cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  20 marzo 2015, n. 11660

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 26/6/2014 ha parzialmente riformato, rideterminando la pena originariamente inflitta, la sentenza con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Napoli Nord aveva riconosciuto K.A. responsabile del reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, per l’illecita cessione a M.B. (coimputato) di kg. 1,065 di sostanza stupefacente del tipo marijuana (in (omissis) ).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità penale, rilevando che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valutato determinate circostanze poste in evidenza con l’atto di appello e riguardanti la insufficiente descrizione, da parte della polizia giudiziaria, delle circostanze spazio-temporali nelle quali si sarebbe svolta l’azione.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta il mancato riconoscimento della configurabilità, nella fattispecie, dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5 d.P.R. 309/90, che la Corte del merito avrebbe erroneamente fondato sull’unico elemento del dato ponderale, senza peraltro che fossero state appurate la qualità e quantità della sostanza.
4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione alla mancata sostituzione della pena detentiva ai sensi dell’art. 53 legge 689/81, avendo i giudici dell’appello calcolato erroneamente, nel computo delle precedenti condanne, anche la pena irrogata nel presente giudizio.
5. Con un quarto motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti di legge per l’espulsione ai sensi dell’art. 15 d.lgs. 286/1988, effettuata a seguito di un giudizio di pericolosità fondato su una erronea considerazione della gravità dei precedenti penali e della scarsa consistenza delle pene irrogate.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è solo in parte fondato.
Deve rilevarsi, con riferimento al primo motivo di ricorso, che lo stesso è inammissibile perché attinente alla ricostruzione fattuale della vicenda che ha visto coinvolto l’odierno ricorrente e chiaramente finalizzato a prospettare una diversa valutazione degli elementi già apprezzati dai giudici del merito, non consentita in questa sede di legittimità.
In ogni caso, i giudici dell’appello hanno posto in evidenza come, dagli atti del procedimento, emergesse con chiarezza che il ricorrente era stato chiaramente visto dalla polizia giudiziaria mentre consegnava al coimputato M. lo stupefacente, lasciando cadere una busta rettangolare verde in cellophane sul sedile lato passeggero della vettura a bordo della quale il M. medesimo si trovava.
I giudici del merito hanno fornito adeguata risposta ai dubbi sollevati con l’atto di appello, osservando come non vi fosse alcun elemento concreto atto a far ritenere che gli operanti fossero incorsi in errori di percezione e che il riferimento alle stradine buie, attraverso le quali il ricorrente si è dileguato dopo la cessione dello stupefacente, riguardava, appunto, tali luoghi e ciò non implicava che anche quello ove era avvenuta la consegna fosse caratterizzato da scarsa visibilità.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di argomentazioni del tutto prive di cedimenti logici o manifeste contraddizioni che non evidenziano alcun vizio del provvedimento impugnato.
2. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso.
Come è noto, l’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 ha subito rilevanti modifiche ad opera dell’art. 2 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 10 e dell’art. 1, comma 24-ter, lettera a) del decreto – legge 20 marzo 2014, n. 36 (Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali) convertito, con modificazioni, dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, venendo, tra l’altro, trasformato da circostanza attenuante ad effetto speciale a reato autonomo.
Ciò nonostante, la lieve entità del fatto è ancora riscontrabile in relazione ai mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione ovvero alla qualità e quantità delle sostanze, cosicché non può che richiamarsi quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte e, cioè, che una tale ipotesi può verificarsi solo in presenza di una condotta connotata da minima offensività penale deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/6/2010, P.G. in proc. Rico, Rv. 247911. In senso conforme v. Sez. 4, n. 43399 del 12/11/2010, Serrapede, Rv. 248947; Sez. 4, n. 6732 del 22/12/2011 (dep. 2012), P.G. in proc. Sabatino, Rv. 251942; Sez. 6, n. 39977 del 19/9/2013, Tayb, Rv. 256610 e, con riferimento alle modifiche operate dal d.l. n. 146/2013, Sez. 3, n. 27064 del 19/3/2014, P.G. in proc. Fontana, Rv. 259664).
Alla luce di tali principi deve rilevarsi che la Corte territoriale ha correttamente individuato come determinante il dato ponderale, trattandosi di oltre un chilogrammo di marijuana e tale considerazione appare più che sufficiente per giustificare la decisione.
3. Neppure assume rilievo l’ulteriore deduzione concernente la mancata effettuazione di accertamenti sulla qualità e quantità della sostanza, poiché, come più volte affermato, il giudice non ha alcun dovere di procedere a perizia o ad accertamento tecnico per stabilire la qualità e la quantità del principio attivo di una sostanza drogante, in quanto egli può attingere tale conoscenza anche da altre fonti di prova acquisite agli atti (Sez. 4, n. 22238 del 29/1/2014, Feola e altri, Rv. 259157; Sez. 6, n. 43226 del 26/9/2013, Hu, Rv. 257462; Sez. 4, n. 4817 del 20/11/2003 (dep. 2004), De Lorenzo ed altri, Rv. 229364).
La richiamata giurisprudenza riconosce efficacia anche alla prova del “narcotest”, che, nella fattispecie, è stata effettuata dalla polizia giudiziaria, come emerge dal verbale di arresto in flagranza allegato al ricorso.
4. A diverse conclusioni deve invece pervenirsi per ciò che concerne il terzo motivo di ricorso.
L’art. 59, comma 1 legge 689/81, che la Corte territoriale ha indicato come ostativo alla sostituzione della pena detentiva, stabilisce che della sostituzione non possono beneficiare coloro che, essendo stati condannati, con una o più sentenze, a pena detentiva complessivamente superiore a tre anni di reclusione, hanno commesso il reato nei cinque anni dalla condanna precedente.
I giudici dell’appello hanno dunque rilevato che l’imputato era stato condannato ad una pena complessiva superiore a tre anni di reclusione ed aveva commesso il reato oggetto dell’appello nei cinque anni dall’ultima condanna irrevocabile, il 20/2/2009 rinviando, a tale proposito, al punto 1 del certificato penale in atti.
Tuttavia, dall’esame del certificato penale, allegato anche al ricorso, non risulta che la somma delle pene detentive inflitte al ricorrenti superi nel complesso i tre anni, rinvenendosi soltanto una condanna per sfruttamento della prostituzione ad un anno e quattro mesi di reclusione ed un’altra ad otto mesi di reclusione per violazione della disciplina sull’immigrazione.
Deve pertanto ritenersi che, come ipotizzato in ricorso, la Corte territoriale abbia preso in considerazione, nel computo delle pene, anche quella irrogata nel presente giudizio, ma una tale conclusione si pone palesemente in contrasto con il tenore letterale della disposizione, la quale fa chiaramente riferimento a soggetti già condannati con una o più sentenze, distinguendo nettamente, nella parte finale del comma, la condanna precedente ed il reato per il quale deve operarsi la sostituzione della pena.
Del resto, questa Corte è giunta a conclusioni simili anche con riferimento al secondo comma, lett. a) dell’articolo 59 legge 689/81 (cfr. Sez. 3, n. 32116 del 11/6/2013, Pg in proc. De Dominicis, Rv. 256736; Sez. 4, n. 1738 del 12/10/1984 (dep.1985), Benedettini, Rv. 167996).
5. Deve conseguentemente affermarsi analogo principio con riferimento alla diversa disposizione qui presa in esame, secondo il quale in tema di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, l’art. 59, primo comma, legge 24 novembre 1981 n. 689 va interpretato nel senso che la esclusione del beneficio della sostituzione della pena detentiva opera nei confronti di coloro che sono stati condannati a pena detentiva complessivamente superiore a tre anni di reclusione, con una o più sentenze divenute irrevocabili, sicché nel computo delle condanne riportate non può essere inclusa quella in relazione alla quale il beneficio viene richiesto.
La fondatezza del motivo di ricorso impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata sul punto.
6. Infondato risulta, invece, il quarto motivo di ricorso, poiché la misura di sicurezza personale dell’espulsione dello straniero che sia condannato per taluno dei delitti previsti dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale richiede che lo stesso sia socialmente pericoloso, così intendendosi che il giudice che la applica deve ritenere accertata una particolare attitudine a delinquere.
Tale accertamento risulta, nella fattispecie, correttamente effettuato, avendo i giudici del gravame posto in evidenza la gravità del precedente penale per sfruttamento della prostituzione e quella del reato per cui procedeva, considerandoli unitariamente come sintomatici di una attitudine a delinquere.
Si tratta, anche in questo caso, di una valutazione discrezionale che i giudici del merito hanno effettuato senza incorrere in cedimenti logici o manifeste contraddizioni e, pertanto, non censurabile in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla sostituzione della pena detentiva e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta il ricorso nel resto.

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