’ospedale debitore non avrebbe mai potuto liberarsi della propria responsabilità avvantaggiandosi del proprio inadempimento (secondo motivo).
Ed ancora, al fine di ritenere certa l’assenza di evento acuto ipossico durante il travaglio, la sentenza avrebbe errato nel ritenere, sulla base della consulenza, “normale” l’utilizzo della ossitocina durante il parto e nell’escludere che tale farmaco avesse determinato una iperstimolazione ossitocica. Tanto, in mancanza di dati della cartella clinica concernenti il dosaggio; in tal modo facendo operare a svantaggio del danneggiato la difettosa tenuta della cartella clinica (terzo motivo).
3. Le censure articolate con i motivi di ricorso sono in parte inammissibili, in parte infondate.
In estrema sintesi, pur censurando la sentenza sotto il profilo della violazione dei principi dell’onere probatorio, i ricorrenti si dolgono dei risultati delle consulenze tecniche e del fatto che il giudice li avrebbe acriticamente recepiti. Inoltre, assumendo, contemporaneamente, un altro punto di vista – sul presupposto che l’esito finale delle consulenze è diverso da quello ritenuto dal giudice, essendo di incertezza sull’essersi verificata l’ipossia neonatate e non di certezza sulla esclusione del suo verificarsi – sostengono che il giudice avrebbe errato nel non far ricadere l’incertezza sulla struttura ospedaliera, essendo questa l’unica che avrebbe potuto compiere quell’accertamento idoneo a pervenire alla certezza sull’esistenza o meno della ipossia.
3.1. Sotto il primo profilo le censure sono inammissibili.
All’evidenza, non è la sede di legittimità quella idonea a svolgere critiche ai risultati delle consulenze tecniche.
Quanto, poi, alle censure concernenti l’acritica adesione che il giudice avrebbe prestato alle consulenze, dando credito alle considerazioni deducenti dei consulenti, alle valutazione del risultato del tracciato cardiotocografico, senza che vi fossero attestazioni di cattivo funzionamento del macchinario, alla valutazione come normale della dose di ossitocina somministrata, senza che dalla cartella clinica risultassero le modalità di somministrazione, è sufficiente dire che il vizio dedotto avrebbe dovuto essere quello di insufficienza e contraddittorietà di motivazione e non di sola violazione di legge. Infatti, la Corte, stante il carattere tipico e tassativo dei vizi dinanzi ad essa prospettabili, in presenza della deduzione di violazioni di legge, non può sindacare l’eventuale insufficienza e contraddittorietà della motivazione sul fatto controverso.
3.2. Sotto il secondo profilo, per certi aspetti anche inammissibile, il ricorso deve rigettarsi.
Dalla mancata idoneità delle censure di cui al paragrafo che precede, deriva che è oramai incontroverso che, secondo l’assunto della Corte di merito, l’evento acuto ipossico durante il travaglio è stato escluso dai consulenti. Risulta certo il fatto (assenza di ipossia) idoneo ad escludere il nesso causale tra i comportamenti idonei a causare il danno (mancata scelta del taglio cesareo) e il danno. Conseguentemente, non può avere pregio la censura alla sentenza che – sul presupposto secondo cui gli esiti delle consulenza sarebbero nel senso della incertezza in ordine all’accertamento del fatto idoneo ad escludere il nesso causale – prospetta la violazione dell’onere probatorio, invocando quella giurisprudenza della Corte: secondo cui, la prova del nesso causale sussiste quando non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche (Cass. 9 giugno 2011, n. 12686); secondo cui, l’incertezza dell’accertamento non può favorire chi quell’accertamento avrebbe potuto compiere, effettuando l’emogasanafisi sui cordone ombelicale (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3847).
3. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi.
Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m. n. 140 del 2012, seguono la soccombenza nei confronti dei controricorrenti ULSS n. X e Allianz Spa.
Non avendo gli altri intimati svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Depositata in Cancelleria il 15.01.2013

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