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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 18 novembre 2015, n. 45691

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa in data 2/04/2015, depositata in data 9/04/2015, la Corte d’appello di PALERMO, confermava la sentenza dei tribunale di PALERMO del 18/03/2013 che aveva riconosciuto colpevole F.P. dei reato di cui all’art. 30, legge n. 157 del 1992 nonché dei delitto di maltrattamento di animali, in particolare per aver detenuto per la vendita 10 esemplari di cardellino e 3 di passero esponendoli in strada all’esterno di una gabbia angusta, priva di acqua e coperta da una stoffa, così sottoponendoli a sevizie e comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche (fatti contestati come accertati in data 5/12/2010).
2. Ha proposto ricorso F.P. a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la predetta sentenza con cui deduce due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., sotto il profilo della inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di cui all’art. 544 ter cod. pen.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, secondo il ricorrente, la condotta contestata sarebbe inidonea ad integrare il delitto contestato, non essendo emersi comportamenti con cui il reo aveva sottoposto gli animali a sevizie, fatiche o lavori insopportabili per le loro caratteristiche etologiche; richiama a tal proposito giurisprudenza di questa Corte, aggiungendo che proprio la destinazione alla vendita di volatili escludeva il reato in quanto gli animali esposti dovevano essere in condizioni tali da suscitare l’interesse di potenziali acquirenti, donde le condizioni erano tutt’altro che deficitarie; difetterebbe in sentenza qualsiasi motivazione a proposito dell’incompatibilità tra la destinazione alla vendita e la configurabilità dei delitto, soprattutto in assenza di qualsiasi accertamento medico – veterinario; la motivazione contrasterebbe anche con quanto reiteratamente affermato da questa Corte, in quanto la Corte d’appello ha ritenuto che la mera detenzione di un animale selvatico integri il delitto in esame, diversamente quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, peraltro spingendosi la Corte territoriale sorprendentemente ad esplorare l’atteggiamento psicologico del volatile selvatico costretto a vivere ingabbiato; diversamente, la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare caso per caso se l’imputato avesse sottoposto i volatili non ad un regime di vita diverso da quello in cui gli stessi sono nati (liberi, anziché in cattività), ma ai maltrattamenti per come descritti dalla norma, ossia sevizie e comportamenti incompatibili con la loro natura.
2.2. Deduce, con il secondo motivo il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., sotto il profilo del vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza della ragioni per infliggere la sola pena pecuniaria nonché laddove ha inflitto un aumento a titolo di recidiva.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, secondo il ricorrente, la motivazione sarebbe “apparente” su entrambi i profili, risolvendosi in un richiamo ai precedenti penali dei reo, senza spiegare in che modo la condotta in concreto tenuta fosse indice di una maggiore pericolosità dei ricorrente; il semplice richiamo ai precedenti penali, anche specifici, del ricorrente sarebbe comunque inidoneo, in quanto la Corte d’appello avrebbe dovuto spiegare in che misura la condotta tenuta dal ricorrente potesse essere intesa effettivamente quale indice di maggiore pericolosità sociale del reo, non avendo valutato i giudici territoriali la obiettiva minore gravità della condotta medesima.

Considerato in diritto

3. II ricorso è fondato quanto alla sussistenza del delitto di cui all’art. 544 – ter cod. pen., mentre dev’essere rigettato nel resto.
4. Ed invero, la sentenza della Corte d’appello motiva su ambedue i profili di doglianza oggetto di censura con argomentazioni che, solo con riferimento al secondo motivo di ricorso, possono considerarsi non manifestamente illogiche e comunque conformi alla giurisprudenza di questa Corte.
5. Con riferimento, infatti, al primo motivo di ricorso, fondato è l’assunto del ricorrente che denuncia il malgoverno da parte della Corté d’appello dei principi più volte affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia. I giudici territoriali, infatti, riscontrano nella detenzione di volatili selvatici di cui è vietata la cattura, in un numero ritenuto consistente rispetto alle dimensioni della gabbia (che li vedeva, come si legge in sentenza, ammassati e costretti in uno spazio inadeguato, coperti da un telo e senza la possibilità di abbeverarsi), gli estremi del delitto di cui all’art. 544 ter cod. pen., ritenendo che ciò rientrasse in quelle condizioni insopportabili imposte senza necessità, in quanto incompatibili con la natura dei volatili selvatici, certamente produttive di gravi sofferenze anche in assenza di accertamento peritale.
Tale affermazione della Corte d’appello, tuttavia, confligge con la giurisprudenza pacifica di questa Corte che, sul punto, ha infatti sempre affermato che non integra il reato di maltrattamento di animali, in relazione alla sottoposizione degli stessi a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, la detenzione di volatili all’interno di gabbie di ampiezza insufficiente (v., tra le tante: Sez. 3, n. 6656 del 12/01/2010 – dep. 18/02/2010, Calvaruso, Rv. 246185). Ciò, tuttavia, non significa che la condotta posta in essere dal ricorrente possa qualificarsi del tuto lecita. Ed infatti, le condizioni in cui i 13 volatili venivano tenuti all’interno di una gabbia di dimensioni inidonee, privati dalla luce e senza potersi nemmeno abbeverare, integrano quella detenzione in condizioni incompatibili con la loro natura e produttiva indubbiamente di gravi sofferenze per l’animale (nella specie testimoniata dalle dichiarazioni degli agenti operanti Saroli e Pastorello i quali avevano confermato che, al momento dei controllo eseguito presso il locale mercato pa;ermitano, i volatili apparivano sofferenti per le condizioni in cui venivano tenuti: v. pag. 2, sentenza di appello), che rientra nella previsione della fattispecie penale di cui all’art. 727, comma secondo, cod. pen., reato in cui il fatto dev’essere pertanto riqualificato giuridicamente, senza che ciò determini alcuna lesione dei diritti difensivi attesa la minore gravità dei reato riqualificato (v., sul potere di riqualificazione giuridica officiosa di questa Corte: Sez. 2, n. 39841 del 22/05/2009 – dep. 13/10/2009, Castellano, Rv. 245236).
6. II ricorso deve essere, pertanto, respinto con riferimento all’imputazione sub a), non investita da profili di censura specifica, va invece accolto con riferimento al primo motivo relativo all’imputazione sub b), con conseguente rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo per la nuova determinazione della pena per la fattispecie contravvenzionale come riqualificata. Il secondo motivo, all’evidenza, riguardando il profilo attinente alla recidiva, deve ritenersi assorbito dall’avvenuto accoglimento del primo motivo, attesa l’irrilevanza della recidiva in relazione ai reati contravvenzionali a seguito della modifica operata dalla legge n. 251 del 2005 (Sez. F, n. 26556 del 25/07/2006 – dep. 28/07/2006, Leonardini, Rv. 234377).

P.Q.M.

La Corte, qualificato il fatto di cui al capo b) ai sensi dell’art. 727, comma 2, cod. pen., annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per la determinazione delle pena. Rigetta il ricorso nel resto.

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