CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 3 luglio 2014, n. 15233

Svolgimento del giudizio

Nel novembre 2001 A.A. conveniva in giudizio la Circumvesuviana srl, chiedendone l’accertamento di responsabilità ex artt.2043 e 2051 cc, nonché la condanna al risarcimento, in relazione al sinistro occorsole il 15.2.01; allorquando, scendendo dal treno della società convenuta nella stazione di S. Pietro di Scafati, era caduta tra il predellino del convoglio ed il marciapiede della banchina.
Nella costituzione in giudizio della società convenuta, ed in esito ad istruttoria testimoniale e ctu medico-legale, interveniva la sentenza n.48/04 con la quale il tribunale di Nocera Inferiore – ravvisata nella specie un’insidia imprevedibile ed inavvistabile, nonché la violazione da parte della convenuta del dovere di garantire la sicurezza nelle manovre dei treni – condannava la Circumvesuviana srl al risarcimento dei danni ed alle spese.
Interposto appello principale sul quantum debeatur dalla A., ed appello incidentale dalla Circumvesuviana srl, interveniva la sentenza n.502 del 12.9.07 con la quale la corte di appello di Salerno, in accoglimento del gravame incidentale, respingeva le domande della A.; con compensazione delle spese di lite.
Avverso tale decisione viene dalla A. proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, ai quali resiste con controricorso la Circumvesuviana srl.

Motivi della decisione

§ 1. Con il primo motivo di ricorso la A. lamenta, ex art. 360 1^ co. n.3) cpc, violazione del’art.2051 cc, dal momento che la responsabilità del custode in base a tale norma riguardava eventi derivanti non solo dalla struttura intrinseca della cosa in custodia, ma anche dallo sviluppo di un agente esterno dannoso sorto nella cosa medesima; agente dannoso nella specie individuabile nell’eccessivo spazio venutosi a creare tra il marciapiede ed il treno.
Il motivo è infondato perché – fermo restando il principio indicato in forza del quale la responsabilità del custode ex articolo 2051 cod.civ. può concernere anche il danno verificatosi nell’ambito del dinamismo connaturato alla cosa o derivato dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa medesima – tale evenienza è stata esclusa dalla corte di appello con una motivazione congrua ed esauriente e, come tale, qui non censurabile se non a prezzo di un’inammissibile rivisitazione `in fatto’ della vicenda.
La corte territoriale ha infatti mostrato (sent.pag.9) di farsi carico di tale assunto, riconoscendo che – in linea di principio – la presunzione di responsabilità ex articolo 2051 cod.civ. trova applicazione con riguardo ai danni derivanti sia dall’ intrinseca natura o struttura delle cose in custodia, sia dal loro dinamismo e dall’effetto che su di esse abbiano determinato agenti esterni idonei ad alterarne la natura ed il comportamento. Purtuttavia, nel caso concreto ha ritenuto – sul presupposto, anch’esso corretto, secondo cui la prova del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo debba gravare sul danneggiato, in una con la dimostrazione del fatto che la cosa, nella caduta, abbia svolto il precipuo ruolo di causa e non di mera occasione eziologicamente irrilevante – che si dovesse: – escludere l’esistenza di un’insidia proveniente dalla struttura, ovvero dalla natura o dall’intrinseco dinamismo di una cosa particolare di cui la società convenuta avesse la custodia; – escludere la derivazione anomala della distanza fra marciapiede e treno dallo stato, ovvero dalla conformazione intrinseca, di tali cose; – affermare la rilevanza non già dello stato, in sé considerato, del treno e della banchina, bensì del rapporto che si era venuto a creare tra le stesse in una situazione determinata e contingente e, soprattutto, per effetto `di una condotta umana dotata di esclusiva efficacia causale’ (sent. Pag. 10).
Nel ragionamento del giudice di appello ciò incide proprio sul piano della prova del nesso causale, non risultando che la conformazione delle cose, nel loro stato e rapporto dinamico, concretasse di per sé un’insidia ed una situazione di particolare pericolo.
§ 2. Con il secondo motivo di ricorso, la A. si duole di violazione degli artt. 2051 e 2697 cc, poiché la corte di appello non aveva considerato che la responsabilità del custode ex art. 2051 cit. si estendeva – nel caso di ente gestore di un servizio ferroviario – all’intero percorso di uscita del viaggiatore dalla stazione (Cass.14091/05); ricomprendendo dunque anche lo spazio venutosi a creare tra il treno ed il marciapiede di discesa, nel quale si era verificato l’incidente.
La censura è infondata per le stesse assorbenti ragioni gia evidenziate in ordine al primo motivo di ricorso. Fermo restando il principio qui invocato, è dirimente osservare come la censura non faccia che ampliare la sfera fisica e spaziale della presunzione di responsabilità del custode ex articolo 2051 cit., senza però addurre elementi idonei a sovvertire il ragionamento del primo giudice secondo cui – indipendentemente dall’estensione territoriale del rapporto di custodia rilevante in base alla norma citata – doveva qui ritenersi che l’incidente non fosse dipeso dalle cose in sé (nell’ambito di un assetto e, dunque, di una relazione tra esse effettivamente pericolosa), ma da una condotta umana dotata di efficienza causale esclusiva. Ciò rende irrilevante la suddetta estensione del novero delle cose `in custodia’, vertendosi in sostanza di fattispecie comunque estranea alla responsabilità ex art.2051 cod. civ..
§ 3. Con la terza doglianza, la A. lamenta, ex art.360 1^ co. n.5) cpc, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Ciò in quanto la corte di appello aveva attribuito rilevanza, nella ricostruzione del fatto operata da essa danneggiata ed in contrasto con quanto osservato nella dinamica dell’infortunio, alla circostanza che quest’ultimo fosse dipeso non dallo `stato’ in quanto tale delle strutture (predellino e marciapiede), bensì dal `rapporto’ venutosi a creare tra esse in una determinata e contingente situazione; tale da far ritenere che la caduta fosse dipesa, con incidenza causale esclusiva, dalla condotta umana.
Il motivo non esplicita con la dovuta chiarezza in che cosa si sarebbe concretata la lamentata contraddittorietà; quest’ultima, se riguardata nel binomio ‘stato-rapporto’ tra le cose in custodia, non appare tale. Nel ragionamento della corte di appello, infatti, la ricostruzione dei fatti ha riguardato non soltanto lo stato delle cose in custodia, ma anche il rapporto tra di esse. E per tale via il giudice di merito è arrivato alla conclusione che nemmeno sotto quest’ultimo profilo avesse trovato conferma “lo stato dei luoghi che si asserisce fonte di pericolo”;
essendo quest’ultimo dipeso dal comportamento umano e non dalle cose in custodia comunque considerate. L’assunto della corte di merito appare del tutto esauriente e lineare, oltre che logicamente e giuridicamente corretto, dal momento che: – si verteva nella specie di distanza predeterminata ed invariabile tra predellino di un veicolo su binario e banchina di discesa interna alla stazione; – trovava conferma agli atti di causa l’insussistenza di qualsivoglia elemento che facesse ritenere che il rapporto tra queste cose fosse stato eccezionalmente alterato, così da aver esplicato influenza causale nella caduta (ad esempio, per un difetto del predellino; per l’utilizzo di una diversa e particolare carrozza ferroviaria; per l’arresto del convoglio al di fuori dell’area specificamente preposta alla discesa dei passeggeri nella stazione ecc…).
§ 4. Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente si duole, in via subordinata, per omessa motivazione su un punto controverso e decisivo, dal momento che la corte di appello, pur dopo aver erroneamente escluso la presunzione di cui all’art. 2051 cc e posto a suo carico, ex art. 2043 cc, il maggior onere di provare la colpa della società convenuta, aveva infine escluso il raggiungimento di tale prova. In realtà desumibile dalla completa lettura del testimoniale De Luca, dal quale risultava che analogo incidente si era verificato in altra stazione (Boscotrecase) gestita dalla medesima società convenuta, che doveva dunque essere a conoscenza della stessa situazione di pericolo.
La Corte di appello – in un contesto regolabile in base alla disciplina generale ex articolo 2043 cod.civ. – ha ritenuto poco concludente il testimoniale in questione, dal momento che da esso non si traevano elementi oggettivi e certi sull’effettiva esistenza ed entità della distanza tra predellino e marciapiede. Ciò precludeva (sent.pagg.ll-12) la possibilità “di stabilire sia se tale distanza potesse costituire obiettivamente di per sé un pericolo, e soprattutto se dipendesse da una qualunque condotta colposa della convenuta”. Aggiunge la corte territoriale che: “trattandosi di veicoli circolanti su rotaie ed essendo quindi escluso che la distanza potesse dipendere solo quel giorno da un’errata manovra di accostamento alla banchina del marciapiede, incombeva all’attrice la prova del fatto che la inusualità dello stato dei luoghi, ove effettivamente provata in termini obiettivi, doveva ascriversi a qualche altra colposa condotta (quale ad esempio la scelta di una vettura guasta o difettosa, ovvero comunque inadeguata rispetto alla conformazione delle stazioni che avrebbe incontrato lungo il percorso). Né rileva, non potendosi apprezzare le caratteristiche e la stessa pericolosità della distanza tra banchina e treno, che essa non fosse segnalata in alcun modo”.
Questa valutazione probatoria non è qui censurabile, non potendo richiedersi in sede di legittimità la riconsiderazione dell’efficacia dimostrativa della prova; né la prova non considerata dalla corte di appello risulterebbe idonea a sovvertire, in maniera certa e non soltanto probabile, la decisione impugnata. Dal momento che il solo verificarsi di un altro incidente asseritamente analogo in diversa stazione non equivarrebbe puramente e semplicemente a dimostrazione della colpa della società convenuta; nulla essendo stato possibile apprendere, attraverso la testimonianza in oggetto, sulle caratteristiche di quest’altro incidente e, in particolare, sulla effettiva identità dei modi e delle cause di esso rispetto a quelle dell’evento dedotto del presente giudizio.
Alla cassazione della sentenza per vizio della motivazione può pervenirsi solo se risulti che il ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza, sia incompleto, incoerente ed illogico, non quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi considerati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 15 aprile 2004 n. 7201; Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222; SSUU 27 dicembre 97 n. 13045) . Ne deriva che il controllo di legittimità da parte della corte di cassazione non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo che questi abbia indicato le ragioni del proprio convincimento con una motivazione immune da vizi logici e giuridici.
Ciò è quanto nella specie accaduto.
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre spese generali ed accessori di legge.

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