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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 23 settembre 2014 24473

Svolgimento del processo

P.A. propose ricorso dinanzi al Tribunale di Bologna citando B.G. e la Milano Assicurazioni s.p.a. per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti ad un sinistro occorsole il 30 marzo 2000 mentre, alla guida del suo ciclomotore, ferma al semaforo, venne urtata dall’auto del B. perdendo il controllo del mezzo e finendo sotto un’auto che si trovava davanti a lei.
Espose la ricorrente che il conducente dell’auto abbandonò quest’ultima con le chiavi inserite e fuggì dalla scena; solo successivamente venne denunciato per il furto del mezzo.
La P. chiese di essere risarcita dei gravissimi danni subiti con la condanna, in solido, dei responsabili, anche a titolo di mala gestio, considerato che la compagnia assicuratrice aveva corrisposto il massimale di polizza in due soluzioni, solo in data 21 agosto 2001 e 5 febbraio 2003.
Nella contumacia del B. si costituì la compagnia al fine di contestare la domanda di mala gestio e di invocare un eventuale concorso di colpa di altri veicoli, pure coinvolti nel sinistro, e della P. , essendo emersi dubbi sulla posizione del ciclomotore e sulla condotta di guida della donna.
Il Tribunale condannò B. e Milano Assicurazioni al risarcimento del danno nei confronti della P. , investita, a bordo del suo motociclo, dal B. , con postumi di invalidità permanente del 90%, ad Euro 942.900,00 per danno non patrimoniale ed Euro 664.095,51 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, oltre interessi.
Condannò l’assicuratrice al pagamento degli interessi sull’importo già corrisposto di massimale di polizza, dalla data di messa in mora.
Propose appello principale il B. ed incidentale la P. , mentre Milano Assicurazioni chiese l’integrale conferma della sentenza e il rimborso delle ulteriori spese.
La Corte d’appello ha respinto l’appello proposto da B. ; ha rigettato l’appello incidentale proposto dalla P. ; ha compensato le spese del grado fra B. e P. ; ha condannato B. a rifondere integralmente le spese del giudizio d’appello a Milano Assicurazioni.
Propone ricorso per cassazione P.A. con quattro motivi assistiti da memoria.
Resistono con controricorso Milano Assicurazioni e B.G. ; quest’ultimo presenta ricorso incidentale e memoria.

Motivi della decisione

I ricorsi sono riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Preliminarmente A. P. eccepisce “inesistenza e/o nullità del controricorso”. Sostiene al riguardo che il controricorso notificatole dal difensore della Milano Assicurazioni, che allega in copia, da un lato non è firmato e dall’altro è privo della “procura rilasciata in calce al presente atto che viene testualmente menzionata a p. 4 del controricorso”.
L’eccezione è infondata.
Il controricorso della Milano Assicurazioni, nell’originale depositato presso l’ufficio depositi di questa Corte è sottoscritto dai difensori ed ha procura allegata in calce.
Va rilevata invece l’inammissibilità del controricorso incidentale di B.G. , per le ragioni addotte dalla ricorrente in memoria, in quanto notificato oltre il termine di venti giorni previsto dall’art. 370, comma 1, c.p.c.. Il controricorso incidentale non è mai stato notificato al difensore avv. Nicola Fabiano nel domicilio eletto in Roma alla via Nicotera n. 29, presso lo studio legale Moriani (espressamente indicato in ricorso), per erronea, omessa indicazione del recapito (studio legale Moriani) da parte del notificante difensore del B. . Ciò non è accaduto per il ricorso della Milano Assicurazioni s.p.a. che è stato, invece, regolarmente recapitato al predetto domicilio eletto.
Tutto ciò ha indotto il difensore del B. a richiedere soltanto in data 23 ottobre 2012 (e quindi tardivamente) una nuova notifica a mezzo posta presso il nuovo domicilio in Roma al piazzale delle Medaglie d’oro, n. 20, con la conseguenza dell’inammissibilità del controricorso incidentale.
Va infatti ribadito il principio secondo cui, a seguito della sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale – che dispone che la notifica di un atto processuale si intende perfezionata, per il notificante, al momento della consegna del medesimo all’ufficiale giudiziario – la tempestività della proposizione del ricorso per cassazione esige che la consegna della copia del ricorso per la spedizione a mezzo posta venga effettuata nel termine perentorio di legge e che l’eventuale tardività della notifica possa essere addebitata esclusivamente a errori o all’inerzia dell’ufficiale giudiziario o dei suoi ausiliari, e non a responsabilità del notificante. Pertanto, la data di consegna all’ufficiale giudiziario non può assumere rilievo ove l’atto in questione sia “ab origine” viziato da errore nell’indicazione dell’esatto indirizzo del destinatario, poiché tale indicazione è formalità che non sfugge alla disponibilità del notificante (S.U. n. 7607/2010). Ciò si è verificato nella fattispecie.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5)”.
Ad avviso della ricorrente il danno, così come determinato, è palesemente incongruo rispetto al reale pregiudizio dalla stessa subito.
La ricorrente impugna i criteri di liquidazione e quantificazione del danno non patrimoniale adottati dalla Corte d’appello. In particolare deduce la contraddittorietà della sentenza nella parte in cui quest’ultima determinerebbe il relativo importo, senza tenere conto di tutte le voci di danno non patrimoniale dalla stessa P. richiesti. Deduce inoltre che la detta sentenza non ha adeguatamente valorizzato la percentuale di aumento del valore a punto in ragione della personalizzazione del danno non patrimoniale.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione degli artt. 2056 c.c. e 2059 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3) e omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5)”.
Ad avviso di P.A. si è in presenza di un danno morale “sofferenziale” soggettivo da reato e di un danno esistenziale. Tali voci avrebbero dovuto essere analizzate dalla Corte d’appello nel processo logico-giuridico di personalizzazione dell’unica posta di danno non patrimoniale liquidata.
In conclusione, ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulle poste di danno risarcite a titolo di danno non patrimoniale, nulla dicendo sul danno esistenziale.
I motivi, da esaminare congiuntamente stante la connessione, sono infondati.
Va ribadito il principio secondo cui (Cass., n. 21716 del 23/09/2013) il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc., che hanno solo funzione descrittiva dell’estensione dell’unico danno non patrimoniale nella fattispecie in esame), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, però, l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione.
Le “tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica” predisposte dal Tribunale di Milano costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., là dove la fattispecie concreta non presenti circostanze tali da richiedere la relativa variazione in aumento o, per le lesioni di lievi entità conseguenti alla circolazione, in diminuzione, con la conseguenza che risulta incongrua la motivazione della sentenza di merito che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una liquidazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui si giungerebbe mediante l’applicazione dei parametri recati dall’anzidette “tabelle” milanesi. Ove, peraltro, si tratti di dover risarcire anche i c.d. “aspetti relazionali” propri del danno non patrimoniale, il giudice è tenuto a verificare se i parametri delle tabelle in concreto applicate tengano conto (come accade per le citate “tabelle” di Milano) pure del c.d. “danno esistenziale”, ossia dell’alterazione/cambiamento della personalità del soggetto che si estrinsechi in uno sconvolgimento dell’esistenza, e cioè in radicali cambiamenti di vita, dovendo in caso contrario procedere alla c.d. “personalizzazione”, riconsiderando i parametri anzidetti in ragione anche di siffatto profilo, al fine di debitamente garantire l’integralità del ristoro spettante al danneggiato. (Cass., n. 14402 del 30/06/2011).
Nella fattispecie sono stati applicati i suddetti principi; sono state applicate le tabelle di Milano, come afferma la stessa ricorrente, e la corte di merito ha provveduto con congrua motivazione ad effettuare la personalizzazione dei parametri tabellari. Infatti la C.A. osserva che la valutazione tabellare del danno biologico, effettuata in sentenza è da confermare alla luce della generale applicazione delle tabelle milanesi adottate anche dal Tribunale di Bologna e della motivazione della ulteriore personalizzazione effettuata dal primo giudice che richiama l’età della donna al momento del sinistro, le modalità del fatto lesivo, la gravità dei postumi e l’incidenza degli stessi sulla vita quotidiana della danneggiata.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta “violazione o falsa applicazione dell’art. 1224, comma 2, c.c., (art. 360, comma 1, n. 3) – insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5) in ordine alla sussistenza del danno da mala gestio”.
Sostiene la ricorrente che l’impugnata sentenza abbia errato per non aver ritenuto che il pagamento del massimale da parte della compagnia assicuratrice, dopo tre anni, costituisca mala gestio impropria e che nella stessa debbano rientrare anche le spese legali e gli oneri connessi, necessari alla tutela dei diritti della danneggiata.
Sempre ad avviso della ricorrente la sentenza impugnata è altresì censurabile nella parte in cui non ritiene sussistente la mala gestio della compagnia assicuratrice, giustificando il comportamento da essa tenuto in ragione della distanza fra le pretese della ricorrente e il massimale, avendo dovuto la compagnia assicuratrice mettere a disposizione della danneggiata l’intero massimale nei termini di legge.
Il motivo è infondato. Va, peraltro, osservato che il motivo del ricorso incidentale del B. è sostanzialmente identico, per cui nel merito esso è in ogni caso infondato.
Osserva questa Corte che in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, l’assicuratore, a seguito della richiesta del danneggiato formulata ex art. 22 della legge n. 990 del 1969, è direttamente obbligato ad adempiere nei confronti del danneggiato medesimo il debito d’indennizzo derivante dal contratto di assicurazione. Una volta scaduto il termine di sessanta giorni da detta norma previsto, l’assicuratore è in mora verso il danneggiato, qualora sia stato posto nella condizione di determinarsi in ordine all’”an” ed al “quantum” della responsabilità del suo assicurato. In tal caso l’obbligazione dell’assicuratore verso il danneggiato può superare i limiti del massimale per colpevole ritardo (per “mala gestio” cosiddetta impropria) a titolo di responsabilità per l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria e, quindi, senza necessità di prova del danno quanto agli interessi maturati sul massimale per il tempo della mora ed al saggio degli interessi legali, ed oltre questo livello in presenza di allegazione e prova (anche tramite presunzioni) di un danno maggiore. Inoltre per ottenere la corresponsione degli interessi e rivalutazione oltre il limite del massimale non è necessario che il danneggiato proponga già in primo grado nell’ambito dell’azione diretta anche una domanda di responsabilità dell’assicuratore per colpevole ritardo, ma è sufficiente che egli, dopo aver dato atto di aver costituito in mora l’assicuratore, richieda anche gli interessi ed il maggior danno da svalutazione ex art. 1224 cod. civ. ovvero formuli la domanda di integrale risarcimento del danno, che è comprensiva sia della somma rappresentata dal massimale di polizza, sia delle altre somme che al massimale possono essere aggiunte per interessi moratori, rivalutazione e spese. Ne consegue che, in caso di incapienza del massimale, la responsabilità dell’assicuratore non può che correlarsi alle conseguenze negative che il ritardo nell’adempimento della sua obbligazione (che è, appunto, quella di pagamento del danno nei limiti del massimale) ha provocato e, dunque, agli interessi e al maggior danno (anche da svalutazione monetaria, per la parte non coperta dagli interessi) conseguito al ritardo nel pagamento del massimale, che solo entro tali precisi limiti può essere, pertanto, superato, restando a carico dell’assicurato il risarcimento del danno ulteriore (Cass., n. 22883 del 30/10/2007; Cass., n. 15397 del 28/06/2010).
Nella fattispecie di colpevole ritardo dell’assicuratore nel pagamento al danneggiato degli interessi legali oltre il massimale non concorrono necessariamente con la rivalutazione della somma (come pare ritenga parte ricorrente), ma questa, secondo il meccanismo proprio dell’art. 1224, c. 2, c.c., è dovuta a titolo di maggior danno, se allegato e provato, e per la parte eccedente il danno già coperto dagli interessi legali.
Nel caso in esame la C.A. rileva che il danno da colpevole ritardo dell’assicuratore nel pagamento del massimale è coperto “ampiamente” dagli interessi legali a cui è stato condannato sulla somma già pagata a titolo di massimale, né risulta che l’attrice abbia provato l’esistenza di un maggior danno oltre quanto coperto dagli interessi legali.
Con il quarto motivo si denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5)”.
Ad avviso della ricorrente l’impugnata sentenza della Corte d’appello di Bologna è anche censurabile nella parte in cui dispone che l’eccessività delle domande è una delle ragioni che giustificano la compensazione delle spese di lite.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello correttamente motiva tale compensazione rilevando che il rigetto dell’appello principale e di quello incidentale giustifica la compensazione fra il B. e la P. .
In conclusione, la Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale.
Esistono giusti motivi per compensare fra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Compensa le spese fra tutte le parti del giudizio di cassazione.

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