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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  24 marzo 2014, n. 13841

Ritenuto in fatto

1. G.A. e C. hanno proposto personalmente tempestivo ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli in data 23/01/2013, depositata in data 31/01/2013, con cui, in parziale riforma della sentenza 24/02/2011 emessa dal Tribunale di Torre Annunziata, sez. dist. Sorrento, gli stessi sono stati prosciolti dai reati loro ascritti ai capi a), b) e d) per intervenuta prescrizione, con conseguente rideterminazione della pena, già concesse le circostanze attenuanti generiche, per il reato di cui al capo c), in mesi otto di reclusione ciascuno, per aver, in concorso tra loro, eseguito le opere edilizie contestate (manufatto in muratura di mt. 11.40 x 6.80, esternamente al rustico)in area dichiarata di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento, senza la prescritta autorizzazione di cui all’art. 146, d. lgs. n. 42/2004 (reato p. e p. dagli artt. 110 cod. pen., 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42/2004, accertato in (omissis) ).
2. Ricorrono avverso la predetta sentenza gli imputati personalmente, deducendo quattro motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Deducono, con un primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 606, lett. c) c.p.p. in relazione all’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42/04 ed all’art. 521 c.p.p..
Vi sarebbe violazione del diritto di difesa, in quanto, prevedendo l’art. 181, comma 1-bis, due distinte ipotesi, individuate dalla lett. a) e dalla lett. b), sarebbe stata necessaria l’esatta contestazione di quale, tra le due ipotesi, i ricorrenti avrebbero dovuto rispondere, attenendo le stesse a fatti sostanzialmente e completamente diversi (in particolare, in relazione all’ipotesi di cui alla lett. b), sostengono i ricorrenti di non aver commesso il fatto, trattandosi di una nuova costruzione inferiore ai 1000 mc.); ne discende, quindi, la violazione del principio di correlazione ex art. 521 c.p.p. e la conseguente nullità ex art. 185 c.p.p..
2.2. Deducono, con un secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 606, lett. b), c.p.p. in relazione all’art. 157 c.p..
In sintesi, sostengono i ricorrenti che, ai fini del computo del dies a quo del termine di prescrizione del reato, la data del sequestro del manufatto, pur se successiva all’ultimazione di quest’ultimo, non può avere alcuna autonoma rilevanza, in quanto la permanenza del reato sarebbe già cessata con l’ultimazione del manufatto, valendo ciò anche per la violazione dell’art. 181, d. lgs. n. 42/04, ove la contestazione abbia ad oggetto la realizzazione del manufatto.
Poiché il manufatto sarebbe stato completato in data antecedente al sequestro, anche il reato paesaggistico avrebbe dovuto ritenersi estinto per prescrizione, al pari dei reati urbanistici.
2.3. Deducono, con un terzo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 606, lett. B), c.p.p., per erronea applicazione dell’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42/04 quanto alla posizione della G.A. .
La ricorrente sarebbe stata ritenuta responsabile dell’accertata violazione quale nuda proprietaria, in base alla presunzione che la stessa, in quanto figlia del ricorrente, avesse partecipato, seppur moralmente, al compimento del reato. Non sarebbe, invece, emerso nel corso dell’istruttoria alcun elemento ulteriore, rispetto al titolo proprietario, a sostegno della compartecipazione della ricorrente nel reato.
2.4. Deducono, infine, con un quarto motivo, la mancata assunzione della prova richiesta a discarico, in violazione dell’art. 606, lett. d) c.p.p. per mancata applicazione dell’art. 507 c.p.p..
Si dolgono i ricorrenti per non aver la Corte territoriale, a fronte di quadro probatorio lacunoso, fatto uso del potere di disporre d’ufficio le prove che avrebbero consentito un più meditato giudizio sulla responsabilità degli stessi (individuazione della persona del committente; epoca di realizzazione del manufatto); non vi sarebbe, inoltre, alcuna motivazione circa il diniego di assumere la prova richiesta.

Considerato in diritto

3. Il ricorso dev’essere parzialmente accolto per quanto concerne la posizione della G.A. , dovendosi, invece, rigettare quanto alla pozione del G.C. per le ragioni di cui si dirà oltre.
4. Venendo ad esaminare i singoli motivi, si osserva quanto segue.
In ordine al primo motivo di ricorso, deve escludersi qualsiasi violazione dell’art. 521 c.p.p., non essendo necessaria in sede di contestazione, ai fini della tutela del diritto di difesa, l’indicazione degli articoli di legge violati, ma solo la compiuta descrizione del fatto, come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 18 del 21/06/2000 – dep. 01/08/2000, Franzo e altri, Rv. 216430). Nel caso di specie, il fatto era compiutamente descritto, richiamando l’imputazione, senza che potesse esservi dubbio, la lett. a) dell’art. 181, comma 1-bis, in quanto pacificamente si trattava di intervento su area dichiarata di notevole interesse pubblico con provvedimento adottato dall’amministrazione. Del resto, che i ricorrenti ben avessero presente che, delle due ipotesi, quella oggetto di contestazione fosse indubbiamente quella prevista dalla lett. a) dell’art. 181, comma 1-bis, citato (trattandosi, cioè, d’interventi ricadenti “su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche, siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori”), è reso palese dallo stesso ricorso, in cui gli stessi mostrano chiaramente di essere consapevoli di non poter rispondere della diversa ipotesi di cui alla lett. b) della norma citata. Il motivo è, pertanto, infondato.
5. In ordine, poi, al secondo motivo, deve rilevarsi che il manufatto abusivo era stato oggetto di un sopralluogo eseguito il 27/10/06; in tale data era risultato che l’immobile abusivo si trovava al rustico esternamente e privo di utenze idriche ed elettriche, ma completo di rifiniture interne ed infissi venendo sottoposto a sequestro; i lavori, a detta del verbalizzante, non erano in corso ma era stato rinvenuto materiale edile accantonato all’esterno del fabbricato ed elementi per la rifinitura dell’immobile.
Non risulta, pertanto, che i lavori fossero stati completamente ultimati prima del sequestro, tant’è che esternamente l’immobile si presentava al rustico e non vi erano allacci né idrici ed elettrici. Ove, dunque, sia indicata una determinata data di accertamento, in assenza di una prova diversa, deve ritenersi che la semplice utilizzazione dell’immobile e la sua ultimazione all’esterno, senza alcuna dimostrazione del completamento delle opere interne, comporta l’individuazione dell’epoca di cessazione della permanenza al momento dello accertamento, nel caso di specie coincidente con il sequestro (Sez. 3, n. 1218 del 21/12/1998 – dep. 29/01/1999, Spagnuolo C, Rv. 212834). La detta ultimazione, infatti, ha luogo quando cessa l’attività illecita, cioè quando vengono portati a termine i lavori di rifinitura, compresi quelli esterni quali gli intonaci e gli infissi, nel caso di specie, l’immobile risultava esternamente ancora non completato (Sez. 3, n. 5654 del 16/03/1994 – dep. 12/05/1994, Imperato, Rv. 199125).
In ogni caso, ad escludere la fondatezza del motivo di ricorso, dev’essere ricordato che, sempre restando a carico dell’accusa l’onere della prova della data di inizio della decorrenza del termine prescrittivo, non basta una mera e diversa affermazione da parte dell’imputato a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l’incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente applicazione del principio “in dubio pro reo”, atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell’opera incriminata (Sez. 3, n. 10562 del 17/04/2000 – dep. 11/10/2000, Fretto S, Rv. 217575).
Nella specie, i ricorrenti non hanno fornito prova né hanno allegato elementi per determinare l’antecedenza dell’epoca di ultimazione, donde la stessa coincide con l’accertamento o, vista la coincidenza cronologica, con il sequestro del manufatto. Anche il secondo motivo è, dunque, infondato.
6. Quanto, invece, al terzo motivo di ricorso, lo stesso dev’essere accolto con riferimento alla posizione della ricorrente.
Ed infatti, la sentenza motiva la corresponsabilità della G. sia fondandola sulla qualità di proprietaria, sia perché, all’atto del sequestro, la stessa aveva accettato senza riserve la nomina quale custode giudiziario dell’immobile abusivo. Occorre, tuttavia, evidenziare che la stessa era però “nuda proprietaria” dell’immobile, mentre usufruttuario dello stesso era il padre, anch’egli ricorrente. Manca, nel caso di specie, a giudizio del Collegio, la prova dell’esistenza di un effettivo interesse al compimento delle opere abusive (Sez. 3, n. 8570 del 14/01/2003 – dep. 21/02/2003, Privitera S, Rv. 223469). A ciò, peraltro, va aggiunto che l’autore materiale della contravvenzione edilizia va individuato in colui che, con propria azione, esegue l’opera abusiva, ovvero la commissiona ad altri, anche se difetti della qualifica di proprietario del suolo sul quale si è edificato, mentre il semplice comportamento omissivo da luogo a responsabilità penale solo se l’agente aveva l’obbligo giuridico di impedire l’evento, obbligo che certamente non sussiste in capo al nudo proprietario dell’area interessata dalla costruzione, non essendo esso sancito da alcuna norma di legge (Sez. 5, n. 13812 del 11/11/1999 – dep. 02/12/1999, Giovannella F ed altro, Rv. 214609).
Peraltro, la circostanza di aver accettato la nomina quale custode giudiziario, in difetto di ulteriori elementi, non costituisce, ex se, comportamento che si risolve in un contributo causale alla realizzazione del fatto illecito.
L’accoglimento del motivo determina, pertanto, l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza con la formula di cui in dispositivo.
7. Quanto, infine, all’ultimo motivo di ricorso, la Corte territoriale si limita ad affermare nell’impugnata sentenza che la richiesta di escussione dei testimoni ex art. 507 c.p.p. si appalesava come assolutamente non necessaria ai fini del decidere. La difesa ritiene che la mancata assunzione della prova richiesta a discarico, violi l’art. 606, lett. d) c.p.p. per mancata applicazione dell’art. 507 c.p.p..
Il motivo è infondato.
È infatti pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la mancata assunzione di una prova decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495, secondo comma, cod. proc. pen., sicché il motivo non può essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (v., tra le tante: Sez. 2, n. 9763 del 06/02/2013 – dep. 01/03/2013, Pg in proc. Muraca e altri, Rv. 254974).
8. Per completezza, infine, deve rilevarsi che non risulta ancora decorso il termine di prescrizione. Ed invero, avuto riguardo alla data del fatto ((OMISSIS) ), il termine di prescrizione massima del reato che dovrebbe maturare il 27/04/2014, in realtà maturerà – tenuto conto del periodo di sospensione di mesi 7 e gg. 27, indicato dalla Corte territoriale – alla data del 24/12/2014.
9. Conclusivamente, il ricorso dev’essere, dunque, accolto in relazione alla posizione della G.A. per la ragioni dianzi evidenziate e, diversamente, rigettato per la posizione del G.C. .
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G.A. per non avere commesso il fatto.
Rigetta il ricorso di G.C. , che condanna al pagamento delle spese processuali.

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