La massima
Qualora gli strumenti conoscitivi e di apprezzamento di cui il soggetto attivo dispone lascino residuare il dubbio circa l’effettiva età – maggiore o minore dei quattordici anni – del partner, detto soggetto, al fine di non incorrere in responsabilità penali, deve necessariamente astenersi dal rapporto sessuale: giacché operare in situazione di dubbio circa un elemento costitutivo dell’illecito (o un presupposto del fatto) – lungi dall’integrare una ipotesi di ignoranza inevitabile – equivale ad un atteggiamento psicologico di colpa, se non, addirittura, di cosiddetto dolo eventuale.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 2 ottobre 2013, n. 40748
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Trieste, con sentenza in data 12 luglio 2011, in parziale riforma della sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal G.u.p. presso il Tribunale di Trieste in data 19 ottobre 2010, ha ridotto la pena ad anni quattro e mesi due per C.R., imputato del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 quater c.p., comma 1, nn. 1 e 2, in quanto, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, compiva nel proprio appartamento, reiteratamente, atti sessuali con P.N., minore di anni 14, consistenti in coiti orali, vaginali ed altri atti, in (OMISSIS), con recidiva specifica; ha confermato la condanna di A.R.A. alla pena di anni due di reclusione, imputato dei reati di cui all’art. 600 quater c.p., in quanto deteneva materiale pedopornografico di P.N., minore di 14 anni, e del reato di cui all’art. 609 quater c.p., in quanto compiva atti sessuali consistiti in rapporti sessuali completi con la suddetta minore, in (OMISSIS), in data imprecisata, verosimilmente nel (OMISSIS) e comunque prima del (OMISSIS); ha ridotto la pena ad anni tre di reclusione a G.R., imputato del reato di cui all’art. 81 cpv.
c.p., art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, e art. 609 ter, comma 1, nn. 1 e 2, e art. 609 quater c.p., perchè, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, compiva nel proprio appartamento, reiteratamente, atti sessuali (anche coiti orali) con P.N., minore di 14 anni, anche abusando delle condizioni di inferiorità psichica procuratele con abuso di alcolici, in (OMISSIS) sino alla seconda metà di (OMISSIS), con recidiva reiterata.
2. Le sentenze di merito hanno affermato la responsabilità dei ricorrenti (e di altro imputato non impugnante) per reati sessuali commessi, ciascuno con condotte del tutto autonome, in danno della medesima ragazza minore di quattordici anni. I fatti erano emersi a seguito di un’indagine di polizia giudiziaria, attivatasi da una fonte confidenziale, e svolta con appostamenti, intercettazioni telefoniche e dei testi degli SMS scambiati dalla P. con alcuni uomini, identificati con gli imputati; Le indagini erano culminate in un’irruzione nell’abitazione del C. colto in un atto sessuale con la minore ed arrestato in flagranza. I giudici avevano dato atto della situazione della minore, affidata in comunità dopo i fatti, la quale, trascurata dai genitori ed affidata ad anziani amici di famiglia, era stata iniziata al sesso sin dall’età di nove anni da uno di essi, e viveva un vero e proprio sdoppiamento di personalità a soli tredici anni: da un lato studentessa di un buon rendimento scolastico, curata ed allegra, dall’altro “malata di sesso”, alla ricerca di relazioni sessuali con uomini maturi. In questo quadro i giudici avevano differenziato i comportamenti ascritti agli imputati, i quali avevano approfittato della situazione di fatto, differenziando del pari il grado di responsabilità.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso C.R., tramite il proprio difensore, lamentando erronea applicazione della legge penale per la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6; successivamente l’imputato ha presentato in data 23 aprile 2013 dichiarazione di rinuncia all’impugnazione come proposta.
4. Avverso la sentenza hanno altresì proposto ricorso, tramite i propri difensori, gli altri due imputati chiedendone l’annullamento.
A.R.A. ha lamentato: 1) Erronea applicazione della legge penale in riferimento alla previsione di cui all’art. 609 sexies c.p., e difetto di motivazione e contraddittorietà della stessa, in riferimento agli atti processuali specificamente indicati nei motivi di gravame, ai quali non è stata fornita risposta, circa l’ignoranza da parte dell’ A. dell’età della P., dovendosi tenere conto che la stessa, essendo nata il (OMISSIS), non aveva ancora compiuto 14 anni all’epoca dei fatti, ma era assolutamente pacifico che era stata la ragazza a provocare l’incontro con l’ A. utilizzando una chat per adulti, inoltre dal tenore degli SMS scritti dalla ragazza emergeva la sua spregiudicatezza, anche perchè la stessa gli aveva detto di avere 15 anni; 2) Erronea applicazione della legge penale e incongrua motivazione circa il reato di cui all’art. 600 quater c.p., posto che le sembianze delle foto rinvenute nel cellulare dell’imputato riproducevano la vagina ed il sedere della minorenne, ma non effigiavano il volto, per cui le stesse non possono essere definite dal punto di vista oggettivo pedopornografiche, mancando la raffigurazione della persona umana e dell’atteggiamento sessuale della stessa; 3) Mancanza e contraddittorietà della motivazione laddove sono state negate le attenuanti generiche, a fronte di elementi in atti, posto che l’ A. non trattò affatto la minore come una prostituta, anzi fu gentile con lei come si evince dai contenuti dei messaggi scambiati, in riferimento all’unico incontro avvenuto con la stessa; 4) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa la mancata applicazione della pena nel suo minimo edittale.
G.R. ha lamentato: 1) Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per travisamento delle prove, in quanto i testi Valenti e Catanzaro avevano riferito che il G. era rientrato a casa quanto la P. era già ubriaca nel giardino dell’abitazione, dove era entrata clandestinamente, come del resto dalla stessa affermato nelle sommarie informazioni testimoniali rese in seconda battuta, per cui il fatto ascritto non sussiste; 2) Contraddittorietà della motivazione ed erronea applicazione della legge penale quanto al riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., atteso che l’imputato non ebbe mai rapporti completi con la ragazza, come la stessa afferma, e comunque non risulta sussistente alcun stato di soggezione tra la minore ed il G., proprio perchè la ragazza era assolutamente disinibita sotto il profilo sessuale ed aveva avuto ripetute esperienze sessuali con altri uomini, per cui era stata la stessa a prendere l’iniziativa sessuale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Innanzitutto questo Collegio rileva che C.R., con dichiarazione depositata il 23 aprile 2013, ha manifestato la volontà di rinunciare al ricorso per cassazione ed ha nel contempo chiesto l’immediata esecutività della sentenza emessa dalla Corte di appello di Trieste, per cui si è realizzata una causa di inammissibilità del ricorso ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. d), e, di conseguenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio e della somma di Euro cinquecento in favore della Cassa delle ammende.
2. Riguardo ai ricorsi degli altri due imputati, va premesso che questa Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). E’ stato inoltre precisato che se l’appellante ha riproposto questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relationem.
3. Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle esaustive argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati ed hanno esaustivamente e correttamente motivato anche le ragioni dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, peraltro riscontrate in maniera consistente dalle intercettazioni, dall’esito degli appostamenti di polizia giudiziaria e della scoperta in flagranza del reato ascritto al C., dall’esito delle perquisizioni e sequestri e dalle dichiarazioni dei testimoni, atti tutti facenti parte del fascicolo delle indagini preliminari utilizzato per il giudizio per effetto dell’opzione del giudizio abbreviato.
4. Tanto premesso e passando ad esaminare il ricorso dell’ A., va innanzitutto respinto il primo motivo. Non è infatti ravvisabile alcuna errata interpretazione dell’art. 609 sexies c.p., nè alcun vizio di motivazione. Oltre al principio, già ricordato nella sentenza impugnata (affermato con sentenza Sez. 3, n. 32235 del 11/7/2007, dep. 7/8/2007, B., Rv. 237654), debbono essere richiamati i contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 322 del 2007, che ebbe a respingere la questione di costituzionalità della norma escludendo che la stessa abbia istituito una presunzione assoluta di conoscenza; il Giudice delle leggi ha infatti precisato che “qualora gli strumenti conoscitivi e di apprezzamento di cui il soggetto attivo dispone lascino residuare il dubbio circa l’effettiva età – maggiore o minore dei quattordici anni – del partner, detto soggetto, al fine di non incorrere in responsabilità penali, deve necessariamente astenersi dal rapporto sessuale: giacchè operare in situazione di dubbio circa un elemento costitutivo dell’illecito (o un presupposto del fatto) – lungi dall’integrare una ipotesi di ignoranza inevitabile – equivale ad un atteggiamento psicologico di colpa, se non, addirittura, di cosiddetto dolo eventuale”. La Corte di appello nel respingere il medesimo motivo proposto in tale sede, ha anche sottolineato il fatto che, come emergeva dal contenuto degli SMS intercettati, la questione relativa all’età della minore non solo era stata posta, ma la ragazzina aveva con evidenza fatto intendere di non avere quattordici anni, sicchè nessun errore incolpevole, in quanto inevitabile, può essere addotto dall’ A. sul punto.
5. Quanto al secondo motivo di ricorso avanzato, risulta corretta la sentenza impugnata, laddove conclude che le fotografie trovate in possesso all’ A. sono immagini normativamente qualificabili come pedopornografiche, posto che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio che un materiale fotografico o video è definibile pedopornografico quando ritragga o rappresenti un minore degli anni diciotto “implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica” (cfr. Sez.3, n. 10981 del 4/3/2010, dep. 22/3/2010, K., Rv. 246351). Orbene nel caso di specie, i giudici di merito hanno evidenziato non solo che è indiscusso che le immagini rappresentano gli organi genitali di una minore di anni 14 (e non è affatto condivisibile l’assunto difensivo che ritiene indispensabile per considerare la natura pedopornografica di un immagine la riproduzione dell’effige del minore), ma anche che le stesse furono richieste dall’imputato, e spedite dalla P. stessa in cambio di una ricarica del telefono cellulare, al fine di evocare nel ricevente A., il soddisfacimento sessuale connesso ai rapporti sessuali posti o da porre in essere con la minore. Pertanto risulta evidente che è stata realizzata quella “esibizione lasciva dei genitali” di un soggetto minore necessaria, ratione temporis (ossia prima della modifica apportata con la legge n. 172 del 2012), alla realizzazione della fattispecie contestata.
6. Vanno respinti anche il terzo ed il quarto motivo proposti dall’ A., con i quali sono state censurate le valutazione dei giudici in materia di dosimetria della pena, anche in seguito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. A tale proposito i giudici di appello hanno puntualmente espresso le ragioni delle proprie determinazioni in punto di dosimetria sanzionatoria, precisando come l’ammissione dei fatti fosse stata necessitata dall’evidenza probatoria del contenuto di oltre duecento pagine di messaggi SMS scambiati con la P. a sfondo sessuale, in vista di un successivo incontro di novembre, che non si è tenuto per l’intervento delle indagini relative al procedimento, per cui non potevano essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche e dovesse, di contro, ritenersi anche perfettamente adeguata ai fatti come accertati la pena inflitta dal primo giudice, che peraltro ebbe a riconoscere l’attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 4, a ragione dell’unico incontro sessuale, seppure dietro corrispettivo, intervenuto tra l’uomo e la minore. D’altra parte, quanto all’incensuratezza dell’imputato, è principio pacifico in giurisprudenza che nell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche il giudice non deve tenere conto unicamente di tale dato, ma deve considerare anche gli altri indici desumibili dall’art. 133 c.p. (cfr. Sez. 4, n. 31440 del 25/06/2008, PG in proc. Olivarria Cruz, Rv. 241898), indici per l’appunto considerati nel caso di specie dai giudici di merito. Di conseguenza, il ricorso dell’ A. deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p..
7. Anche il primo motivo di ricorso di G. è infondato e valgono le considerazioni già esposte in precedenza. I giudici di merito (si veda sentenza di primo grado p. 6) hanno chiarito le ragioni per le quali le prime dichiarazioni della ragazzina, avvenute subito dopo l’arresto del C., erano state meno esaustive di quelle rese nella deposizione del 20 gennaio 2010, più dettagliata, nella quale la stessa Nicole aveva ricostruito la relazione con il G.. Riscontri specifici di tale versione, che ha portato alla conferma dei reati ascritti al medesimo, sono stati individuati nei contenuti delle intercettazioni (laddove la minore fa esplicito riferimento alle modalità dei rapporti orali), nella foto che riprende la ragazzina in mutande e reggiseno in una stanza indicata dalla polizia giudiziaria come appartenente all’abitazione dell’uomo, nel possesso del vibratore al quale la P. aveva fatto riferimento, ed anche nelle stesse confidenze della minore circa la relazione con il G. rese all’imputato C. ed alla di lui moglie. Non sussiste quindi alcun contrasto tra le dichiarazioni, ma un progressivo disvelamento dei fatti, che non pone le dichiarazioni in contrasto logico tra loro; inoltre i giudici di appello hanno fornito un’ampia motivazione priva di smagliature logiche (pp. 24 e 25 della sentenza di appello) sulle ragioni per le quali non poteva essere ipotizzato alcun movente di vendetta tale da giustificare le menzogne della minore asserite dalla difesa del G..
8. Risulta invece fondata la seconda censura. La Corte di appello ha rideterminato la pena base comminata al G., ma ha negato di poter riconoscere nel fatto contestato la circostanza attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 4, considerando che la mancanza di rapporti sessuali completi non poteva incidere sulla lesività complessiva della condotta dell’imputato, non solo dimenticandosi che la specifica circostanza attenuante era stata riconosciuta, in favore dell’imputato A., dal giudice di primo grado, sulla base del fatto che il rapporto sessuale fosse stato provocato dalla ragazza, ma che la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che la circostanza attenuante della minore gravità del fatto in riferimento ai reati sessuali commessi in danno di minori può essere riconosciuta se gli atti compiuti non comportano una rilevante compromissione dell’integrità psico-fisica della persona offesa, anche se non rileva, di per sè, l’eventuale consenso della stessa, insito nel reato in esame (cfr. Sez.3, n. 11252 del 10/2/2010, dep. 24/3/2010, P.G. in proc. R., Rv. 246593). Del resto è la stessa sentenza di secondo grado a porre ripetutamente in evidenza il fatto che la ragazzina fosse purtroppo stata condotta verso uno sdoppiamento di personalità, con conseguente assenza di controllo delle sue pulsioni sessuali. Nè può essere considerato congruo il rilievo formulato dai giudici di appello (p. 26 della sentenza) della impossibilità di differenziare la diversa lesività dei comportamenti posti in essere dai singoli imputati sulla medesima minore, posto a ragione giustificatrice della reiezione della invocata circostanza attenuante. Di conseguenza la decisione impugnata, limitatamente alla reiezione della circostanza attenuante del fatto lieve, deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste per nuovo giudizio sulla configurabilità o meno di tale circostanza attenuante, mentre nel resto il ricorso del G. va rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.R. limitatamente alla circostanza di cui al comma 4 dell’art. 609 quater c.p. con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste, rigetta nel resto il ricorso del G.; rigetta il ricorso di A.R.A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; dichiara inammissibile il ricorso di C. R. e lo condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro cinquecento in favore della cassa delle ammende.
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