Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 23 febbraio 2015, n. 7914
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Messina concesse l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., rideterminò la pena in anni uno di reclusione e confermò nel resto la sentenza emessa il 17 dicembre 2009 dal Gip del tribunale di Messina, che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 609 bis cod. pen. per avere costretto la vicina di casa S.E. a subire atti sessuali, dandole all’improvviso una pacca sul sedere e poi, impedendo alla porta dell’ascensore di chiudersi, cercando di infilare le dita in uno strappo dei jeans che indossava posto al di sopra del ginocchio e infine abbracciandola e baciandola.
L’imputato, a mezzo dell’avv. A.G., propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 530 commi 1 e 2, 533 c. 1, cpp, e 609 bis c.p. Lamenta che è erronea ed illogica la motivazione con la quale è stata ritenuta l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa per il fatto che l’imputato non era stato in grado di prospettare un valido motivo per sostenere una calunniosa incolpazione. Ciò comporta una violazione di legge ed una manifesta il logicità per avere invertito i termini del corretto iter logico-argomentativo, assumendo la precisione ed attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, in base alla mancata prova della loro calunniosità da parte dell’imputato. Tale modo di argomentare si pone in contrasto con la giurisprudenza che esige che le dichiarazioni della persona offesa siano sottoposte ad attento vaglio di attendibilità e di verosimiglianza. Nella specie tale vaglio è mancato del tutto, perché la corte d’appello, nonostante le specifiche contestazioni fatte con i motivi di impugnazione, ha dato per scontata l’intrinseca coerenza ed attendibilità, affidandosi a sostegno, per di più, ad argomenti manifestamente illogici e in contrasto con le risultanze probatorie. Deduce che la corte d’appello in modo manifestamente illogico ha tratto argomento a conforto dell’attendibilità della p.o. dalla circostanza che la stessa ha rifiutato la cifra di cinquemila euro a titolo di risarcimento, e ciò sia perché dal rifiuto di un determinato importo non può inferirsi la rinuncia al risarcimento (e quindi la maggiore genuinità dell’iniziativa di denunciare i fatti), sia perché, al contrario, la parte offesa si è costituita parte civile, richiedendo il risarcimento dei danni nella misura di cinquantamila euro, con la liquidazione di una provvisionale di diecimila. E’ manifestamente illogico, altresì, chiedersi per quale ragione la S. avrebbe dovuto trasformare in un bacio sulla bocca ed in un palpeggiamento prolungato atteggiamenti affettuosi e confidenziali non aventi però scopo libidinoso, posto che, negare una tale possibilità in via di principio significa negare, in astratto ed in via generale, che tali fenomeni di “enfatizzazione” accadano, per i più svariati motivi. Lamenta che si dà poi per scontata la veridicità del racconto alla madre senza considerare che nei motivi di appello si era specificamente censurata una tale ricostruzione dei fatti, evidenziandosi le contraddizioni tra il racconto della S.E., e quello della madre e del fratello F.. Nella motivazione si afferma che l’imputato e la di lui cognata G. Gabriella “non avevano potuto negare l’episodio” laddove risulta l’esatto contrario sia dagli atti del processo, sia dallo stesso testo della sentenza. La motivazione è manifestamente illogica anche nella parte in cui dal mero fatto che la cognata aveva chiesto spiegazioni al cognato sulle lamentele della R., si deduce che la stessa G. “considerava il cognato capace di turpi condotte” : per di più ritenendosi la detta circostanza “oltremodo significativa”.
Lamenta poi che la corte d’appello ha invece omesso di valutare le censure avanzate nei motivi di appello, riguardanti: la dedotta inconciliabilità con un intento libidinoso dell’imputato delle circostanze di tempo e di luogo in cui avvenne l’incontro con la S. (nell’androne del palazzo, mentre era in attesa della moglie); le contraddizioni sull’immediatezza (circostanza ritenuta dalla corte rilevante a conforto della sua attendibilità) del racconto della S. dopo l’incontro con il Gallo; le contraddizioni in merito ad un presunto forte abbraccio ed un bacio sulle labbra, che secondo ciò che da lei assume di avere appreso la sua amica S.V., non si sarebbero verificati; le contraddizioni sull’atteggiamento particolarmente e fastidiosamente affettuoso tenuto negli ultimi anni dal Gallo, anche in presenza della madre di lei; la inconciliabilità tra l’asserita immediatezza della reazione della ragazza e della madre (dalla quale la Corte ha dedotto che l’episodio era stato percepito come grave) con la continuazione dei rapporti di locazione con il Gallo ed il di lui suocero.
Lamenta quindi che è mancata l’analisi delle censure avanzate nei motivi di appello e che nei limitati casi in cui ciò è avvenuto, il ragionamento seguito in sentenza è palesemente affetto da illogicità ed apoditticità. Ciò soprattutto con riferimento all’esame della questione centrale che era stata devoluta: quella relativa al possibile equivoco della parte offesa sulle reali intenzioni del Gallo. Sul punto la corte d’appello si limita ad affermare che “Da nessun elemento risulta che potesse essere mai intercorsa confidenza tale da G.ficare anche un semplice bacio” ponendosi in stridente contrasto con quanto affermato dalla parte offesa S.E., secondo cui l’imputato «ha sempre tenuto nei miei confronti un atteggiamento troppo affettuoso, in specie negli ultimi anni». La contrarietà dell’affermazione contenuta in sentenza rispetto al contenuto delle dichiarazioni della persona offesa è palese, ed incidente su circostanza decisiva, nella misura in cui la sua possibile induzione in equivoco sulle reali intenzioni del gesto dell’imputato è stata esclusa – dalla Corte – sulla base della asserita mancanza di precedenti atteggiamenti di confidenza dell’imputato, che invece, dalla stessa persona offesa (che li ha definiti addirittura, troppo affettuosi, al punto da recarle fastidio) sono stati indicati come abituali.
2) violazione artt. 56 e 609 bis c.p. perché la corte d’appello ha totalmente omesso di motivare sulla configurabilità del tentativo, questione devolutale con il secondo motivo di appello.
3) Violazione degli artt. 62 bis, comma 3 e 2 c.p. avendo la corte d’appello totalmente omesso di motivare sulla concessione delle attenuanti generiche, limitandosi ad affermare soltanto che “Non si rinviene alcun motivo concreto che possa rendere Gallo meritevole delle attenuanti generiche”. La motivazione è inesistente, o comunque, apparente, contravvenendo ai dettami in materia fissati dalla pacifica giurisprudenza di questa Corte. Inoltre, la sentenza impugnata non ha motivato sulle ragioni per cui ha rigettato una specifica censura contenuta nei motivi di appello, con i quali si era dedotto che l’esclusione delle generiche operata dal giudice di primo grado era erronea, in quanto fondata sulla nuova formulazione del terzo comma dell’art. 62 bis cp (che impedisce di prendere in considerazione la sola incensuratezza dell’imputato), entrata in vigore dopo il fatto per cui è processo. E si erano pertanto diffusamente evidenziate tutte le ragioni che imponevano la concessione delle generiche.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che il primo motivo di ricorso vada rigettato, in quanto, considerando congiuntamente la sentenza impugnata e quella di primo grado, può ritenersi che i giudici del merito abbiano fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali è stata ritenuta l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa e quindi la responsabilità dell’imputato per il fatto contestatogli.
Ritiene invero il Collegio che, seppure la motivazione della sentenza di appello contenga effettivamente alcune affermazioni erronee o manifestamente illogiche o alcune osservazioni inconferenti e probabilmente inopportune, ciò sia in sostanza non decisivo al fine della soluzione assunta e non escluda l’adeguatezza e la congruità, nel loro complesso, delle motivazioni adottate, soprattutto se integrate con quelle della sentenza del giudice per le indagini preliminari.
Ed invero i giudici del merito hanno osservato: che il racconto della ragazza risultava lineare, dettagliato e coerente; che non esisteva alcuna plausibile ragione per porre in dubbio l’attendibilità e la genuinità della versione fornita dalla persona offesa; che non risultava alcun possibile profilo di interesse ad una rappresentazione non veritiera; che nei diversi racconti effettuati dalla ragazza non emergeva alcun elemento di contraddizione; che lo stesso imputato aveva affermato che i rapporti tra le parti erano positivi, così confermando l’insistenza di un interesse a fare un racconto mendace; che doveva sicuramente escludersi che il racconto della ragazza fosse frutto di un travisamento dei fatti o di un equivoco, dal momento che non si comprendeva come una stretta di mano ed un innocuo bacio sulla guancia potesse essere scambiato per un palpeggiamento sul sedere e per un forte bacio sulle labbra; che non risultava che tra imputato e persona offesa intercorresse una confidenza tale da G.ficare anche un semplice bacio; che gli altri testi avevano confermato il racconto della ragazza nell’immediatezza dei fatti nonché, soprattutto, lo stato d’animo della stessa, rinvenuta piangente e in uno stato di agitazione; che i testi avevano altresì riferito della contestazione fatta anche nei confronti dell’imputato e della risposta evasiva di questi, che non aveva negato l’episodio ma solo sostenuto che si era trattato di un malinteso, nonché delle lamentele fatte dalla ragazza ad altre persone.
A fronte delle suddette considerazioni, le altre osservazioni non del tutto logiche della corte d’appello messe in evidenza nel ricorso – quali quelle relative alla mancata prospettazione da parte dell’imputato di un motivo per sostenere un racconto mendace; al rifiuto della somma offerta in risarcimento; al rilievo dato alle opinioni personali della cognata dell’imputato – appaiono inconferenti e non idonee a fondare una diversa valutazione.
Il secondo motivo è manifestamente infondato. Difatti, essendo stato accertato che era avvenuto sia un palpeggiamento sia un bacio sulla bocca, è evidente che si tratta di delitto consumato e non tentato. Non occorreva quindi che la corte d’appello motivasse specificamente su tale censura.
E’ invece fondato il terzo motivo. La sentenza di primo grado aveva infatti negato la concessione delle attenuanti generiche in applicazione del nuovo testo dell’art. 62 bis cod. pen. La difesa aveva proposto appello su questo punto, eccependo che la decisione del giudice di primo grado era erronea perché la nuova formulazione del terzo comma dell’art. 62 bis cp (che impedisce di prendere in considerazione la sola incensuratezza dell’imputato), entrata in vigore dopo il fatto per cui è processo, non era applicabile nellá specie. Aveva anche ricordato che la meritevolezza, o meno, delle generiche non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo per il giudice, ove ritenga di escluderla, di G.ficarne sotto ogni possibile profilo l’affermata insussistenza. Inoltre, sempre con l’atto di appello, la difesa aveva diffusamente evidenziato (da pag. 11 a pag. 13) tutte le ragioni e gli specifici elementi che, a suo parere, imponevano la concessione delle attenuanti generiche.
A questo specifico motivo di appello la corte d’appello sostanzialmente non ha risposto, omettendo di valutarlo e limitandosi alla generica frase di stile che «non si rinviene alcun motivo concreto che possa rendere Gallo meritevole delle attenuanti generiche».
Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, era fondato il motivo di appello che censurava l’affermazione che le attenuanti generiche non potevano nella specie essere concesse sulla sola base dell’incensuratezza dell’imputato. Difatti, «la previsione di cui all’art. all’art. 62 bis, comma terzo, cod. pen. (introdotta dall’art. 1 lett. f-bis della legge n. 125 del 2008) -per la quale l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle attenuanti generiche – non è applicabile ai reati commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, trattandosi di disposizione aggravatrice del trattamento sanzionatorio» (Sez. V, 28.2.2014, n. 13072, Scotto Di Clemente, Rv. 260576; Sez. I, 19.5.2009, n. 23014, Nwankwo, Rv. 244121). Pertanto, a fronte della specifica, dettagliata e motivata richiesta di concessione delle attenuanti generiche ribadita con l’atto di appello ed in mancanza di una norma che ne vietasse l’applicazione nella specie, la corte d’appello non poteva dare per scontata o presunta la non meritevolezza delle attenuanti generiche, ma doveva esaminare le circostanze che potevano essere rilevanti a tal fine e specialmente gli specifici elementi e ragioni indicate con l’atto di appello.
Sul rigetto di questo motivo di appello la sentenza impugnata e dunque affetta da totale mancanza di motivazione o da motivazione meramente apparente.
La sentenza impugnata va dunque annullata limitatamente alle attenuanti generiche con rinvio alla corte d’appello di Reggio Calabria. Nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente alle attenuanti generiche con rinvio alla corte d’appello di Reggio Calabria. Rigetta il ricorso nel resto
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