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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 29 ottobre 2014, n. 44919

Ritenuto in fatto

1.1 Con sentenza del 29 gennaio 2013 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di quella città emessa in data 8 luglio 2009 nei confronti di L.A. , giudicata colpevole del reato di cui all’art. 171 ter comma 2 lett. b) della L. 633/41 e successive modificazioni (illecita duplicazione per uso non personale e detenzione per la vendita di testi universitari e dispense universitarie abusivamente riprodotti in copia fotostatica con finalità di lucro) e condannata alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, con contestuale confisca e distruzione di quanto in sequestro.
1.2 Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata personalmente, denunciando con un primo motivo, nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 171 ter comma 2 della L. 633/41 per avere la Corte territoriale qualificato la condotta di essa imputata come attività di riproduzione in forma imprenditoriale e con un secondo, collegato ed analogo motivo, erronea applicazione della legge penale (art. 171 ter comma 2 cit.) per avere la Corte distrettuale ribadito la finalità di lucro necessaria per la integrazione della fattispecie contestata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2. In punto di fatto, come ricordato dalla Corte territoriale, era emerso che, in occasione di una verifica effettuata da militari del Nucleo Operativo della Guardia di Finanza di Milano presso l’esercizio commerciale denominato “Cata Copy Digital Line” gestito dalla odierna ricorrente, erano stati rinvenuti n. 29 testi universitari di diversi autori, una dispensa universitaria, nonché un hard-disk contenente 1560 testi universitari e 113 dispense, munito di cavetto USB per il trasferimento dei dati.
3. La Corte territoriale, nell’esaminare il materiale probatorio raccolto, ha ribadito che la detenzione del materiale rinvenuto dalla Guardia di Finanza era certamente destinata ad una remunerativa attività commerciale tenuto conto dell’elevatissimo numero delle copie di pubblicazioni universitarie e, soprattutto, del ritrovamento dell’hard disk contenente un numero davvero enorme di testi universitari (ben 1560) che rendeva inverosimile la versione dell’imputata secondo la quale si trattava di un servizio di fotocopiatura self service attuato, all’insaputa del titolare dell’esercizio commerciale, da parte dei singoli studenti che frequentavano quel locale, così come all’insaputa della stessa proprietaria era l’attività di riproduzione dei testi conservati nell’hard disk, a detta della titolare dell’esercizio avente accesso alla rete internet e a disposizione degli studenti.
3.1. Tanto precisato in punto di fatto, va ricordato che l’art. 171 ter comma 2 della L. 633/41 come modificata dall’art. 68 commi 3 e 4 della L. 248/00, individua l’ambito di liceità delle riproduzione per uso personale, mediante fotocopiatura o sistemi analoghi, di volumi o fascicoli di periodici, con l’espressa previsione di un limite quantitativo delle riproduzioni che va circoscritto al 15% dello intero scritto e con corresponsione di un compenso forfettario agli aventi diritto.
3.2 L’ultimo comma dell’art. 171 citato punisce con la sospensione della attività di riproduzione e con una sanzione amministrativa, le violazioni delle disposizioni previste al comma terzo e quarto dell’art. 68; la norma riguarda esclusivamente le riproduzioni, effettuate con gli strumenti precisati, destinate ad uso personale (v. tra le tante Sez. 3^ 19.11.2008 n. 126, D’Angelo, Rv. 242260).
3.3 L’art. 171 ter, comma 1, lett. b), nella ipotesi aggravata delineata al comma 2, punisce, tra le altre condotte, chi abusivamente riproduce opere letterarie tutelate dal diritto di autore “per uso non personale” e “per trame profitto”.
3.4 L’elemento caratterizzante la ipotesi delittuosa in esame è, quindi, costituito dalla non occasionalità della condotta di chi commette l’abuso e dalla destinazione allo utilizzo da parte di terzi.
3.5 In aggiunta a tale dato va poi chiarito che il reato in parola è configurabile laddove venga superata quella percentuale del 15% per ogni volume fissata dal ricordato art. 68 della L. 248/00 senza che la corresponsione del compenso forfettario agli aventi diritto e la fotocopiatura sia stata effettuata per uso non personale (in termini Sez. 3^ 13.3.2002 n. 20769, Menchicchi, Rv. 221613).
4. Tanto premesso, si sottrae alle censure difensive la decisione del giudice d’appello, che nel richiamare e far proprie le argomentazioni della sentenza di primo grado, ha ritenuto, per averlo direttamente constatato gli agenti della Guardia di Finanza, che l’imputata, oltre a gestire personalmente ed a titolo individuale la copisteria denominata “Cata Copy Digital Line” nella quale erano state rinvenute le copie integrali di 29 testi universitari, con le apparecchiature per la riproduzione, intratteneva rapporti con i vari studenti circa la disponibilità di suddetti testi: ciò, in particolare, in relazione alle modalità di rinvenimento dei testi e, soprattutto, in relazione all’esistenza di un hard disk contenente un numero esorbitante di testi da consultare, per poi estrarne le copie secondo le esigenze dei singoli studenti.
4.1 Correttamente, e con motivazione ineccepibile sul piano logico, è stato accertato che le opere letterarie e scientifiche erano state riprodotte non per uso personale, come era agevole desumere dal numero delle copie denotante che l’abusiva riproduzione era effettuata a fini commerciali.
5. La manifesta infondatezza dei due motivi a sostegno basati su elementi che la Corte territoriale ha attentamente ed analiticamente valutato determina l’inammissibilità del ricorso.
6. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma, che si ritiene congrua nella misura di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi il ricorrente in colpa nell’avere dato causa all’inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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