SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 24 settembre 2015, n. 18878
Ritenuto in fatto
Con atto di citazione notificato il 30 maggio 2005, Bo.Fr. esponeva che in data (OMISSIS) si era verificata una perdita d’acqua dalle tubazioni dell’appartamento di sua proprietà, che aveva danneggiato il bagno dell’appartamento sottostante, di proprietà di B.G. ; il danno era stato riparato dall’impresa Anfiteatro Romano con una spesa di Euro 9.301,15; detta spesa era stata, secondo gli accordi, anticipata interamente dal Bo. ; in data 25 maggio 2004, la compagnia assicuratrice del condominio aveva corrisposto, a titolo di indennizzo, alla B. , giusta delega dell’amministratore condominiale, la somma di Euro 6.900,00 che era stata indebitamente trattenuta dalla convenuta, con conseguente arricchimento di quest’ultima.
Tanto premesso, l’attore conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Ancona, B.G. al fine di sentirla condannare al pagamento/restituzione della somma pari ad Euro 6.900,00, ai sensi dell’art. 2041 c.c..
Si costituiva la convenuta che eccepiva l’inammissibilità della domanda attorea e deduceva che i lavori di ripristino avevano interessato non solo il bagno ma anche la pavimentazione dell’antibagno e della cucina nonché la travatura dei solai del suo appartamento e che detti lavori erano stati eseguiti, su suo incarico e a sue spese, dalla ditta ENCAS per un costo complessivo di Euro 6.750,00, cui andavano aggiunti Euro 500,00 per le piastrelle. Chiedeva, altresì, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore al pagamento della somma pari ad Euro 7.750,00, a titolo di lucro cessante, in quanto, a seguito dei danni, il conduttore non aveva più pagato il canone di locazione da gennaio a febbraio 2004 e a marzo aveva abbandonato l’immobile di sua proprietà, che era rimasto sfitto ed inutilizzabile per il periodo necessario all’esecuzione dei lavori di riparazione fino al mese di ottobre 2004.
Il Tribunale di Ancona, con sentenza del 24 dicembre 2007, dichiarava inammissibile la domanda proposta dall’attore che condannava alle spese di lite.
Avverso la sentenza di primo grado Bo.Fr. proponeva appello, cui resisteva la B. proponendo, altresì, appello incidentale al fine di sentire condannare la controparte al risarcimento del danno da lucro cessante.
La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 5 novembre 2011, accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, condannava l’appellata al pagamento della somma di Euro 6.900,00, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali, nonché alle spese del doppio grado di merito.
Avverso la predetta sentenza, B.G. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi e illustrato da memoria, cui ha resistito con controricorso Bo.Fr..
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2041-2042-1180-1362-136[3] c.c. – Omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio’. Sostiene la ricorrente che, nella fattispecie all’esame, la Corte di merito avrebbe erroneamente ravvisato nell’incameramento, da parte sua, della somma versatale dall’assicurazione l’indebita locupletazione alla quale farebbe riscontro un corrispondente impoverimento del Bo. , per non essere questi venuto in possesso di quella somma che sarebbe a lui spettata per aver già risarcito lo stesso danno. Ad avviso della B. , la predetta Corte non avrebbe, infatti, rilevato che il sinistro avvenuto in data (OMISSIS) aveva costituito la causa del danno pecuniario subito dalla ricorrente e rivendicato nei confronti del Bo. sulla base del rapporto risarcitorio tra loro due e che, invece era stato il successivo pagamento da parte dell’assicurazione a determinare la pretesa locupletazione della B. e il correlativo impoverimento della società assicuratrice; pertanto lo ‘squilibrio patrimoniale’ — che si collega solo in via mediata al già ricordato sinistro — riguarderebbe ‘un rapporto soggettivamente diverso da quello risarcitorio’ mentre ‘la diminuzione patrimoniale del Bo. a seguito del risarcimento (mai avvenuto) in favore della B. , conseguente all’incidente’ già detto non sarebbe ingiustificata. Lamenta, altresì, la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe risolto ‘sbrigativamente e male’anche l’ulteriore profilo di inammissibilità della domanda proposta, riguardante il carattere sussidiario della stessa, in quanto il Bo. avrebbe potuto esercitare, nei confronti della ricorrente, le azioni ‘del mandato e/o delle obbligazioni in solido’, o ‘quelle derivanti dalla gestione degli affari altrui’, e l’azione ex art. 1891 c.c., nei confronti della compagnia assicuratrice o nei confronti del condominio contraente, qualora la polizza assicurasse esclusivamente quest’ultimo.
Ad avviso della ricorrente, la Corte avrebbe, altresì, fatto non corretta applicazione pure degli artt. 1362, 1363 e 1180 c.c. nel ritenere che ‘l’ipotesi considerata sia quella del terzo che paga volontariamente un debito altrui…”. Sostiene la B. che, nell’interpretazione della domanda, occorre fare anzitutto riferimento al senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, sicché, stante l’univoco tenore letterale dell’atto introduttivo, il Giudice del gravame ‘avrebbe dovuto interpretare e qualificare il rapporto dedotto dal Bo. sulla base di ciò che egli aveva rappresentato’; inoltre, non avendo il Giudice neppure chiarito chi effettivamente debba intendersi come terzo tra la compagnia assicuratrice e il Bo. , sarebbe fuori luogo il richiamo all’art. 1180 c.c.; comunque, nel caso il terzo vada individuato nella compagnia assicuratrice che ha effettuato il pagamento dell’indennizzo in favore della ricorrente, il Bo. non avrebbe alcun titolo né legittimazione ad agire per la restituzione di quel pagamento effettuato da altri, qualora, invece, per terzo si intenda il Bo. , il pagamento da questi effettuato nei confronti dell’impresa edile non potrebbe essere inquadrato nell’ipotesi dell’adempimento del terzo, posto che dovrebbe trattarsi di un intervento spontaneo ed unilaterale del terzo mentre, nel caso in questione, il Bo. si sarebbe direttamente e personalmente accordato con l’impresa, sicché egli avrebbe adempiuto un debito proprio e non un debito altrui.
In merito alle doglianze appena riportate, la ricorrente ha dedotto, inoltre, omessa e/o carente motivazione della sentenza impugnata, in quanto, in relazione alle questioni attinenti all’ammissibilità dell’azione di arricchimento, la Corte di merito non avrebbe dato logica spiegazione o avrebbe espresso solo astratte enunciazioni di principio, peraltro giuridicamente non corrette.
1.1. Il motivo è fondato per l’assorbente rilievo che nel caso di specie difetta l’unicità del fatto generatore né, peraltro, ricorre la sussidiarietà dell’azione, potendo il Bo. esercitare l’azione restitutoria nei confronti della stessa B. , stante l’adempimento dell’obbligo del terzo.
1.2. Ai sensi dell’art. 2041 c.c., chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Costituiscono elementi costitutivi di tale fattispecie l’arricchimento a favore di un soggetto, l’impoverimento subito da un altro soggetto, il nesso di correlazione tra i predetti due requisiti, l’assenza di una giusta causa dell’arricchimento, la mancanza di qualsiasi altra azione in favore dell’impoverito per ottenere la reintegrazione patrimoniale.
1.3. Per quanto attiene in particolare al nesso di correlazione tra arricchimento e impoverimento, si osserva che al riguardo si sono espresse le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza del 2 febbraio 1963, n. 183, secondo cui perché possa configurarsi il diritto all’indennizzo ex art. 2041 c.c. è necessario che l’impoverimento e l’arricchimento derivino, in via immediata, dal medesimo fatto causativo, così aderendosi alla c.d. teoria del fatto unico (cui si contrappone la c.d. teoria della causalità storica), con la conseguenza che il fondamento dell’indennizzo viene meno qualora lo spostamento patrimoniale, pur se ingiustificato, tra due soggetti sia determinato da una successione di fatti che hanno inciso su due diverse situazioni patrimoniali soggettive, in modo del tutto indipendente l’uno dall’altro (v. anche Cass. 1978, n. 2087; Cass. 1981, n. 3716, Cass. 1981, n. 6664; Cass. 10 febbraio 1993, n. 1686). Tale orientamento è stato ribadito dalle medesime Sezioni Unite con la sentenza n. 24772 dell’8 ottobre 2008, con la quale è stata ribadita la necessità, oltre che della mancanza di qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell’impoverito, della unicità del fatto causativo dell’impoverimento, sussistente quando la prestazione resa dall’impoverito sia andata a vantaggio dell’arricchito, con conseguente esclusione dei casi di cosiddetto arricchimento indiretto, nei quali l’arricchimento è realizzato da persona diversa rispetto a quella cui era destinata la prestazione dell’impoverito, pur ritenendosi, tuttavia, che, avendo l’azione di ingiustificato arricchimento uno scopo di equità, il suo esercizio deve ammettersi anche nel caso di arricchimento indiretto nei soli casi in cui lo stesso sia stato realizzato dalla P.A., in conseguenza della prestazione resa dall’impoverito ad un ente pubblico, ovvero sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito.
1.4. Al ricordato orientamento il Collegio ritiene di dare continuità. Nel caso all’esame non si riscontra l’unicità del fatto costitutivo dell’arricchimento e del depauperamento né la sussistenza del legame causale diretto tra i dedotti impoverimento e arricchimento, conseguendo questo dal versamento dell’indennità in favore della B. da parte del compagnia assicuratrice non del Bo. ma del Condominio in cui sono site le unità immobiliari delle parti in causa e risultando, invece, l’impoverimento del Bo. dal pagamento, effettuato da questi alla ditta esecutrice dei lavori di ripristino (v. Cass. 1 marzo 1990, n. 1572, relativa a fattispecie per molti versi analoga a quella all’esame) a seguito dei danni provocati da una perdita di acqua dall’impianto idrico dell’appartamento dell’attuale ricorrente, senza successivamente ottenere dalla B. , in base alla stessa prospettazione del Bo. , ‘la retrocessione dell’indennizzo assicurativo che garantiva/copriva il medesimo danno’, potendosi al più configurare l’arricchimento della B. come effetto mediato ed indiretto del pagamento dell’indennizzo da parte dall’assicurazione, con la precisazione che non si verte in una delle due ipotesi costituenti eccezioni al principio generale individuate dalla più recente pronuncia delle Sezioni Unite sopra richiamata.
1.5. A quanto precede va pure aggiunto che, come già prima accennato, a norma dell’art. 2042 c.c., l’azione di arricchimento senza causa non è legittimamente esperibile né qualora il danneggiato abbia facoltà di esercitare un’altra azione tipica nei confronti dell’arricchito onde evitare il pregiudizio economico lamentato, né quando tale azione tipica sia sperimentabile contro persone diverse, obbligate per legge o per contratto (Cass. 20 novembre 2002, n. 16340; Cass. 5 agosto 2003, n. 11835), con la precisazione che la valutazione dell’esistenza delle altre azioni va effettuata in astratto, prescindendo dall’esito concreto delle stesse (Cass. 3 ottobre 2007, n. 20747; Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28042; Cass., sez. un., 28 aprile 2011, n. 9441).
1.6. Ne consegue che, nel caso di specie, va negato ingresso al rimedio sussidiario di cui all’art. 2041 c.c., risultando carente l’unicità del fatto costitutivo e l’immediata correlazione tra arricchimento e depauperamento, come già sopra evidenziato, e trovando applicazione pure l’effetto preclusivo derivante dalla proponibilità dell’azione restitutoria nei confronti della stessa B. , stante, in base all’accertamento operato dalla Corte di merito e non idoneamente scalfito, per quanto qui rileva, dalle censure della ricorrente, l’adempimento dell’obbligo del terzo, ovvero nei confronti dell’amministratore del condominio, per aver quest’ultimo delegato la sola B. a trattare la pratica e a incassare l’indennizzo di cui si discute in causa.
1.7. Ogni ulteriore questione pure sollevata dalle parti in relazione al primo motivo resta assorbita da quanto precede.
L’esame del secondo motivo (con cui si lamenta ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99-112-346 c.p.c. 1241-1246-1362 c.c. -Nullità del procedimento per omessa pronuncia – Omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo’), del terzo motivo (rubricato ‘art. 360 n. 4-5 c.p.c. — Nullità della sentenza per omesso esame delle istanze istruttorie — Omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo’) e del quarto motivo (con cui si deduce ‘Omessa e/o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115-116-132 n. 4 c.p.c. – 1362-2697-2727-2729 c.c.’), resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo, precisandosi, quanto al secondo motivo, che soltanto la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., può limitarsi a riproporle; per contro, la parte rimasta parzialmente soccombente in relazione ad una domanda o eccezione, di cui intende ottenere l’accoglimento, ha l’onere di proporre appello incidentale, pena il formarsi del giudicato sul rigetto della stessa (Cass. 14 marzo 2013, n. 6550) e che il precedente giurisprudenziale richiamato dall’appellante (Cass. 6 settembre 2007, n. 18691) si riferisce al caso, diverso da quello all’esame, di domanda riconvenzionale condizionata, sicché risulta corretta la sentenza di secondo grado che ha ritenuto inammissibile per tardività l’appello incidentale proposto sul punto.
Alla luce delle argomentazioni che precedono, va accolto il primo motivo del ricorso, assorbiti i restanti e la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto.
La causa si presta ad essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con declaratoria di inammissibilità della domanda attorca.
Tenuto conto della particolarità e della controvertibilità delle questioni esaminate, come confermato dagli alterni esiti dei due gradi di merito, vanno compensate per intero, tra le parti, le spese del doppio grado di merito e del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda attorea e compensa per intero tra le parti le spese del doppio grado di merito e del presente giudizio di legittimità.
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