Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 9 settembre 2015, n. 36352
Ritenuto in fatto
1. Z.G. ricorre per cassazione impugnando il decreto di archiviazione indicato in epigrafe emesso dal gip presso il tribunale di Savona con il quale è stata ritenuta l’infondatezza della notizia di reato di cui all’articolo 44, comma 1, lettera a) e b), d.p.r. 6 giugno 2001, numero 380.
2. Per la cassazione dell’impugnato decreto Z.G. solleva, a mezzo del difensore, un unico motivo di gravame, qui enunciato, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera c), codice di procedura penale in relazione all’articolo 408, comma 2, codice di procedura penale deducendo la nullità dell’impugnato decreto di archiviazione in relazione agli articoli 127, comma 5, 178 lettera c) codice di procedura penale.
Sostiene il ricorrente di avere formulato, nella qualità di parte lesa, richiesta di essere avvisato qualora la notizia di reato fosse stata archiviata.
Siccome il decreto di archiviazione è stato emesso omettendo l’avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa che ne aveva fatto richiesta, tale omissione determina la violazione del contraddittorio e la conseguente nullità ex articolo 127, comma 5, codice di procedura penale del decreto di archiviazione.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. L’articolo 408, comma 2, codice di procedura penale prevede che l’avviso della richiesta di archiviazione sia notificato, a cura del pubblico ministero alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di voler essere informato circa l’eventuale archiviazione.
Nel caso di specie, non risulta essere stato notificato alcun avviso al ricorrente, che pure ne aveva fatto richiesta.
Tuttavia la norma processuale, in precedenza richiamata, ricollega l’obbligo di informativa alla persona offesa la cui nozione non coincide con quella di danneggiato, in quanto la prima costituisce un elemento che appartiene alla struttura del reato, mentre il danneggiato è portatore di interessi connessi alle conseguenze privatistiche dell’illecito penale (Sez. 5, n. 4116 del 28/01/1983, Bortolotti, Rv. 158854). In particolare la persona offesa dal reato deve essere individuata nel soggetto titolare dell’interesse direttamente protetto dalla norma penale e la cui lesione o esposizione a pericolo costituisce l’essenza dell’illecito, (Sez. 6, n. 21090 del 24/02/2004, Soddu, Rv. 228810).
Ne consegue che il soggetto che assume di avere subito un pregiudizio dalla edificazione abusiva non è persona offesa dal reato, ma solo danneggiato, in quanto parte offesa è esclusivamente la pubblica amministrazione, che è titolare degli interessi attinenti alla tutela territorio protetti dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 6229 del 14/01/2009, P.O. in proc. Celentano ed altri, Rv. 242532).
È perciò inammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto di archiviazione emesso de plano dal giudice per le indagini preliminari, senza che al denunciante, che aveva chiesto di esserne informato, sia stato notificato l’avviso della richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero con riferimento all’infondatezza di una notizia di reato per contravvenzioni urbanistiche perché la legittimazione all’opposizione nei confronti della richiesta di archiviazione, cui è preordinato l’avviso di cui all’art. 408, comma 2, cod. proc. pen., non spetta al danneggiato, essendo persona offesa del reato urbanistico esclusivamente la pubblica amministrazione perché, in tema di violazioni urbanistiche, l’interesse protetto è quello sostanziale della protezione del territorio in conformità alla normativa urbanistica.
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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