Cassazione10

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 18 settembre 2015, n. 18307

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni B. – Presidente

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell‘avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura Rep. a margine del controricorso;

(OMISSIS) SPA a mezzo della propria mandataria e rappresentante (OMISSIS) SCPA, in persona dei procuratori speciali (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 391/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/01/2012 R.G.N. 10680/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2015 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Russo Rosario G. che ha concluso per il rigetto del ricorso e condanna alle spese.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con sentenza del 24/1/2012 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento del gravame interposto in via incidentale dal sig. (OMISSIS) e dalla societa’ (OMISSIS) s.p.a., rigettato quello in via principale spiegato dal sig. (OMISSIS), e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Roma n. 17742 del 2004, ha respinto la domanda da quest’ultimo contro i primi proposta di restituzione delle somme pagate a titolo di corrispettivo della prestazione odontoiatrica dal (OMISSIS) espletata nei suoi confronti e di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza dell’asserita erroneita’ della stessa.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il (OMISSIS) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi il (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) s.p.a..

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 1176 c.c., comma 2, articoli 2236 e 2967 c.c., articolo 342 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ “omessa, insufficiente e contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che erroneamente la corte di merito ha ritenuto non specifici i motivi del suo atto d’appello.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente escluso la responsabilita’ del dentista, pur nell’ipotesi che si sia trattato di intervento routinario, non avendo questi fornito la prova liberatoria.

Il motivo e’ fondato e va accolto p.q.r. nei termini di seguito indicati.

Va anzitutto osservato che come questa Corte ha avuto piu’ volte modo di affermare, l’indicazione dei motivi di appello richiesta dall’articolo 342 c.p.c. non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame sia delle ragioni della doglianza, all’interno della quale i motivi di gravame, dovendo essere idonei a contrastare la motivazione della sentenza impugnata, devono essere piu’ o meno articolati, a seconda della maggiore o minore specificita’ nel caso concreto di quella motivazione, potendo sostanziarsi pure nelle stesse argomentazioni addotte a suffragio della domanda disattesa dal primo giudice (v. Cass., 24/8/2007, n. 17960).

A tale stregua, deve considerarsi invero integrato in sufficiente grado l’onere di specificita’ dei motivi di impugnazione, valutato in correlazione con il tenore della motivazione della sentenza impugnata, allorquando alle argomentazioni in essa esposte siano contrapposte quelle dell’appellante in guisa tale da inficiarne il fondamento logico giuridico, come nel caso in cui lo svolgimento dei motivi sia compiuto in termini incompatibili con la complessiva argomentazione della sentenza, restando in tal caso superfluo l’esame dei singoli passaggi argomentativi (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12984; Cass., 14/3/2006, n. 5445 Cass., 24/11/2005, n. 24817).

Orbene, i suindicati risultano invero disattesi dalla corte di merito nell’impugnato provvedimento laddove ha ritenuto non specifici i motivi di gravame pur avendo l’appellante censurato la sentenza di 1 grado, in particolare per avere il giudice di prime cure: a) avallato le conclusioni del CTU basate sulla asseritamente 2errata, imprudente ed imperita … scelta del (Protocollo) Branemark Tipo 2 (da 3 a 7 mm di osso residuo), effettuabile in un tempo solo, piuttosto che il Branemark Tipo 3 (osso residuo inferiore a 3 mm), da effettuarsi in due tempi”; b) condiviso “le giustificazioni date dal CTU (gia’ contestate nel giudizio di 1 grado) al mancato ricorso da parte dell’odierno appellato ad esami diagnostici piu’ accurati quali TAC e DENTASCAN …, al mancato uso di membrane riassorbibili, al mancato uso anche di osso autologo, che il CTU erroneamente afferma essere divenuto realizzabile solo successivamente anche in ambulatorio privato (risultando il contrario dagli stessi Allegati depositati dal CTU e sotto riportati), per il riempimento della cavita’, oltre che del solo osso allo genico”; c) erroneamente non ravvisato, “con una motivazione inadeguata e insufficiente, la responsabilita’ professionale dell’odontoiatra, e senza alcun tipo di limitazione, sia nel fallimento della terapia implantologica che nella conseguente impossibilita’ di eseguire un nuovo rialzo del seno mascellare e nella sinusite mascellare iatrogena, oltre che della fistola oro-antrale …; responsabilita’ che rileva gia’ dal grave iniziale errore diagnostico che lo ha portato a ritenere possibile eseguire, peraltro non correttamente e comunque con esiti fallimentari, l’intervento di rialzo del seno mascellare secondo il Protocollo “Branemark Tipo 2”; d) erroneamente condiviso “ancora una volta l’infondata tesi del CTU il quale avrebbe rilevato, riguardo i denti 36, 37 e 46 (la cui necessita’ di estrazione era stata contestata dall’odierno appellante), che gli stessi risultavano affetti non da semplici “infezioni apicali” ma, addirittura, da “cisti granulomatose”, anche se di tale situazione piu’ grave il CTU ed il Tribunale non fanno riferimento ad alcuna prova”.

Censure invero senz’altro idonee a fondare una specifica contrapposizione dell’appellante rispetto alla pronunzia emessa dal giudice di primo grado, consentendo al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, concernenti in particolare la lamentata adesione alle conclusioni del CTU asseritamente fondate su una palese devianza da nozioni correnti della scienza medica, nonche’ nell’omissione di accertamenti strumentali indicati come imprescindibili per la formulazione di una corretta diagnosi (cfr., Cass., 3/2/2012, n. 1652).

Quanto al merito, come questa Corte ha avuto piu’ volte modo di affermare, in tema di responsabilita’ civile derivante da attivita’ medico-chirurgica, in base alla regola di cui all’articolo 1218 c.c. il paziente-creditore ha il mero onere di provare il contratto e allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioe’ la difformita’ della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria, e la relativa gravita’ (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 21/6/2004, n. 11488. Da ultimo v. Cass., 11/11/2011, n. 23564; Cass., 9/10/2012, n. 17143).

Si e’ al riguardo da questa Corte ulteriormente precisato che la distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’ non puo’ valere come criterio di distribuzione dell’onere della prova, bensi’ solamente ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al sanitario.

All’articolo 2236 c.c., non va pertanto assegnata rilevanza alcuna ai fini della ripartizione dell’onere probatorio, incombendo in ogni caso al medico dare la prova della particolare difficolta’ della prestazione, giacche’ la norma in questione implica solamente una valutazione della colpa del professionista in relazione alle circostanze del caso concreto (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488).

Appare in effetti incoerente ed incongruo richiedere al professionista la prova idonea a vincere la presunzione di colpa a suo carico quando trattasi di intervento di facile esecuzione o routinario, e addossare viceversa al paziente l’onere di provare l’inadempimento quando l’intervento e’ di particolare o speciale difficolta’ (in tal senso v. invece Cass., 4/2/1998, n. 1127; Cass., 11/4/1995, n. 4152), e cioe’ proprio nel caso in cui l’intervento implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’, richiedendo notevole abilita’ e implicando la soluzione di problemi tecnici nuovi o di speciale complessita’, con largo margine di rischio in presenza di ipotesi non ancora adeguatamente studiate o sperimentate, ovvero oggetto di sistemi diagnostici, terapeutici e di tecnica chirurgica diversi ed incompatibili tra loro (v. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 10/5/2000, n. 5945; Cass., 19/5/1999, n. 4852; Cass., 16/11/1988, n. 6220; Cass., 18/6/1975, n. 2439). Cio’ in quanto verrebbe altrimenti ad ingiustificatamente gravarsi per il paziente, in contrasto invero con il principio di generale favor per il creditore-danneggiato cui l’ordinamento e’ informato (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651).

In tali circostanze e’ infatti indubitabilmente il medico specialista a conoscere le regole dell’arte e la situazione specifica – anche in considerazione delle condizioni del paziente – dei caso concreto, avendo pertanto la possibilita’ di assolvere all’onere di provare l’osservanza delle prime e di motivare in ordine alle scelte operate in ipotesi in cui maggiore e’ la discrezionalita’ rispetto a procedure standardizzate.

E’ allora da superarsi, sotto il profilo della ripartizione degli oneri probatori, ogni distinzione tra interventi “facili” e “difficili”, in quanto l’allocazione del rischio non puo’ essere rimessa alla maggiore o minore difficolta’ della prestazione, l’articolo 2236 c.c., dovendo essere inteso come contemplante una regola di mera valutazione della condotta diligente del debitore (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488).

Va quindi conseguentemente affermato che in ogni caso di “insuccesso” incombe al medico dare la prova della particolare difficolta’ della prestazione (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488).

Spetta in ogni caso (e a fortiori ove trattisi come nella specie di intervento semplice o routinario) al medico provare che il risultato “anomalo” o anormale rispetto al convenuto esito dell’intervento o della cura, e quindi dello scostamento da una legge di regolarita’ causale fondata sull’esperienza, dipende da fatto a se’ non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformita’ alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto (v. Cass., 9/10/2012, n. 17143), bensi’ ad evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza (cfr., Cass., 21/7/2011, n. 15993; Cass., 7/6/2011, n. 12274. E gia’ Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 11/11/2005, n. 22894).

In altri termini, dare la prova del fatto impeditivo (v. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488), rimanendo altrimenti soccombente, in applicazione della regola generale ex articoli 1218 e 2697 c.c. di ripartizione dell’onere probatorio fondata sul principio di c.d. vicinanza alla prova o di riferibilita’ (v. Cass., 9/11/2006, n. 23918; Cass., 21/6/2004, n. 11488; Cass., Sez. Un., 23/5/2001, n. 7027; Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533; Cass., 13/9/2000, n. 12103), o ancor piu’ propriamente (come sottolineato anche in dottrina), sul criterio della maggiore possibilita’ per il debitore onerato di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in misura tanto piu’ marcata quanto piu’ l’esecuzione della prestazione consista nell’applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come nel caso specializzato nell’esecuzione di una professione protetta (cfr., da ultimo, Cass., 20/10/2014, n. 22222).

Provati dal paziente danneggiato il contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegato l’inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimane a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi e’ stato ovvero che, pur esistendo, ovvero che esso non sia stato causa del danno. Con la conseguenza che, ove all’esito del giudizio permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale fra condotta del medico e danno, questa ricade sul debitore (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577, e conformemente, da ultimo, Cass., 12/12/2013, n. 27855 e Cass., 3/9/2014, n. 20547).

Orbene, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza disatteso (anche) i suindicati principi.

In particolare la’ dove ha affermato che “con motivazione assai stringata e non perfettamente intellegibile il tribunale ha affermato che la responsabilita’ per l’insorgenza della fistola oro-antrale andava attribuita al (OMISSIS) “dal momento che il trattamento della stessa da parte del convenuto, benche’ verosimilmente esente da particolari problemi di esecuzione, non ha avuto esito positivo”. Probabilmente il tribunale ha inteso dire che la fistola oro-antrale era stata riscontrata nella sua oggettivita’ e che, pertanto, essa andava attribuita al (OMISSIS) quale inadempimento contrattuale: in tal modo interpretata la soluzione adottata dal primo giudice, essa risulterebbe nondimeno intrinsecamente errata, dal momento che la responsabilita’ per inadempimento e’ pur sempre una responsabilita’ per colpa, sicche’, mancando “particolari problemi di esecuzione”, ossia se ben s’intende, essendo stata positivamente constatata la correttezza dell’intervento del (OMISSIS), la sua responsabilita’ avrebbe dovuto essere comunque esclusa”, atteso che “il dottor (OMISSIS) ha riconosciuto la bonta’ dell’esecuzione dell’opera del (OMISSIS), provvedendo all’installazione del ponte … ed e’ del tutto ovvio che tale installazione non vi sarebbe stata se fosse stata presente in loco una fistola: va da se’ che quest’ultima si e’ creata, in una situazione di corretta esecuzione del precedente lavoro, dopo l’intervento dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS), sicche’ non v’e’ modo di attribuirne la responsabilita’ al (OMISSIS), che tale fistola e’ stato chiamato a curare successivamente al suo insorgere”.

Dopo aver premesso che “il tribunale ha inteso dire che la fistola oro-antrale era stata riscontrata nella sua oggettivita’”, la corte di merito ha invero esteso anche alla cura di detta fistola la “correttezza dell’intervento del (OMISSIS)”, dal giudice di prime cure viceversa “positivamente accertata” solo con riferimento all’attivita’ di stomatologia, ortodonzia, chirurgia conservativa con impianti di protesi fisse e rialzo del seno mascellare.

A tale stregua, il giudice del gravame ha ritenuto la sentenza di primo grado censurabile per avere il giudice di prime cure a tale attivita’ ascritto l’insorgenza della fistola in questione (“essendo stata positivamente constatata la correttezza dell’intervento del (OMISSIS), la sua responsabilita’ avrebbe dovuto essere comunque esclusa … il dottor (OMISSIS) ha riconosciuto la bonta’ dell’esecuzione dell’opera del (OMISSIS), provvedendo all’installazione del ponte … ed e’ del tutto ovvio che tale installazione non vi sarebbe stata se fosse stata presente in loco una fistola”), al riguardo sottolineando che la stessa si era invero “creata” solo “dopo l’intervento dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS)”, all’esito di una “corretta esecuzione del precedente lavoro” da parte dell’odierno resistente, sicche’ “non v’e’ modo di attribuirne la responsabilita’ al (OMISSIS)”.

Orbene, siffatta ricostruzione e’ erronea, come del pari erronea (oltre che contraddittoria, attesa la sopra riportata premessa) e’ la relativa valutazione operata dalla corte di merito.

Dopo avere escluso la possibilita’ di ravvisarsi una condotta imprudente, imperita o negligente da parte dell’odierno resistente nell’espletamento della suindicata pregressa attivita’ di stomatologia, ortodonzia, chirurgia conservativa con impianti di protesi fisse e rialzo del seno mascellare, il giudice di prime cure ha infatti diversamente ritenuto quanto all’attivita’ dal dentista odierno resistente posta in essere per la cura della fistola oro-antrale de qua.

Preso atto della sua obiettiva sussistenza (di cui, come detto, la stessa corte di merito da atto nell’impugnata sentenza: “il tribunale ha inteso dire che la fistola oro-antrale era stata riscontrata nella sua oggettivita’”), ed osservato che la relativa cura da parte del (OMISSIS) non ha avuto esito positivo, non risultando risolutiva della problematica e rendendo anzi necessari due interventi di CALDWELL LUC, diversamente da quanto affermato dalla corte di merito nell’impugnata sentenza il giudice di prime cure ha in realta’ esclusivamente di un tanto (e non gia’ della relativa insorgenza) ritenuto responsabile il (OMISSIS), nell’implicita valorizzazione della mancanza di prova liberatoria dal medesimo al riguardo fornita.

Dell’impugnata sentenza, assorbiti gli altri motivi nonche’ ogni ulteriore e diversa questione, va pertanto disposta la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procedera’ a nuovo esame, facendo applicazione dei seguenti principi:

L’indicazione dei motivi di appello richiesta dall’articolo 342 c.p.c. non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame sia delle ragioni della doglianza, all’interno della quale i motivi di gravame, dovendo essere idonei a contrastare la motivazione della sentenza impugnata, devono essere piu’ o meno articolati, a seconda della maggiore o minore specificita’ nel caso concreto di quella motivazione, potendo sostanziarsi pure nelle stesse argomentazioni addotte a suffragio della domanda disattesa dal primo giudice.

Ne consegue che deve considerarsi integrato in sufficiente grado l’onere di specificita’ dei motivi di impugnazione, valutato in correlazione con il tenore della motivazione della sentenza impugnata, allorquando alle argomentazioni in essa esposte siano contrapposte quelle dell’appellante in guisa tale da inficiarne il fondamento logico giuridico, come nel caso in cui lo svolgimento dei motivi sia compiuto in termini incompatibili con la complessiva argomentazione della sentenza, restando in tal caso superfluo l’esame dei singoli passaggi argomentativi.

Sono pertanto idonee a fondare una specifica contrapposizione dell’appellante rispetto alla pronunzia emessa dal giudice di primo grado, consentendo al giudice del gravame di percepirne con certezza il contenuto, le censure concernenti in particolare l’adesione alle conclusioni del CTU asseritamente fondate su una palese devianza da nozioni correnti della scienza medica e nell’omissione di accertamenti strumentali indicati come imprescindibili per la formulazione di una corretta diagnosi.

In tema di responsabilita’ civile derivante da attivita’ medicochirurgica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l‘inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto ed allegare l’inadempimento del professionista, restando a carico dell’obbligato l’onere di provare l’esatto adempimento, con la conseguenza che la distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficolta’ non vale come criterio di ripartizione dell’onere della prova, ma rileva soltanto ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, spettando, al sanitario la prova della particolare difficolta’ della prestazione, in conformita’ con il principio di generale favor per il creditore danneggiato cui l’ordinamento e’ informato.

Ai fini del riparto dell’onere probatorio l‘attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l‘esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi e’ stato ovvero che, pur esistendo, esso non sia stato causa del danno.

Il giudice di rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

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