Cassazione logo

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 3 settembre 2014, n. 36709

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. SAVINO Mariapia Gaeta – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/07/2012 della Corte di appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Baldi Fulvio, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza emessa in data 9 luglio 2012, ha riformato la pronuncia resa dal Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Piombino, concedendo a (OMISSIS) il beneficio della non menzione della condanna e confermando nel resto l’impugnata sentenza con la quale la ricorrente era stata condannata alla pena di venti giorni di arresto ed euro 12.000,00 di ammenda per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera b), per avere, in assenza del permesso di costruire, eseguito opere consistenti nella realizzazione di manufatto in muratura con destinazione a servizio igienico, in sostituzione di altro preesistente e fatiscente, collegato a fossa igienica delle dimensioni esterne di mt. 2,00 il lato di ingresso, mt.2,83 il lato finestrato, con altezza massima dell’unico spiovente di mt. 2,68 con copertura in tegole, porta d’ingresso e finestra lato est., con pavimentazione di piastrelle, sanitari, vano doccia e lavabo, forniti di acqua corrente nonche’ nella realizzazione di un manufatto in muratura adibito a forno per cottura cibi, con copertura a due spioventi ancorato su platea in cemento delle dimensioni di mt. 1,80 x 1,60 con altezza la colmo di mt. 2,00 ed i fatti commettendo in epoca antecedente e prossima al (OMISSIS).
Nel pervenire a detta conclusione la Corte territoriale ha escluso che le opere fossero configurabili come pertinenza del manufatto principale ed ha rigettato l’eccezione di prescrizione, risalendo il contratto di acquisto del terreno al mese di febbraio 2007.
2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza ricorre (OMISSIS), per mezzo del proprio difensore, articolando due motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione e falsa applicazione della Legge 25 marzo 1982, n. 94, articolo 7, comma 2, assumendo che le opere erano destinate a servizio e pertinenza di altra cosa, cosi’ come disposto dall’articolo 817 c.c..
Rileva che per tale destinazione trova applicazione la Legge n. 94 del 1982, articolo 7, comma 2, che delinea il concetto di pertinenza al servizio di un edificio gia’ esistente, per la cui esecuzione e’ sufficiente l’autorizzazione e non la concessione del sindaco, trattandosi di manufatti accessori destinati permanentemente a servizio dell’immobile principale, aventi verso quest’ultimo le caratteristiche dell’autonomia fisica, della dipendenza funzionale, della rispondenza ed apprezzabili esigenze d’uso, della proporzionalita’ dimensionale e della compatibilita’ di destinazione d’uso (che ne qualifica la natura accessoriale).
Nella fattispecie la ricorrente acquisto’ un piccolo apprezzamento di terreno con un manufatto principale per trascorrere il fine settimana.
Adiacente al manufatto principale vi era una piccola toilette preesistente e fatiscente.
La ricorrente sostitui’ il gabinetto fatiscente con uno accessibile e realizzo’ un piccolo forno per il barbecue.
2.2. Con il secondo motivo di gravame, eccepisce nuovamente la prescrizione del reato sul rilievo che le fatture di acquisto risalissero all’anno 2006 epoca ampiamente precedente alla data di contestazione del reato fissata all'(OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ manifestamente infondato.
2. Con logica ed adeguata motivazione, priva di vizi logici e pienamente rispondente alle risultanze processuali, la Corte territoriale ha escluso che le opere realizzate (un bagno ed un forno) fossero al servizio di una preesistente baracca di lamiera, osservando come, dai rilievi fotografici eseguiti nel corso del sopralluogo, fosse visibile la presenza di una roulotte verso la quale confluivano i fili di collegamento di un’antenna televisiva.
Da cio’ si e’ logicamente desunto che la ricorrente stesse attrezzando quell’apprezzamento in modo da potervi risiedere, nonostante si trattasse di zona agricola non suscettibile di essere adibita all’uso residenziale, per avervi installato una roulotte, non necessitante di allacci idrici stabili perche’ si era ricostruito il bagno, si era realizzato un forno su una platea in cemento e tutto era stato predisposto per dotarsi di quanto necessario per vivere, permanentemente o anche solo transitoriamente, sul posto.
Secondo la Corte di merito, si era dunque totalmente fuori da una situazione a carattere pertinenziale, essendosi realizzata una nuova opera che, unitamente all’installazione della roulotte, era del tutto scollegata dalla fatiscente baracca in lamiera, indicata come fabbricato di riferimento delle supposte pertinenze, e si inquadrava nettamente in un quadro residenziale, dovendosi escludere la natura pertinenziale anche in considerazione del fatto che le pertinenze non possono eccedere il 20% del volume dell’edificio principale secondo la chiara disposizione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera e) con la conseguenza che, i tali casi, e’ richiesto il permesso di costruire.
Di cio’ non solo non era stata fornita alcuna prova ma le dimensioni del solo bagno (senza neppure calcolare il forno) rendevano evidente, dai precisi e puntuali calcoli che la Corte toscana ha riportato in sentenza, come si fosse ampiamente superata la ricordata percentuale.
Del resto la ricorrente non ha sollevato alcuna obiezione al riguardo, limitandosi ad invocare il disposto della Legge n. 84 del 1982, articolo 7, disposizione insuscettibile di applicazione perche’ abrogata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 136.
Va allora ricordato che rientrano nel concetto di pertinenza – per la quale non e’ necessario il permesso di costruire – soltanto le opere funzionalmente destinate al servizio dell’edificio principale, sicche’ tra l’edificio originario e la nuova opera deve sussistere un rapporto strettamente necessario e consequenziale, ossia un vincolo di strumentalita’ reale che non puo’ quindi desumersi, a differenza della nozione civilistica di pertinenza, esclusivamente dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario o dal possessore.
Sotto tale specifico profilo e’ stato correttamente ritenuto che, ai fini della normativa edilizia, la nozione di pertinenza non e’ completamente sovrapponibile alla nozione civilistica enunciata nell’articolo 817 c.c. richiedendosi che le opere pertinenziali, oltre ad avere una propria individualita’ fisica ed una precisa conformazione strutturale, devono essere preordinate ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, cosi’ che la pertinenza sia funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio di esso, sia sfornita di un autonomo valore di mercato e sia dotata di un volume minimo (ex articolo 3 TUE) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella della migliore utilizzazione dell’immobile cui accede (Sez. 3, n. 18299 del 17/01/2003, Chiappalone, Rv. 224288).
Ne consegue che cio’ che rileva e’ il nesso funzionale e strumentale dell’immobile al servizio dell’edificio gia’ esistente, nel senso che l’opera nuova, oggettivamente, per la sua normale natura e conformazione, non consente altra destinazione che quella di essere adibita in modo durevole al servizio della cosa principale. Sul piano penale, quindi, e’ soltanto l’elemento oggettivo della strumentalita’ funzionale del nuovo immobile rispetto a quello esistente che rileva per stabilire il concetto di pertinenza valido ai fini urbanistici (Sez. 5, n. 9133 del 06/08/1991. Palma ed altro, Rv. 191191).
E’ del tutto eccentrica allora la tesi della ricorrente con la quale insiste, al di la’ delle dimensioni volumetriche di per se’ gia’ sufficienti per radicare l’abuso edilizio, nell’attribuire una funzione pertinenziale ad opere del tutto scollegate dal presunto edificio principale, costituito da una baracca fatiscente ed insuscettibile di porsi come edificio di riferimento che fosse idoneo a stabilire un rapporto di durevole subordinazione degli accessori rispetto al principale.
Ne deriva la manifesta infondatezza del primo motivo.
3. Anche il secondo motivo e’ manifestamente infondato.
La Corte territoriale non solo ha spiegato come non vi fosse alcuna prova che le fatture allegate dalla ricorrente, risalenti all’anno 2006, fossero riconducibili ad operazioni economiche relative alla realizzazione delle opere abusive, posto che l’acquisto del terreno risaliva al febbraio 2007, ma ha anche puntualmente evidenziato come, al momento del sopralluogo (agosto 2008), i lavori (sia del forno che del bagno) fossero in corso, notandosi dai reperti fotografici che il bagno era ancora privo di tinteggiatura esterna, era in corso di approntamento una pavimentazione, anch’essa esterna ed antistante che consentiva di raggiungere il bagno dalle scale in modo sicuro e igienico, ed il forno era in corso d’opera.
Ne consegue l’inammissibilita’ del ricorso.
4. Il termine massimo di prescrizione e’ tuttavia maturato (agosto 2012) tra la data della pronuncia della sentenza impugnata e la data della decisione del ricorso per cassazione.
4.1. Va chiarito che la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso preclude ogni pronuncia circa l’intervenuta prescrizione dei reati, maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata.
E’ costante in proposito l’orientamento di questa Corte secondo il quale l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione preclude ogni possibilita’ di far valere e/o di rilevare di ufficio, ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., l’estinzione del reato per prescrizione (Sez. U, 22/03/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164; nonche’ Sez. U, 22/11/2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266)).
Tanto sul rilievo che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perche’ contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (articolo 591, comma, 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; articolo 606, comma 3), preclude ogni possibilita’ sia di far valere una causa di non punibilita’ precedentemente maturata, sia di rilevarla di ufficio.
Ed infatti l’intrinseca incapacita’ dell’atto invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive gia’ maturate una loro effettivita’ sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente indifferenti per essersi gia’ formato il giudicato sostanziale (cosi’, in termini, Sez. U., Bracale cit.).
5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla cassa delle ammende.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *