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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 2 luglio 2015, n. 27862

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo – Presidente

Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere

Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di CUNEO;

nel proc. c/:

(OMISSIS), n. (OMISSIS);

(OMISSIS), n. (OMISSIS);

(OMISSIS), n. (OMISSIS);

avverso la sentenza del tribunale di CUNEO in data 24/03/2014;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SPINACI Sante che ha chiesto annullarsi con rinvio l’impugnata sentenza;

udite, per gli imputati, le conclusioni dell’Avv. (OMISSIS), che ha chiesto rigettarsi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 24/03/2014, depositata in data 4/04/2014, il tribunale di CUNEO assolveva (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale (Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 29-quattuordecies, contestato come commesso fino al (OMISSIS)), per insussistenza del fatto.

2. Ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di CUNEO, impugnando la sentenza predetta, con cui deduce un unico, articolato, motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. cod. proc. pen..

2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’articolo 40 c.p., comma 2 e violazione dell’articolo 2392 c.c., comma 2, ed erroneo riconoscimento della delega di funzioni.

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver il giudice di merito assolto gli imputati dal reato per insussistenza del fatto, ritenendo efficace la delega di funzioni convenuta tra gli amministratori della societa’; la delega in materia ambientale, sostiene il PM ricorrente, sarebbe giustificata solo nell’ambito di strutture plurisoggettive laddove, diversamente, come avvenuto nel caso in esame, si trattava di una struttura produttiva estremamente semplice, in quanto uno era lo stabilimento ed unica la sede aziendale; peraltro, si aggiunge la situazione di confusione gestionale era di macroscopica evidenza, discutendosi, nel caso in esame, dell’incapacita’ di osservare le prescrizioni dettata dall’A.I.A. e dal comune buon senso per la gestione dei rifiuti, che costituiva l’oggetto dell’attivita’ aziendale della societa’; l’aver attribuito efficacia scriminante ad un accordo convenzionale tra soggetti che hanno scelto di svolgere l’attivita’ di amministratori equivale a riconoscere efficacia ad un accordo privatistico sull’attribuzione di responsabilita’ penale; le criticita’ nella gestione dei rifiuti, infine, erano tali da necessitare l’intervento dei restanti amministratori a tutela della stessa societa’, trattandosi di profili di colpa e non di responsabilita’ di posizione come paventato nella sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ infondato.

4. Ed invero, risulta dagli atti che il tribunale e’ pervenuto a giudizio assolutori nei confronti dei tre imputati (due dei quali, il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), coamministratori della societa’ (OMISSIS) s.r.l. e, il terzo, il (OMISSIS), presidente del Consiglio di Amministrazione) dopo aver dato atto dell’intervenuta definizione del processo da parte del terzo coamministratore, il (OMISSIS), che, in base a quanto emerso nell’istruttoria dibattimentale (deposizione teste (OMISSIS), funzionario ARPA) era risultato dotato di deleghe specifiche; si legge, peraltro, nella motivazione dell’impugnata sentenza che l’accusa mossa agli attuali imputati si fonda sul presupposto che gli stessi, consapevoli della disordinata conservazione dei rifiuti, avessero per cio’ stesso omesso di intervenire, colposamente; detta ipotesi accusatoria, motiva il giudice, contrasta con il dato positivo per il quale esisteva un soggetto munito di specifica delega a curare gli adempimenti in azienda in materia ambientale e, dall’altro, dall’operativita’ in settori diversi (commerciale ed amministrativo) degli altri imputati, come dichiarato dai medesimi in sede di esame, e dal teste indotto dalla difesa, donde l’insussistenza di elementi probatori a loro carico in ordine alla posizione di garanzia o specifico concorso attribuita agli imputati, sfociandosi diversamente in un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva.

5. A fronte di tale quadro probatorio, il PM ricorrente evoca, da un lato, la carenza del requisito della necessita’ della delega e, dall’altro, l’esistenza di una posizione di garanzia cumulativa, pur in presenza di un soggetto espressamente delegato alla cura degli adempimenti in materia, trattandosi di carenze gestionali ed organizzative di macroscopica evidenza (fatto sulla cui materialita’, si osservi, non vengono sollevate censura di sorta, essendo risultato pacifico), sicche’ sarebbe stato necessario un loro specifico intervento a tutela della stessa societa’.

La censura, pur suggestiva, non ha pregio.

Ed infatti, quanto al requisito della “necessita’” della delega, e’ ben vero che lo stesso e’ richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento alle fattispecie di reati ambientali (v., ad es., Sez. 3, n. 6420 del 07/11/2007 – dep. 11/02/2008, Girolimetto, Rv. 238980, che condiziona la rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, alla compresenza di precisi requisiti, tra cui, in particolare il fatto che il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa), ma non puo’ non rilevarsi da parte del Collegio l’asimmetria oggi rilevabile con l’omologo istituto della delega di funzioni in materia prevenzionistica.

6. Ed infatti, com’e’ noto, a seguito della normativizzazione dell’istituto della delega nel cd. Testo unico sulla sicurezza (Decreto Legislativo n. 81 del 2008), l’attuale articolo 16 del citato Testo Unico non contempla piu’ tra i requisiti richiesti per attribuire efficacia all’atto di delega proprio quello della sua “necessita’”, essendo oggi pacificamente ammissibile in campo prevenzionistico l’attribuzione delle funzioni delegate anche in realta’ di modesta entita’ organizzativa. Cio’ significa, pertanto, che il cd. requisito dimensionale, per espressa volonta’ legislativa (ove il legislatore avesse voluto, infatti, avrebbe espressamente incluso il requisito dimensionale tra quelli necessari, come ha fatto cristallizzando in previsioni di diritto positivo i principi giurisprudenziali elaborati in materia, pressocche’ integralmente recepiti nell’articolo 16 citato), non costituisce piu’ condizione o requisito di efficacia di una delega di funzioni nella materia della prevenzione infortuni sul lavoro. Non puo’, pertanto, non riconoscersi come la presenza di una volonta’ legislativa ben determinata (escludere il requisito della necessita’ della delega) nell’affine materia prevenzionistica, non esplichi i suoi effetti anche nella materia ambientale, considerando, del resto, gli inevitabili e naturali punti di contatto tra l’esercizio delle funzioni e gli adempimenti delegati nei due settori; a tacer d’altro, osserva il Collegio, il mantenimento del requisito dimensionale quale condicio sine qua non dell’efficacia della delega di funzioni in materia ambientale, determinerebbe un’illogica ed ingiustificabile disparita’ di trattamento (perdipiu’ fondata su una contraria esegesi giurisprudenziale, valevole solo per il settore ambientale e non piu’ per quello prevenzionistico) tra chi e’ delegato agli adempimenti ambientali e chi e’ delegato agli adempimenti in materia antinfortunistica, con la paradossale conseguenza, ove le deleghe confluiscano nel medesimo soggetto, che l’osservanza della legge consentirebbe di ritenere efficace l’atto di delega in materia prevenzionistica, ma non quello conferito in materia ambientale. Ed invero, il necessario rispetto del principio di non contraddizione (in quanto sarebbe logicamente inconcepibile che l’ordinamento prima conceda un potere di agire e poi ne sanzioni penalmente l’esercizio), impone di rivisitare l’orientamento giurisprudenziale di legittimita’ formatosi con riferimento alla materia ambientale e ritenere, pertanto, non necessario anche in tale settore – per la necessaria influenza operata dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 18, – il requisito della necessita’ della delega. Il fondamento logico-giuridico, come anticipato, e’ dato proprio dal predetto principio di non contraddizione, per cui uno stesso ordinamento non puo’, nella sua unitarieta’, imporre o consentire (in materia prevenzionistica), ad un tempo, vietare (in materia ambientale) il medesimo fatto (ossia il conferimento di una delega di funzioni nelle modeste realta’ organizzative) senza rinnegare se stesso della sua politica di attuazione. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto: “In materia ambientale, per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, tra i requisiti di cui e’ necessaria la compresenza non e’ piu’ richiesto che il trasferimento delle funzioni delegate debba essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa (Fattispecie nella quale la Corte, argomentando Decreto Legislativo n. 81 del 2008, ex articolo 16, rilevando l’asimmetria con la materia prevenzionistica dove non e’ piu’ richiesto il requisito della necessita’ della delega, ha escluso che detto requisito sia necessario in materia ambientale)”.

7. Quanto, poi, all’obiezione del PM ricorrente secondo cui sarebbe illegittima l’attribuzione dell’efficacia scriminante ad un accordo convenzionale (ossia, l’atto di delega) tra soggetti che hanno scelto di svolgere l’attivita’ di amministratori o tra costoro ed un dipendente, e’ sufficiente rilevare come richiedendo normalmente un’impresa organizzata – specie se a struttura associata – per la produzione di beni materiali una ripartizione dei compiti e delle relative responsabilita’ tra coloro che collaborano con l’imprenditore, in virtu’ di attribuzioni preventivamente conferite nell’organizzazioni tecniche dell’impresa, nelle societa’ di capitali la responsabilita’ penale per l’inosservanza e la violazione delle norme ambientali e per le relative conseguenze dannose non puo’ essere fatta risalire alle persone (amministratori, consigliere o amministratore delegato) preposte ai vertici dell’organizzazione, della gestione e dell’amministrazione della impresa, ma deve essere individuata, per ciascuno dei soggetti della produzione, con riferimento ai compiti attribuiti ed alle mansioni svolte in concreto nella gestione dell’impresa, limitatamente ai settori di specifica competenza. Solo ove tale ripartizione manchi (circostanza, invece, esclusa dal giudice di merito nel caso in esame, essendo emersa l’attribuzione di una delega ad uno degli amministratori, nonche’ ritenuto provato che gli altri amministratori ed il Presidente del C.d.A. si occupassero di incombenze diverse), gli amministratori di una societa’ non possono esonerarsi dalla responsabilita’ penale assumendo di non svolgere mansioni tecniche in seno alla societa’; giacche’, per le loro qualita’ di organi preposti alla gestione ed all’amministrazione della societa’, e, quindi, quali persone fisiche rappresentative della societa’ imprenditrice, si identificano con i soggetti primari destinatari delle norme poste a garanzia del bene ambiente, e penalmente responsabili in conseguenza delle loro violazioni (v., per un’analoga applicazione in materia antinfortunistica, Sez. 2, n. 12335 del 02/02/1976 – dep. 25/11/1976, Lebole, Rv. 134855).

8. Ne consegue, conclusivamente, il rigetto del ricorso del PM. Deve, tuttavia, rilevarsi l’errore di diritto in cui e’ incorso il giudice, non determinante l’annullamento della sentenza, in quanto la formula assolutoria, in base al ragionamento logico – giuridico svolto, e tenuto conto della circostanza che il fatto, nella sua materialita’ e’ stato riconosciuto come sussistente, la formula assolutoria avrebbe dovuto essere quella legata all’estraneita’ degli imputati rispetto al reato commesso e, quindi, per non aver commesso il fatto. Trattasi di errore di diritto emendabile da questa Corte ex articolo 619 cod. proc. pen. (v., per un caso analogo: Sez. 1, n. 4899 del 13/12/1991 – dep. 21/01/1992, P.M. in proc. Sassola ed altri, Rv. 188964).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso del PM e rettifica il dispositivo dell’impugnata sentenza nel senso che l’assoluzione deve ritenersi pronunciata “per non aver commesso il fatto”.

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