Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 31 marzo 2015, n. 6432

 

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28556/2011 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso il suo studio, rappresentato e difeso da se medesimo;

(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del procuratore speciale avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;

(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del procuratore Dott. (OMISSIS), in qualita’ di mandataria di (OMISSIS) SRL (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SOC COOP A RL, (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 710/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/03/2011 R.G.N. 2794/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/11/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega non scritta;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega non scritta;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilita’ o manifesta infondatezza del ricorso e condanna aggravata alle spese di parte soccombente.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione contro la s.r.l. (OMISSIS) (gia’ (OMISSIS) s.p.a. e gia’ (OMISSIS) s.p.a.), la s.p.a. (OMISSIS) (gia’ (OMISSIS) s.p.a., gia’ (OMISSIS) s.p.a., gia’ (OMISSIS) s.p.a.), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), “nonche’, per quanto di ragione”, contro (OMISSIS), il (OMISSIS) Soc. Coop a r l., (OMISSIS) e (OMISSIS), avverso la sentenza del 27 settembre 2011, con cui e’ stato rigettato il suo appello contro la sentenza del Tribunale di Venezia del giugno del 2007, la quale – provvedendo su un giudizio ai sensi dell’articolo 512 c.p.c., introdotto da esso ricorrente a seguito della contestazione dell’intervento da lui spiegato il 13 novembre 2003 nelle procedure esecutive nn. 213 del 1998 e 301 del 1999, introdotte rispettivamente dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) e poi riunite – aveva dichiarato la tardivita’ di detto intervento.

p.2. Al ricorso hanno resistito con separati controricorsi il (OMISSIS), la s.p.a. (OMISSIS) “nella qualita’ di mandataria della s.r.l. (OMISSIS) s.p.a., e la (OMISSIS), mentre non hanno svolto attivita’ difensiva gli altri intimati.

p.3. In vista dell’odierna udienza hanno depositato memoria il ricorrente ed il (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’articolo 152 c.p.c., comma 2, (articolo 360 c.p.c., n. 3); violazione e falsa applicazione, in ogni caso, dell’articolo 565, in relazione all’articolo 596 c.p.c.”.

Vi si censura la motivazione con cui la Corte lagunare ha rigettato il primo motivo di appello, con cui il ricorrente aveva criticato la sentenza del Tribunale, la’ dove aveva considerato tardivo il suo intervento in quanto avvenuto oltre la celebrazione dell’udienza di cui all’articolo 596 c.p.c..

La critica si era sostanziata nella prospettazione, sulla base dell’invocazione del precedente di questa Corte di cui a Cass. n. 90 del 1965, che l’udienza di comparizione di cui all’articolo 596 c.p.c., fissata dal giudice dell’esecuzione per il 17 ottobre 2003, era risultata un’udienza di mero rinvio al 14 novembre 2003 senza un’effettiva trattazione, onde il successivo intervento di esso ricorrente il 13 novembre si sarebbe dovuto considerare tempestivo.

p.1.1. La motivazione della sentenza impugnata, che e’ stata censurata con il motivo, si e’ cosi’ espressa: “la censura e’ infondata e va respinta. L’intervento del (OMISSIS) e’ stato operato infatti oltre il termine perentorio stabilito dall’articolo 565 c.p.c., per la concorrenza dei creditori chirografari nella distribuzione del ricavato nell’udienza ex articolo 596 c.p.c., fissata appunto per il 17/10/03. Del tutto irrilevante, attesa la perentorieta’ del termine, e’ la circostanza che l’udienza poi sia stata differita per la discussione ad altra data, dato che il termine per rendere proficuo l’intervento era gia’ spirato nel momento di celebrazione dell’udienza ex articolo 596 c.p.c., a prescindere dalle vicende successive”.

p.1.2. I testi normativi che vengono in rilievo ratione temporis ai fini dello scrutinio del motivo con riferimento all’attivita’ esecutiva oggetto di giudizio sono quelli anteriori alla riforme di cui al Decreto Legge n. 35 del 2005, conv. dalla Legge n. 80 del 2005.

In particolare, viene in rilievo l’articolo 565 c.p.c., nel testo che, sotto la rubrica “Intervento tardivo”, disponeva in tal senso: “I creditori chirografari che intervengono oltre l’udienza indicata nell’articolo 563, comma 2, ma prima di quella prevista nell’articolo 596, concorrono alla distribuzione di quella parte della somma ricavata che sopravanza dopo soddisfatti i diritti del creditore pignorante e di quelli intervenuti in precedenza e a norma dell’articolo seguente”.

Vengono in rilievo, poi:

a) l’articolo 596 c.p.c., il quale disponeva che: “1. Se non si puo’ provvedere a norma dell’articolo 510, comma 1, il giudice dell’esecuzione, non piu’ tardi di trenta giorni dal versamento del prezzo, provvede a formare un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, e lo deposita in cancelleria affinche’ possa essere consultato dai creditori e dal debitore, fissando l’udienza per la loro audizione. II. Tra la comunicazione dell’invito e l’udienza debbono intercorrere almeno dieci giorni”;

b) l’articolo 598 c.p.c., secondo cui: “Se il progetto e’ approvato o si raggiunge l’accordo tra tutte le parti, se ne da atto nel processo verbale e il giudice dell’esecuzione ordina il pagamento delle singole quote, altrimenti si applica la disposizione dell’articolo 512”.

p.1.3. Il motivo in esame si articola in due distinte censure.

p.1.3.1. Con la prima censura ci si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto perentorio il termine fissato dall’articolo 565, ancorche’ esso sia fissato dalla legge tale senza che essa lo qualifichi tale “espressamente”, siccome impone l’articolo 152 c.p.c., comma 2.

p.1.3.2. La censura e’ priva di fondamento, dato che la giurisprudenza della Corte, con approvazione da parte della dottrina, intende la prescrizione della previsione espressa di cui a detta norma non gia’ nel senso che essa imponga di intendere perentorio solo quel termine, previsto per una determinata attivita’ processuale, che una data norma dica tale con una proclamazione formale della perentorieta’, bensi’ nel senso che la norma di previsione del termine possa rivelarlo tale anche per il tramite della sola considerazione del profilo della sua funzione. Sicche’ ad integrare una norma di previsione di un termine perentorio si ritiene sufficiente anche soltanto l’acquisizione, all’esito della ricognizione della norma che preveda, direttamente od indirettamente, un termine per una certa attivita’, della sua necessaria natura perentoria per il fatto stesso che, nella sequenza procedimentale in cui detta previsione si inserisce, soltanto l’attribuzione di quella natura consenta il funzionamento della norma, cioe’ l’assicurazione dell’esigenza di disciplina cui essa e’ deputata.

Si veda, nella logica ora indicata, Cass. n. 5074 del 1997, secondo cui “Sebbene l’articolo 152 c.p.c., disponga che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che questa li dichiari espressamente perentori, non si puo’ da tale norma dedurre che, ove manchi un’esplicita dichiarazione in tal senso, debba senz’altro escludersi la perentorieta’ del termine; nulla vieta infatti di indagare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba esser rigorosamente osservato, e sia quindi perentorio, come deve ritenersi, pur non essendo dichiarato tale dalla legge, per il termine di cinque giorni prima dell’udienza entro il quale devono costituirsi (L.F., articolo 98, comma 3) i creditori esclusi dallo stato passivo del fallimento che abbiano proposto l’opposizione di cui allo stesso articolo 98, in considerazione delle esigenze di certezza e celerita’ del procedimento di verifica dello stato passivo fallimentare, con la conseguenza che dalla inosservanza di tale termine deriva la decadenza dell’opposizione, non sanabile da una riproposizione di essa, che in quanto tardiva, e’ da dichiarare inammissibile”; e si veda ancora il leading case di cui a Cass. n. 3216 del 1960 per l’affermazione che “sebbene l’articolo 152 c.p.c., disponga che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che questa li dichiari espressamente perentori, non si puo’ da tale norma dedurre che, ove manchi una esplicita dichiarazione in tal senso, debba senz’altro escludersi la perentorieta’ del termine; nulla vieta infatti di indagare se, a prescindere dal dettato della norma un termine, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba essere rigorosamente osservato”.

Sulla base dei ricordati principi circa l’individuazione di un termine come perentorio, ben si comprende come l’articolo 565 c.p.c., nel testo applicabile alla controversia, quando ammetteva, qualificandolo come tardivo l’intervento avvenuto “oltre l’udienza indicata nell’articolo 563, comma 2, ma prima di quella prevista dall’articolo 596 c.p.c.”, certamente individuava – salvo lo stabilire in che cosa si dovesse identificare – il momento collocantesi prima dell’udienza prevista dall’articolo 596 come un termine ultimo per potersi considerare possibile e, quindi, ammissibile quell’intervento: invero la previsione normativa, la’ dove stabiliva il momento prima del quale l’intervento tardivo poteva comunque avvenire, per il fatto stesso che vi ricollegava gli effetti del concorso residuale alla distribuzione, e dunque effetti incidenti sull’attivita’ da compiersi in funzione di essa nell’udienza di cui all’articolo 596 c.p.c., cioe’ l’approvazione del progetto di distribuzione oppure, in mancanza, l’insorgenza delle condizioni per il giudizio a sensi dell’articolo 512 c.p.c., e dunque su una fase ulteriore dello svolgimento della procedura esecutiva, evidenziava, per la contraddizione che non le consente, la chiara intenzione del legislatore di ricollegare tali effetti soltanto all’intervento che comunque fosse avvenuto prima del momento fissato, cioe’ prima dell’udienza di cui all’articolo 596 c.p.c., restando esclusa invece ogni incidenza e rilievo dell’intervento avvenuto successivamente.

Un intervento avvenuto successivamente, del resto, se si fosse potuto considerare rilevante e non irrilevante, cioe’ inammissibile avrebbe determinato un’incidenza sulla stesa attivita’ da svolgersi nell’udienza di cui all’articolo 596 c.p.c., e, quindi, un’incidenza del tutto contraria al modus operandi voluto dal legislatore, che imponendo come momento finale quello collocantesi prima di quell’udienza aveva chiaramente espresso l’intenzione di consentire l’inserimento tardivo nella procedura esecutiva di altri creditori solo prima dell’inizio dell’attivita’ da svolgersi nell’udienza stessa e di escluderlo invece dopo. E cio’, com’e’ intuitivo, proprio per consentire che quell’attivita’ potesse svolgersi sulla base di una situazione orami definita in ordine alla platea dei creditori potenzialmente concorrenti alla distribuzione. Di fronte, pertanto, ad una previsione di un momento entro il quale l’attivita’ di intervento tardivo poteva essere compiuta, la considerazione di tale momento come significativo di una previsione di un termine perentorio si presentava correlata allo stesso profilo funzionale della previsione di quel momento, cioe’ come indispensabile per assicurare lo scopo ricollegato a detta previsione.

Poiche’ considerare rilevante un intervento dopo quel momento avrebbe alterato lo scopo perseguito dal legislatore, quello di consentire che prima dell’udienza dell’articolo 596 c.p.c., fosse delineata la platea dei possibili creditori concorrenti, ex necesse l’articolo 565, conteneva un termine perentorio.

1.3.3. Va rilevato che le considerazioni espresse fin qui per giustificare l’esistenza nell’articolo 565, nel testo applicabile al giudizio di un termine ultimo e, dunque, perentorio per l’intervento tardivo, si attagliano anche al testo dell’articolo 565 c.p.c., introdotto dal Decreto Legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni dalla Legge n. 263 del 2005, e che ha sostituito nella norma il riferimento al soppresso articolo 363 c.p.c., comma 2, con il riferimento al nuovo articolo 564 c.p.c., che prevede il termine per potersi considerare tempestivo un intervento negli stessi termini previsti da quel comma 2.

Il principio di diritto che giustifica il rigetto della prima censura del primo motivo e’ allora il seguente: “L’articolo 565 c.p.c., tanto nel testo anteriore alla sostituzione operata dal Decreto Legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, nella Legge n. 263 del 2005, quanto nel testo sostituito, nell’indicare gli effetti dell’intervento tardivo dei creditori chirografari identificandoli in quelli intervenuti oltre l’udienza fissata per la vendita (quella dell’articolo 563, comma 2, nel testo vecchio e quella di cui all’articolo 564 c.p.c., nel testo nuovo) e prima di quella prevista nell’articolo 596 c.p.c., individuava questo momento come termine perentorio per l’ammissibilita’ di tale intervento”.

p.1.4. Con una seconda censura il motivo si muove, invece, nella logica della perentorieta’ del termine, negata dalla prima censura ed invoca a sostegno dell’assunto che nel caso di specie l’osservanza del termine si sarebbe dovuta correlare all’udienza del 14 novembre 2003, il precedente di cui a Cass. n. 90 del 1965 c.p.c., secondo cui: “L’intervento, predisposto per consentire ai creditori iscritti o privilegiati di partecipare alla distribuzione delle somme conseguite dalla vendita dei beni espropriati, e’ valido ed operante se spiegato prima dell’udienza prevista dall’articolo 596 c.p.c., cioe’ dell’udienza che il giudice dell’esecuzione, nel depositare in cancelleria il progetto di distribuzione, fissa per l’audizione dei creditori e del debitore, il termine predetto ha natura perentoria ma, nonostante il suo carattere d’indilazionabilita’, non puo’ non ritenersi condizionato all’effettiva celebrazione di quell’udienza la quale,in tanto puo’ funzionare da dies ad quem in quanto l’adempimento processuale della discussione del progetto abbia avuto effettivamente luogo. (Nella specie, l’udienza fissata per l’audizione delle parti, fu rinviata per l’irregolare notificazione dell’avviso al debitore esecutato)”. (Cass. n. 90 del 1965).

p.1.4.1. La censura e’ priva di fondamento, atteso che il precedente invocato e’ del tutto carente di pertinenza con il caso di specie.

Va premesso che il principio consolidato che governava l’esegesi dell’articolo 565 c.p.c., nel testo applicabile in questo giudizio, ma che puo’ e deve governare anche quella del testo vigente, era il seguente: “Nel processo esecutivo e’ precluso l’intervento ai creditori, ancorche’ privilegiati, durante o dopo la celebrazione dell’udienza di discussione del progetto di distribuzione del ricavato della vendita, di cui all’articolo 596 c.p.c.. A tale regola non si puo’ derogare nemmeno nel caso in cui, dopo l’approvazione del progetto di distribuzione, vengano acquisite alla procedura nuove somme di denaro ed il giudice fissi una nuova udienza per le conseguenti modifiche del progetto di distribuzione, in quanto tale udienza non solo non e’ necessaria, ma ha finalita’ meramente esecutive del progetto di distribuzione, che non puo’ essere ridiscusso”. (Cass. n. 9285 del 2912; (ord.) n. 23393 del 2012).

Da tali principi emerge che l’esegesi dell’articolo 565 c.p.c., tanto nel testo vecchio che nel testo nuovo, e’ stata condotta sostanzialmente assumendosi che il termine per gli interventi tardivi e cio’ tanto se si tratti di creditori chirografari, quanto se si tratti di creditori privilegiati (articolo 566 c.p.c.), viene identificato in un momento che si collochi prima che abbia luogo l’inizio dello svolgimento dell’udienza di cui all’articolo 596 c.p.c., con riferimento alle attivita’ che debbono compiersi in essa.

Il lontano precedente del 1965 si riferiva ad un caso nel quale, invece, all’udienza di cui al’articolo 596 c.p.c., si era constatata la presenza di una nullita’ relativa all’avviso al debitore esecutato e, dunque, un impedimento allo svolgimento dell’attivita’ che in essa si sarebbe dovuta compiere, che aveva imposto di rinviarla ad altra data per il rinnovo dell’avviso. Dunque si trattava di un caso in cui l’udienza di cui all’articolo 596 quanto alle attivita’ che in esse si debbono e si possono compiere non si era potuta tenere ed aveva avuto luogo soltanto un’attivita’ (espressione della norma dell’articolo 162 c.p.c.) diretta rimediare ad una nullita’ che impediva la trattazione per quanto relativo a quelle attivita’.

Poiche’ il differimento dell’udienza si era concretato nella conseguenza che l’attivita’ di trattazione da compiersi ai sensi dell’articolo 596 c.p.c., e, dunque, la stessa udienza da esso prevista per detta attivita’, non era stata possibile si comprende come la fissazione di una nuova udienza pote’ consentire di ravvisare ammissibile l’intervento spiegato nelle more, perche’ tale intervento bene si poteva e doveva apprezzare come intervento avvenuto prima dell’udienza ex articolo 596 c.p.c., e cio’ perche’ l’udienza in cui ebbe luogo il rilievo della nullita’, pur fissata nel relativo provvedimento come udienza ai sensi di quella norma, non ebbe tale natura, in quanto non vi si svolse l’attivita’ di cui all’articolo 596 c.p.c., sebbene programmata, bensi’ soltanto l’attivita’ rimediale alla nullita’.

Nel caso che si giudica, invece, l’udienza fissata ai sensi dell’articolo 596 c.p.c., ebbe luogo, come ha allegato lo stesso ricorrente e come si rileva dal verbale da lui prodotto, con un’attivita’ di trattazione tipicamente propria di essa, perche’ in essa si constato’ che vi era stato l’intervento di un creditore no contemplato nel piano di riparto, cioe’ il (OMISSIS), e si rilevo’, da parte del giudice dell’esecuzione, l’opportunita’ di un rinvio per un aggiornamento del riparto, fissando anzi un termine per il deposito al 4 novembre 2003.

Dunque, non solo non si fece luogo ad un rinvio per rimediare a pregresse nullita’ impedienti lo svolgimento dell’attivita’ di trattazione propria dell’udienza di cui all’articolo 596 c.p.c., ma si fece invece luogo ad una attivita’ riconducibile proprio al profilo funzionale di essa.

Il rinvio per l’aggiornamento del piano di riparto in ragione di un intervento tardivo avvenuto prima dell’udienza de qua ma dopo la sua predisposizione e’, infatti, attivita’ che certamente rappresenta attivita’ da svolgersi in seno all’udienza di cui all’articolo 596 c.p.c.: cio’, per il fatto stesso che, essendo gli interventi tardivi ammissibili prima della detta udienza e dunque anche in un momento in cui, sulla base della situazione degli interventi pregressi, il piano di riparto da discutere sia gia’ stato depositato e comunicato con la fissazione dell’udienza per l’audizione dei creditori e del debitore (come impongono i testi dell’articolo 596 ante e dopo la riforma del 2006, le cui modifiche non rilevano in parte qua), e’ palese che la verificazioni di interventi dopo che sia intervenuto quel deposito e dopo la comunicazione e fissazione dell’udienza, impone proprio in essa nuove valutazioni relative al riparto in quanto possano e debbano avere rilevanza i detti interventi. Poiche’ tali valutazioni del giudice, degli altri creditori e del debitore e, dunque, la relativa attivita’, non possono che svolgersi, come si sono svolte nella specie, proprio nell’udienza ex articolo 596 c.p.c., e’ palese che quanto avvenuto nell’udienza del 17 ottobre 2003 fu nella specie attivita’ di espletamento dell’udienza di cui a detta norma ed il rinvio all’udienza del 14 novembre determino’ soltanto la prosecuzione di tale udienza in altra data.

Ne segue che, essendo pacifico che l’intervento del ricorrente avvenne nelle more di tale rinvio (13 novembre 2003), esso si colloco’ come intervento oltre il termine perentorio fissato dall’articolo 565 c.p.c., perche’ non avvenuto prima dell’udienza ex articolo 596 c.p.c., bensi’ quando essa era gia’ iniziata ed era stata rinviata per la prosecuzione.

La previsione nell’articolo 565 vecchio e nuovo teste del momento finale degli interventi chirografari tardivi in “prima” dell’udienza di cui all’articolo 596 c.p.c., implicava come implica a ben vedere che il termine ultimo e perentorio per tali interventi (e non diversamente e’ da dire per quelli dell’articolo 566 c.p.c.) si identificasse e si identifichi in un momento anteriore alla data ed all’ora (dato che la norma, nell’uno come nell’altro testo, si riferisce genericamente all’udienza, che e’ fissata in una certa data e ad una certa ora) fissata per l’udienza dell’articolo 596 c.p.c., in quanto tale udienza avesse avuto o abbia luogo con lo svolgimento della attivita’ da compiersi in essa secondo il suo profilo funzionale e dunque con un’attivita’ di trattazione anche non esaurita che ne fosse o ne sia espressione.

Ove, invece, come nel caso della remota decisione del 1965 tale attivita’ di trattazione non avesse avuto o non abbia luogo all’udienza all’uopo fissata per una nullita’ impediente e da rimediarsi con la fissazione di altra udienza, l’intervento restava come resta possibile.

La ragione dell’esclusione della preclusione degli interventi tardivi per effetto della tenuta dell’udienza ai sensi dell’articolo 596 c.p.c., soltanto con un simile contenuto si rinviene agevolmente tenendo conto che in questo caso l’udienza non ha luogo con lo svolgimento dell’attivita’ che vi si dovrebbe svolgere secondo il suo profilo funzionale, bensi’ con un’attivita’ che serve per disporre una nuova udienza in modo rituale: dunque non avrebbe senso escludere interventi prima di essa perche’ l’esclusione si risolverebbe nel precludere quello che la norma dell’articolo 565 ammette come possibile prima dell’udienza in cui abbia luogo l’attivita’ di cui all’articolo 596 c.p.c..

Si deve ancora osservare che al caso ora considerato va aggiunto quello in cui all’udienza fissata abbia luogo un mero rinvio senza alcuna attivita’ di trattazione, come per ragioni di ufficio (ad esempio derivanti da impedimento del giudice e simili): anche in tal caso, infatti, non essendosi svolta alcuna attivita’ di trattazione ai sensi dell’articolo 596 c.p.c., il consentire interventi nelle more della nuova udienza di mero rinvio si risolveva e si risolve nell’ammettere tali interventi in non diversa guisa da come si dovevano e si debbono ammettere interventi dopo il deposito e la comunicazione del riparto e la fissazione dell’udienza, ma prima di essa.

E, dunque, non v’e’ ragione per non adottare la stessa soluzione adottata per il caso di nullita’ impediente lo svolgimento dell’udienza.

p.1.4.2. Va rilevato, in fine, che il consentire un intervento al di fuori dell’ipotesi di rinvio dell’udienza di cui all’articolo 596 c.p.c. per una nullita’ o d’ufficio, ed in particolare quando il rinvio avviene dopo un’attivita’ di trattazione – come nella specie – risulta lettura della norma preclusa dal tenore dell’articolo 565 c.p.c., tanto nel vecchio che nel nuovo testo, la’ dove si rifletta sulla circostanza che la formulazione usata dal legislatore per sancire in modo perentorio, come s’e’ visto, il momento finale dell’intervento tardivo, e’ ben diversa da quella usata per il diverso termine per gli interventi tempestivi.

Nell’articolo 565 si faceva come si fa riferimento al “prima dell’udienza prevista dall’articolo 596 c.p.c.”, mentre ohm nell’articolo 563, comma 2, ed ora nell’articolo 564, si fa riferimento al “non oltre la prima udienza fissata per l’autorizzazione alla vendita”. Dire “prima dell’udienza” significa che l’attivita’ da compiersi si deve collocare anteriormente all’udienza, per cui se questa si tiene con un’attivita’ di trattazione e, quindi, prosegue in altra udienza, non era come no e’ possibile ritenere che interventi successivi fossero e siano possibili. Dire invece “non oltre la prima udienza”, implica che l’attivita’ possa compiersi anche durante il suo svolgimento e costringe ad interrogarsi non tanto sul se, com’e’ scontato, l’intervento sia possibile in caso di mero rinvio di detta udienza, quanto sul se sia possibile anche in un’udienza in prosecuzione, dopo un’udienza di trattazione non conclusasi con l’emissione dell’ordinanza di vendita (cosa che ha fatto Cass. n. 689 del 2012 precisando che “In tema di espropriazione immobiliare, l’intervento dei creditori – sia ai sensi dell’articolo 563 c.p.c., applicabile agli interventi avvenuti prima del 1 marzo 2006, ed abrogato dal Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, articolo 2, comma 3, lettera e), n. 22, convertito nella Legge 14 maggio 2005, n. 80, sia ai sensi dell’articolo 564 c.p.c., come sostituito dal Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, articolo 2, comma 3, lettera e), n. 23, convertito nella Legge n. 80 del 2005 – e’ tempestivo se avvenuto anche oltre la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita, quando, per qualsiasi causa, questa sia stata differita, sempreche’ sia avvenuto prima dell’emissione dell’ordinanza di vendita”).

p.1.4.3. Giusta le svolte considerazioni la seconda censura si deve rigettare sulla base del seguente principio di diritto: “Tanto nel regime dell’articolo 565 anteriore alla sostituzione operata dal Decreto Legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 80 del 2005, quanto nel regime successivo a tale sostituzione, la previsione come momento ultimo della possibilita’ di un intervento tardivo del creditore chirografario prima dell’udienza di cui all’articolo 596 c.p.c., andava e va intesa nel senso che tale intervento e’ ormai precluso dopo che tale udienza abbia avuto inizio (nella data e nell’ora fissate) ed abbia avuto luogo con un’attivita’ di trattazione effettiva ai sensi di detta norma, ancorche’ venga disposto dopo di essa rinvio in prosecuzione della trattazione, mentre esso resta ancora possibile: a) qualora detta udienza, venga tenuta non gia’ con lo svolgimento di una simile attivita’ di trattazione, bensi’ con il solo compimento di attivita’ dirette a rimediare ad una nullita’ impediente il suo rituale svolgimento e dunque abbia luogo una trattazione solo a questo scopo ed in funzione dell’adozione del provvedimento per rimediare alla nullita’, seguendone la fissazione di una nuova udienza per la trattazione ai sensi dell’articolo 596; b) nel caso in cui l’udienza non abbia luogo per mero rinvio derivante da ragioni d’ufficio. In tali casi l’intervento e’ possibile ancora prima dell’udienza di rinvio”.

Per completezza si osserva che la stessa regolamentazione trova applicazione agli interventori privilegiati di cui all’articolo 566 vecchio e nuovo testi c.p.c., data l’identita’ di formulazione del requisito temporale di ammissibilita’ del loro intervento tardivo.

p.2. Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., e segg. (articolo 360 c.p.c., n. 3).

Il motivo addebita inizialmente alla Corte lagunare di avere proceduto ad una liquidazione delle spese giudiziali identica per tutte le parti vittoriose, ma poi si limita ad evocare, riportandolo, un passo motivazionale di Cass. n. 21371 del 2009, che riguarda il dovere del giudice di indicare il sistema di liquidazione adottato, e, quindi, deduce che “la Corte veneta ha proceduto esattamente in senso contrario al dovuto, effettuando una liquidazione costituita da una globale liquidazione dei compensi senza motivazione alcuna, rendendo impossibile ogni controllo di conformita’ alla tariffa professionale, in violazione dell’articolo 91 c.p.c.”.

p.2.1. Il motivo e’ inammissibile, attesa la sua assoluta genericita’: si veda per l’inammissibilita’ del motivo di ricorso per cassazione generico Cass. n. 4741 del 2005, seguita da numerose conformi.

Nella specie, infatti: a) non dice come e perche’ la liquidazione in misura identica a favore di tutte le parti vittoriose non sarebbe stata giustificata; b) allude, prospettando, peraltro, una diversa questione, ad una liquidazione globale, ma la sentenza impugnata ha liquidato le spese distinguendo diritti ed onorari; c) evoca Cass. n. 21371 del 2009 pretendendo di valorizzare l’affermazione da essa fatta circa l’obbligo del giudice di indicare il sistema di liquidazione adottato anche in caso di omesso deposito di nota spese, ma trascura di considerare che detta decisione ha fatto questa affermazione essendo investa di un motivo di ricorso che prospettava quale avrebbe dovuto essere la liquidazione adeguata alla tariffa professionale secondo il tenore della controversia.

p.3. Con il terzo motivo si denuncia “violazione ex articolo 6, comma 1, e articolo 14 della tariffa approvata con Decreto Ministeriale 8/4/2004 n. 127; violazione dell’articolo 112 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.

p.3.1. Il motivo articola una serie di censure, la cui attivita’ assertiva e’ di non facile percezione.

Con quella che parrebbe una prima censura si lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto corretta la liquidazione delle spese nella stessa misura a favore dei vincitori di primo grado e cio’ ancorche’ il solo (OMISSIS) avesse postulato l’infondatezza del motivo di appello sul punto, adducendo che correttamente il primo giudice ave applicato il criterio del valore desumibile alla stregua dell’articolo 17 c.p.c., comma 2, mentre le altre parti si erano rimesse a giustizia, cosi’ riconoscendo fondata la doglianza.

La censura – in disparte l’infondatezza della astratta contestazione circa l’applicazione di quel criterio e della invocazione del criterio del Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 6, (giusta il principio secondo cui “Il giudizio di opposizione al progetto di distribuzione approvato dal giudice dell’esecuzione, ancorche’ e’ qualificato dall’opponente azione revocatoria del piano di riparto, rientra tra i giudizi di opposizione agli atti esecutivi introdotti ai sensi degli articoli 512 e 617 c.p.c.. Ne consegue che, ai fini della liquidazione delle spese di lite, non trova applicazione il Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, articolo 6, comma 1”: cosi’ Cass. n. 4222 del 2014) – e’ inammissibile per inosservanza dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, in quanto, postulando in sostanza che la Corte territoriale avrebbe erroneamente deciso su un motivo di appello, quello relativo all’erroneita’ della liquidazione delle spese, avrebbe dovuto fornire l’indicazione specifica di tale motivo, mentre la sua illustrazione nessuna precisazione svolge al riguardo, astenendosi sia dal riprodurre direttamente il motivo di appello, sia dal riprodurlo indirettamente, indicando la parte in cui nell’atto di appello troverebbe corrispondenza.

p.3.2. Con una seconda censura, svolta nelle pagine 25-26, ci si duole che la Corte territoriale abbia disatteso altri profili dell’appello riguardo alla liquidazione delle spese da parte del primo giudice, ma anche in tale caso si omette l’indicazione specifica dell’atto di appello con cui quei profili erano stati dedotti, onde anche tale cesura impinge in violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, ed e’, pertanto, inammissibile.

p.4. Il ricorso e’, dunque, conclusivamente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014.

Il Pubblico Ministero ha chiesto la condanna ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., u.c., abrogato dalla Legge n. 69 del 2009, articolo 46, ma ultrattivo per il giudizio in corso, stante l’articolo 58, comma 1, stessa legge.

La richiesta non puo’ essere accolta, atteso che la questione di diritto posta con il primo motivo esclude ogni profilo di colpa grave nella proposizione del ricorso, quantomeno con riguardo alla seconda censura, mai esaminata da questa Corte in termini.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alle tre parti resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate a favore di ciascuna in euro ottomiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *