Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 19 dicembre 2014, n. 26899

Svolgimento del processo

 

Con due atti di citazione notificati il 19 gennaio 2004 ed il 3 marzo 2004 – che facevano seguito ad altrettanti ricorsi per provvedimento di urgenza – R.C., M.Z., C.M., C.S., M.C., M.Z. ed E.A.M. hanno convenuto davanti al Tribunale di Milano – sez. dist. di Legnano, il Circolo Fratellanza e Pace, avente sede nell’immobile adiacente a quello da essi occupato, e la s.r.l. Il Baricentro, che svolgeva attività di Piano-Bar e cabaret quale affittuaria dell’azienda-Bar al servizio del Circolo, chiedendo che venisse accertata l’intollerabilità delle immissioni di rumore (schiamazzi e diffusione di musica ad alto volume fino a notte inoltrata); che venisse inibita la prosecuzione dell’attività di disturbo e che i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni, alla salute ed esistenziale, ad essi provocati.
Le convenute hanno resistito alle domande, che il Tribunale ha accolto con sentenza n. 130/2007, condannando le stesse ad eseguire le opere di insonorizzazione disposte dal CTU; ad uniformarsi agli orari di chiusura dei locali ed a pagare a ciascuno dei convenuti la somma di € 6.500,00, oltre rivalutazione, interessi e spese di causa (previa devalutazione alla data degli illeciti).
Proposto appello dalle soccombenti, a cui hanno resistito gli appellati, con sentenza 20 Ottobre – 12 novembre 2010 n. 3071 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado, ponendo a carico delle appellanti le spese processuali.
Queste ultime propongono due motivi di ricorso per cassazione. Gli intimati non hanno depositato difese.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione degli art. 2043 e 2059 cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello le ha condannate al risarcimento dei danni sulla base del solo accertamento dell’effettiva sussistenza di immissioni intollerabili, senza previamente accertare se da tali immissioni siano effettivamente derivati alle intimate danni risarcibili, così ravvisando sostanzialmente i danni non patrimoniali in re ipsa, in contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale per cui anche i danni morali ed esistenziali debbono rigorosamente essere dimostrati nella loro consistenza ed entità, per dare diritto al risarcimento. Con il secondo motivo denunciano omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, cioè sulla circostanza da esse dedotta nelle difese che è stata liquidata ad ognuno dei danneggiati una somma uguale, senza tenere conto della disparità di situazioni ad essi facenti capo, trattandosi di quattro donne e due uomini, di età diverse e con diversa vita lavorativa o pensionistica e diverse peculiarità caratteriali, esistenziali e relazionali (abitudini, orari, sensibilità, ecc.). Al contrario avrebbero dovuto essere dimostrate dalle parti, ed accertate dai giudicanti, le effettive ripercussioni esistenziali delle immissioni di rumore.
2.- I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, non sono fondati.
2.1.- La sentenza impugnata ha accertato l’esistenza dei danni sulla base di elementi presuntivi.
Ha cioè ritenuto che le immissioni sonore “clamorosamente eccedenti la normale tollerabilità (come accertato dalla ASL e successivamente tramite CTU)” si sono prodotte per almeno tre anni nelle abitazioni degli attori, in ore serali e notturne, determinando “una significativa lesione degli interessi della persona umana costituzionalmente garantiti quali in particolare il diritto al riposo notturno, inevitabilmente pregiudicato (se non addirittura impedito) dalla musica ad alto volume e dagli schiamazzi…” (sentenza impugnata, p. 7-8). La Corte ha accertato altresì – con valutazione in fatto, non suscettibile di riesame in questa sede – che l’entità del danno non è da ritenere futile, né è consistita “in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità”, così uniformandosi ai principi più volte enunciati da questa Corte in materia (cfr. fra tutte, Cass. civ. S.U. 11 novembre 2008 n. 26972; Cass. civ. Sez. 3, n. 20684/2009). La giurisprudenza citata in contrario dalle ricorrenti (Cass. civ. Sez. 3, 10 dicembre 2009 n. 25820) circa la necessità di fornire la prova specifica del danno da immissioni sonore, non è in termini poiché si riferisce ai casi in cui il danneggiato faccia valere un vero e proprio danno alla salute, cioè un danno biologico, calcolabile in punti di invalidità e risarcibile in termini particolarmente rigorosi, sulla base di specifiche tabelle.
Nella specie i danneggiati non hanno dedotto di avere subìto un tal tipo di danno.
Hanno invece dedotto l’indebito, grave pregiudizio arrecato per almeno tre anni al riposo notturno, alla serenità e all’equilibrio della mente, ed alla vivibilità delle loro case, condizioni tutte che il rumore e il frastuono protraentisi per ore mettono seriamente e ingiustamente a repentaglio e di cui può ritenersi acquisita la prova anche per presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza.
2.2.- Quanto all’omessa considerazione delle situazioni personali, la valutazione equitativa della Corte di merito ha avuto palesemente riguardo al danno minimo ipotizzabile per ciascuno dei danneggiati, considerato che la sofferenza e l’insonnia provocati dalla musica a tutto volume possono ritenersi comuni a tutti (salvo a coloro che siano affetti da sordità).
Ma la predetta patologia, così come le peculiari situazioni od insensibilità personali idonee a giustificare la diminuzione del risarcimento, avrebbero dovuto essere dimostrati dai danneggianti, trattandosi di circostanze che vengono invocate al fine di dimostrare l’insussistenza totale o parziale del danno.
3.- Il ricorso deve essere rigettato.
4.- Non essendosi costituiti gli intimati non vi è luogo a pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso.

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