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Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza  9 ottobre 2013, n. 22944

 

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate notificò a G.Z. l’avviso di liquidazione per il recupero delle ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale, oltre sanzioni, emesso a seguito della revoca dell’agevolazione “prima casa”, in quanto l’immobile, acquistato in data 2.2.2001, era stato ceduto in data 30.1.2002, senza che ne fosse stato acquistato, entro un anno, un altro adibito ad abitazione principale. Il contribuente propose ricorso, deducendo di aver diritto al mantenimento del beneficio, per aver acquistato in data 15.11.2002 un altro immobile da adibire ad abitazione principale, e per averlo abitato dall’aprile all’ottobre 2003. La Commissione adita rigettò il ricorso, e la decisione fu confermata dalla CTR del Veneto, che, con sentenza n. 9/31/08, depositata il 16.4.2008, ritenne necessario l’utilizzo effettivo come abitazione principale dell’immobile acquistato, ed, in concreto, indimostrato detto utilizzo.
Il contribuente la proposto ricorso per la cassazione della sentenza, con tre articolati motivi, cui l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso. Il contribuente ha depositato note d’udienza.

Motivi della decisione

1. L’eccezione d’inammissibilità del ricorso, per la sua tardività, va rigettata: consta, infatti, che l’atto, ricevuto dall’intimata il 4.6.2009 è stato spedito a mezzo posta dal difensore della parte, a ciò abilitato ex lege n. 53 del 1994, il precedente giorno 1, ultimo utile, ex art. 327 cpc. Contrariamente a quanto affermato dalla controricorrente, questa Corte ha, già, chiarito (Cass. n. 6402 del 2004; n. 17748 del 2009) che il principio, derivante dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale, secondo cui la notificazione a mezzo posta deve ritenersi perfezionata per il notificante con la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, si applica, anche, nel caso, quale quello in esame, in cui la notifica a mezzo posta viene eseguita dal difensore ai sensi dell’art. 1 della citata l. n. 53 del 1994, essendo irrilevante la diversità soggettiva dell’autore della notificazione, e dovendo, solo, sostituirsi la data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario con quella di spedizione del piego raccomandato.
2. Col primo motivo, dotato di idoneo quesito, il ricorrente denuncia, ex art. 360, 1° co, n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, nota II bis, co 4, della Tariffa, parte prima, allegata al dPR n. 131 del 1986, per avere i giudici d’appello ritenuto che l’espressione “immobile da adibire” andasse intesa come “immobile adibito”. Il ricorrente sostiene, in particolare, che l’utilizzo effettivo è bensì “implicito e presupposto in presenza di casa avente le caratteristiche abitative, ma è estraneo alla norma ed estraneo ad un controllo dell’Ufficio”, sicché ciò che rileva è la potenzialità dell’immobile, per le sue caratteristiche oggettive, ad essere adibito ad abitazione, senza che sia necessario l’effettivo spostamento dell’abitazione entro un termine decadenziale, che non è, appunto, previsto.
3. Col secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in riferimento all’art. 360, 1° co, n. 3 e 5 cpc.
3.a. Sotto il primo profilo, si addebita alla CTR di aver arbitrariamente “tratto dalla regola della decadenza per cessione infraquinquennale (prevista al primo periodo del comma 4 della Nota II bis della Tariffa, Parte prima) argomento per limitare l’agevolazione alle sole ipotesi di utilizzo effettivo della casa di abitazione”, e ciò in quanto, il predetto “primo comma della stessa Nota II bis non richiede l’utilizzo effettivo della casa di abitazione”, ma richiede, solo, che l’abitazione sia ubicata nel comune di residenza.
3.b. Sotto il secondo profilo, il ricorrente afferma che la sentenza contiene un “salto logico laddove la regola della ubicazione della prima casa nel territorio ove il richiedente risiede o lavora, viene considerata come argomento a favore di un utilizzo effettivo, anziché (come è ben possibile) a favore di un utilizzo potenziale e presunto”.
4. Col terzo mezzo, si deduce, in via subordinata:
4.a) violazione di legge, in relazione all’art. 360, 1° co n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata implicitamente richiesto un trasferimento definitivo (o comunque prolungato del tempo) nella nuova casa di abitazione, quando, invece, non è prevista alcuna durata minima;
4.b.) illogicità della motivazione nel punto in cui i giudici d’appello hanno escluso che la prova dell’utenza idrica sia idonea e sufficiente per dimostrare un utilizzo (comunque avvenuto) della nuova casa di abitazione;
4.c. ulteriore vizio logico della motivazione laddove la CTR ha dedotto “il non utilizzo della nuova casa di abitazione dall’aver dichiarato nel modello Unico 2004 che la stessa era “a disposizione”.
5. I motivi primo e secondo, che, per la loro connessione, vanno congiuntamente esaminati, sono infondati.
6. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. SU. n. 1196 del 2000; n. 9149 del 2000; n. 3608 del 2003; n. 18300 del 2004; n. 20066 del 2005; nn. 20376 e 21718 del 2006; n. 13491 del 2008), alla quale si presta adesione, i benefici fiscali sono subordinati al raggiungimento dello scopo per il quale vengono concessi: in caso di vendita infraquinquennale di un immobile comprato con le agevolazioni cd. prima casa, il mantenimento dell’agevolazione è accordato se il contribuente entro il successivo anno “proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”. La dichiarazione di volontà, in tal senso espressa dell’acquirente, non è riferita ad una qualità astratta del bene, né costituisce una mera “dichiarazione di intenti” ma comporta l’assunzione di un vero e proprio obbligo verso il fisco, e, cioè, quello di adibire la casa acquistata a propria abitazione principale. Deve, perciò, affermarsi che il beneficio fiscale, concesso al momento della registrazione dell’atto in base alla sola dichiarazione di volontà predetta, possa esser conservato solo se il contribuente realizzi l’intento dichiarato entro il termine triennale di decadenza fissato (prima dal dPR n. 634 del 1972, art. 74 e poi dal dPR n. 131 del 1986, art. 76) per l’esercizio del potere di accertamento dell’Ufficio (cfr. Cass. SU n. 1196 del 2000).
7. Ciò vale sia nel caso, qui in rilievo, di vendita infraquinquennale seguita dall’acquisto di altra abitazione entro l’anno, sia nel caso disciplinato dal primo comma della norma in esame, tenuto conto che l’agevolazione per l’acquisto della “prima casa” è, comunque, volta ad incentivare l’acquisto di un’unità immobiliare da destinare ad abitazione del compratore – in attuazione del precetto di cui all’art. 47 Cost. – nel Comune di residenza o (se diverso) in quello ove lo stesso svolge la propria attività, ed è subordinata: a) alla non possidenza di altro immobile idoneo ad essere destinato a tale uso; b) all’assunzione dell’impegno, mediante dichiarazione formale resa nell’atto di compravendita, di risiedere o voler stabilire la propria residenza (anagrafica, cfr. Cass. n. 17595 del 2012) nel Comune ove è ubicato l’immobile acquistato (da ultimo, Cass. n. 13491 del 2008).
8. I dedotti vizi motivazionali sono inammissibili, perché volti a confutare profili di diritto, e, dunque, inidonei a comportare la cassazione della sentenza, potendo questa Corte emendare o integrale la motivazione, ex art. 384, 2° co, cpc, quando il dispositivo sia conforme a diritto.
9. Anche il terzo motivo è inammissibile. Occorre evidenziare che la CTR ha escluso che il contribuente avesse effettivamente utilizzato, quale propria abitazione, l’immobile comperato dopo aver donato quello acquistato coi benefici fiscali. La violazione di legge di cui al punto 4.a) non è dunque pertinente a tale decisum, postulando, come chiarito dal quesito che la correda, che sussista un’utilizzazione effettiva, ancorché temporanea, dell’immobile.
10. Entrambi i dedotti vizi motivazionali tendono, invece, ad un riesame nel merito delle risultanze processuali relative all’effettivo uso dell’abitazione da parte del contribuente, in quanto con essi si criticano le conclusioni tratte dai giudici del merito – esposte, peraltro, con motivazione niente affatto contraddittoria – da determinati elementi probatori (arbitraria svalutazione del pagamento dell’utenza idrica ed indicazione esposta nel modello Unico 2004) e se ne prospettano, inammissibilmente, di diverse, favorevoli al ricorrente.
9. Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in €4.500,00, oltre a spese prenotate a debito.

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