Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 23 settembre 2015, n. 18807

Svolgimento del giudizio

Nel maggio 2005 l’avvocato S.L. conveniva in giudizio il calciatore M.A. , chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 100.000,00, oltre accessori, a titolo di penale contrattuale relativa al mandato 13 febbraio 2003 con il quale il convenuto gli aveva conferito incarico, in via esclusiva, di rappresentarlo ed assisterlo nei rapporti con società di calcio professionistico. La penale era a suo dire dovuta, in quanto il M. – violando l’esclusività dell’incarico -aveva, in pendenza di rapporto, sottoscritto un altro mandato a favore di un agente sportivo FIGC.
Nella costituzione in giudizio del M. , interveniva sentenza n. 1096/07 con la quale il tribunale di Udine – accertata la nullità del contratto stipulato tra le parti in quanto non rispondente ai requisiti previsti dall’ordinamento sportivo e, di conseguenza, inidoneo al raggiungimento del suo scopo – respingeva la domanda dell’attore, con condanna del medesimo alle spese di lite.
Tale decisione veniva confermata con sentenza n. 35/12 della, corte di appello di Trieste.
Avverso quest’ultima viene dal S. proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, ai quali resiste il M. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.; il S. ha anche depositato nuovi documenti, da ritenersi tuttavia inammissibili ex art.372 c.p.c..

Motivi della decisione

p. 1.1 Con il primo motivo di ricorso il S. deduce – ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione o falsa applicazione dell’articolo 1362 cod.civ.; per non avere la corte di appello, nel confermare la decisione del tribunale, chiarito se avesse considerato esso attore, nel rapporto contrattuale intercorso con il M. , quale avvocato del libero foro, ovvero come procuratore o agente sportivo.
Con il secondo motivo di ricorso il S. deduce – ex art.360, 1^ co. nn. 3, 4 e 5 cod.proc.civ. – violazione delle norme sul mandato, sul contratto d’opera intellettuale e sulla invalidità contrattuale; nonché carente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, insito nella individuazione delle circostanze che avrebbero reso legittima la revoca del mandato da parte del M. , per l’asserita giusta causa insita nel venir meno del rapporto fiduciario.
Con il terzo motivo di ricorso il S. deduce violazione della suddetta normativa, nonché dell’articolo 2 legge 23 marzo 1981 n. 91 (Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), per avere la corte di appello, confermando la prima decisione, ritenuto la nullità del contratto tra le parti per la sua non meritevolezza derivante dalla sua asserita inidoneità al raggiungimento dello scopo secondo quanto previsto dall’ordinamento sportivo (legislativo, e regolamentare FIGC). Contrariamente a tale assunto, agendo non in qualità di procuratore sportivo ma come avvocato del libero foro, egli non era tenuto all’osservanza del regolamento FIGC in materia, né poteva farsi ricorso al requisito della meritevolezza ex art. 1322 2^ co. c.c. con riguardo ad un contratto tipico (di mandato o incarico d’opera intellettuale).
Con il quarto motivo di ricorso il S. lamenta carenza motivazionale, per avere la corte di appello confermato la statuizione di nullità del contratto mediante mero richiamo per relationem alla sentenza di primo grado, ed a sentenze (corte di appello di Trieste n. 424/10; C.Cass. n. 3545/04) non pertinenti alla controversia.
p. 1.2 Si tratta di motivi suscettibili di considerazione unitaria, in quanto tutti strettamente basati – nella prospettiva della violazione di legge e della carenza motivazionale – sull’erronea dichiarazione di nullità del contratto intercorso tra le parti, con conseguente inefficacia della clausola penale dedotta in giudizio dal S. .
Le doglianze sono infondate.
La corte di appello (sent. pagg.18-20) ha inequivocabilmente attribuito al S. (anche con richiamo al proprio precedente n. 424/10, tra le medesime parti ed in relazione allo stesso contratto) la veste di libero professionista, non già di agente o procuratore sportivo FIGC (qualifica da lui in effetti precedentemente posseduta, ma poi venuta meno). Da tale qualifica la corte territoriale non ha tratto – correttamente – motivo di esenzione dall’osservanza della disciplina propria dell’ordinamento sportivo, anche quanto a modalità e connotati essenziali dei contratti stipulati con i calciatori. In particolare, la corte triestina ha ribadito quanto già ritenuto, nel citato precedente di merito, in ordine al fatto che, indipendentemente dall’iscrizione all’albo degli agenti e dei procuratori sportivi (e, dunque, pur avendo egli agito quale avvocato del libero foro iscritto all’albo professionale ordinario), il S. era comunque tenuto ad osservare la normativa che regolava il rapporto tra calciatore professionista-agente sportivo-FIGC, ai fini del riconoscimento dell’attività prestata nell’ambito dell’ordinamento sportivo. Sicché, come già ritenuto in quel precedente (che si diversificava dal presente giudizio solo perché relativo al compenso contrattuale, non già alla penale, viceversa qui dedotta), l’inosservanza di tale normativa speciale determinava, come anche ravvisato dalla SC con la sentenza n. 3545/04, la nullità del contratto “non tanto per contrasto con norme imperative o altro, ma sotto il profilo della inidoneità degli atti compiuti al fine di realizzare un’attività ed interessi non meritevoli di tutela ai sensi dell’articolo 1322 cod.civ.” (sent. pag.18). Ciò perché, ha chiarito il giudice di appello, il S. – ancorché stipulante in qualità di avvocato libero professionista – era comunque tenuto a rispettare le norme federali su forma e contenuto del contratto intercorso con il calciatore professionista, pena l’inefficacia di quel contratto ai sensi dell’articolo 10, primo comma, Reg. FIGC.
Va poi considerato che il giudice di merito ha puntualmente individuato i profili di difformità del contratto in oggetto rispetto alla disciplina sportiva; quanto, in particolare, a (sent. pag.14): – mancata adozione dei moduli federali; – durata per cinque anni in luogo dei due previsti dal regolamento; – presenza di clausola di rinnovo tacito per pari durata; pattuizione di un compenso per il professionista superiore ai limiti massimi consentiti per ogni contratto andato a buon fine; -pattuizione di una penale di molto eccedente quella regolamentare; – mancato deposito del contratto in FIGC.
Quanto finora osservato vale di per sé ad escludere la fondatezza delle prime due censure; risultando come, da un lato, il giudice di merito abbia preso netta posizione sul problema della qualificazione professionale assunta dal S. nella specificità del rapporto contrattuale con il M. (libero professionista comunque tenuto all’osservanza della disciplina sportiva) e, dall’altro, indicato le circostanze per le quali il contratto in oggetto (comprensivo della clausola penale) dovesse ritenersi inefficace, in quanto difforme da tutta una serie di precetti ai quali l’ordinamento sportivo subordinava la sua operatività.
Va d’altra parte considerato che la sentenza qui impugnata -ancorché richiamante per relationem quanto già ritenuto dal tribunale e dalla stessa corte di appello in altra controversia tra le stesse parti – non si è limitata ad una meccanica ed acritica ricezione di considerazioni e valutazioni compiute da altri giudici, ma ha esplicitato le ragioni per cui riteneva condivisibili tali valutazioni; anche alla luce del citato orientamento di legittimità di cui in Cass. 3545/04.
Va osservato che la motivazione per relationem non è di per sé inammissibile, dovendosene infatti affermare la legittimità, anche ex art. 111 6^ co. Cost., allorquando il rinvio ad altra decisione venga operato: – in modo tale da rendere possibile ed agevole l’individuazione della decisione richiamata, in una con il controllo della motivazione; – dando conto della ritenuta pertinenza della motivazione richiamata in rapporto alle argomentazioni e (qualora si verta di giudizio di impugnazione) alle censure proposte dalle parti; – in maniera consapevole e ragionata, e non sulla base del recepimento meccanico ed acritico della motivazione richiamata (Cass. n. 7347/12; Cass. n. 3367/11).
Nel caso di specie tali requisiti risultano tutti soddisfatti, dal momento che la corte di appello, dopo aver riprodotto puntualmente le censure ed aver ricostruito analiticamente la motivazione del tribunale, ha poi ribadito la validità di quest’ultima disattendendo i motivi di gravame, perché ritenuti -in esito a vaglio critico – inidonei a sovvertire l’affermazione del primo giudice.
In particolare, la corte territoriale ha esplicitato le ragioni della ravvisata (ed assorbente, rispetto all’ulteriore ipotesi di invalidità pure riscontrata dal tribunale) nullità del contratto, dal momento che quest’ultimo doveva ritenersi invalido “proprio sotto il profilo della immeritevolezza di tutela per gli interessi scaturenti dal rapporto, sulla scia della giurisprudenza della S.C. sopra citata” (pag.19).
Le doglianze qui in esame non sono dunque tali da far emergere alcun vizio di natura motivazionale nella sentenza impugnata.
p. 1.3 Nemmeno, esse sono accoglibili sotto il profilo, nel quale pure si articolano, della violazione o falsa applicazione di legge.
Ferma restando l’obiettiva difformità del contratto in oggetto dalla disciplina propria dell’ordinamento sportivo, deve farsi qui richiamo al principio (di cui alla citata sentenza Cass. n. 3545 del 23/02/2004) per il quale: “le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti sottoposti alle regole del detto ordinamento anche per l’ordinamento dello Stato, poiché se esse non ne determinano direttamente la nullità per violazione di norme imperative, incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo; vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Non può infatti ritenersi idoneo, sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste, e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi”.
Sulla base di tale orientamento, l’affermazione della nullità contrattuale in oggetto deve dunque ritenersi giuridicamente corretta.
E ciò sia sotto il profilo della meritevolezza, ex art. 1322 2^ co. c.c., avendo il giudice di merito (sent. pagg.14-15) ravvisato nella specie gli estremi di un contratto atipico di assistenza sportiva, anche là dove – discostandosi dai modelli tipici del mandato e dell’incarico d’opera intellettuale – esso prevedeva come essenziale una clausola (n.5) che- impediva al calciatore di contrarre nel proprio interesse se non in presenza o previa autorizzazione scritta del S. ; sia, ed in ogni caso, sotto il profilo della sua intrinseca inidoneità allo scopo, posto che la sua conclusione secondo modalità non regolamentari (applicabili, come detto, indipendentemente dal fatto che il S. avesse agito quale avvocato del libero foro) ne impediva l’efficacia nell’ambito dell’ordinamento sportivo.
Va anzi in proposito rimarcato come il suddetto orientamento di legittimità sia stato di recente ribadito in esito al ricorso per cassazione – tra le medesime parti – proposto avverso la più volte richiamata sentenza della corte di appello di Trieste n. 424/10 (relativa, come detto, alla stessa fattispecie contrattuale qui dedotta).
In tale sede (Cass. n. 5216 del 17/03/2015), in particolare, si è ulteriormente richiamato il principio per cui: a. nell’ambito del contratto di prestazione professionale per assistenza sportiva, il rapporto soggiace al regolamento FIGC (anche per quanto concerne la necessità che l’incarico venga conferito, a pena di nullità, sui moduli predisposti dalla Federazione) non solo quando esso sia stipulato tra il professionista sportivo ed un agente iscritto nel relativo albo, ma quand’anche esso sia stipulato tra il professionista medesimo ed un avvocato iscritto all’albo professionale ordinario; b. le violazioni delle norme dell’ordinamento sportivo, pur non determinando direttamente la nullità del contratto per contrarietà con norme imperative, comportano comunque l’invalidità del contratto anche in base all’ordinamento dello Stato, incidendo necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo; intesa quale sua idoneità giuridica a realizzare un interesse meritevole di tutela, insito nel raggiungimento della funzione e degli scopi ad esso attribuiti dall’ordinamento sportivo le cui prescrizioni risultino violate.
p. 2. Con il quinto motivo di ricorso il S. deduce violazione o falsa applicazione del secondo comma dell’articolo 92 cod.proc.civ.; per averlo la corte di appello condannato al pagamento delle spese di primo e di secondo grado, nonostante che la dichiarazione di nullità del contratto fosse stata resa d’ufficio, ed in presenza di una fattispecie del tutto nuova. Elementi, questi ultimi, che deponevano per la compensazione delle spese stesse.
La corte territoriale ha dato conto (sent. pag.20) delle ragioni che deponevano, al contrario, per l’accollo integrale delle spese al S. ; anche in considerazione del fatto che la nullità del contratto per violazione delle norme FIGC era stata eccepita dal M. fin dalla sua costituzione in primo grado e, inoltre, del fatto che la novità della questione giuridica doveva escludersi proprio in forza del precedente di legittimità, in termini, più volte menzionato.
In presenza di siffatta congrua motivazione, non può che farsi applicazione (per le spese tanto di primo quanto di secondo grado) del costante orientamento di legittimità secondo cui, in tema di spese processuali, il sindacato della corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite. E ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass. n. 15317 del 19/06/2013 ed altre).
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione che si liquidano, come in dispositivo, ai sensi del DM 10 marzo 2014 n.55.

P.Q.M.

La Corte

  • rigetta il ricorso;
  • condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 9.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.

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