Suprema CORTE DI CASSAZIONE
sezione III
SENTENZA 18 luglio 2014, n. 16501
Motivi della decisione
1. Il Tribunale di Lucera ha affermato che la condizione del rilascio della concessione edilizia (cui ha ritenuto subordinato il pagamento di una parte del compenso) non si era avverata in conseguenza di una condotta contraria a buona fede della società committente; ha pertanto considerato operante la fictio di avveramento della condizione (ex artt. 1358 e 1359 c.c.), riconoscendo dovuto ad entrambi i professionisti il compenso per il primo progetto e calcolandolo sulla base della clausola convenzionale che lo determinava in misura inferiore alle tariffe professionali; ha infine ritenuto che gli stessi criteri dovevano essere applicati in relazione all’attività svolta dal T. per il secondo progetto.
La Corte di Appello ha, invece, escluso la possibilità di ritenere operante la fictio di avveramento della condizione sospensiva; ha ritenuto che i professionisti avrebbero dovuto proporre una domanda di risoluzione e risarcimento danni ed ha escluso che gli stessi abbiano provato la sussistenza di un nesso causale fra il dedotto comportamento inadempiente della Tenuta del Gargano e il mancato conseguimento della concessione.
Più specificamente, la Corte territoriale ha osservato che ‘le conclusioni tratte dal primo Giudice non si appalesano condivisibili non solo e non tanto per il fatto che … la fictio iuris dell’avveramento della condizione non potrebbe condurre all’esecuzione del contratto, bensì alla sua risoluzione per inadempimento con conseguente diritto, in capo alla parte adempiente, al risarcimento dei danni (domanda quest’ultima non posta dai professionisti che invece hanno optato per l’esecuzione del contratto, esigendo il pagamento del corrispettivo pattuito sul presupposto dell’avveramento della condizione), ma soprattutto in difetto di adeguata prova in ordine alla sussistenza del nesso causale … tra il dedotto contegno inadempiente ascritto alla società Tenuta del Gargano s.r.l. e l’evento pregiudizievole consistito nel mancato conseguimento della concessione edilizia, al rilascio del quale era condizionata sospensivamente l’esigibilità del credito al saldo del compenso’.
Su queste premesse, ha affermato che nell’alveo della convenzione del 14.9.98 ‘rientrano certamente i compensi relativi al progetto iniziale ed a quello di variante, a firma congiunta dei due architetti, nonché il secondo progetto redatto dal solo arch. T. ‘, con la conseguenza che ‘il relativo compenso, ulteriore rispetto agli acconti già percepiti, deve ritenersi non esigibile’, mentre ‘rimangono estranee alla disciplina posta dalla convenzione … le prestazioni relative all’assistenza per lo studio d’impatto ambientale e quella consistita nella redazione della relazione tecnica presentata ai Vigili del Fuoco’.
In parziale accoglimento della domanda del T. , ha pertanto confermato la pronuncia del Tribunale limitatamente agli importi di Euro 5.087,10 e di Euro 3.817,00 (maggiorati degli oneri fiscali e previdenziali) liquidati per le due anzidette attività accessorie.
Ha, invece, respinto la domanda proposta dal F. , come pure la domanda riconvenzionale svolta dalla Tenuta del Gargano (ritenendola totalmente carente di prova).
2. Il T. propone sei articolati motivi.
2.1. Col 1 motivo – dedotto in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 C.P.C., per violazione degli artt. 99, 101, 111, 112 e 345 C.P.C. – censura il fatto che la Corte barese abbia introdotto – per la prima volta e d’ufficio – il tema della verifica della probabilità del rilascio della concessione (probabilità mai contestata dalla Tenuta del Gargano), giungendo alla conclusione del mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sul T. ; in tal modo sarebbe stato violato il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato e il divieto di novum in appello (avendo la Corte “sostanzialmente sollevato motu proprio una autonoma eccezione volta a contrastare la pretesa di pagamento del compenso professionale’).
2.2. Col 2 motivo (ex art. 360, nn. 4 e 5 C.P.C.), il T. si duole che la Corte abbia omesso di considerare che la domanda (pagamento delle spettanze professionali ‘secondo tariffa’) era fondata sull’art. 2237 c.c., ossia sul dato – incontestato – dell’avvenuto recesso da parte della cliente, ‘a nulla rilevando il mancato rilascio della concessione di cui alla condizione sospensiva prevista contrattualmente’: assume che, a fronte del recesso da parte del cliente, il professionista che aveva adempiuto la propria prestazione ben poteva agire per il pagamento, senza chiedere la risoluzione per inadempimento e senza dover dimostrare che la concessione sarebbe stata sicuramente o presumibilmente rilasciata.
2.3. Col 3 motivo (dedotto in relazione ai nn. 3 e 4 C.P.C., con riferimento, fra l’altro, agli artt. 1453 e 2237 c.c.), si duole del fatto che la Corte abbia ritenuto che la tutela della pretesa avanzata dal T. potesse essere ottenuta soltanto a mezzo di una domanda di risoluzione e risarcimento dei danni, trascurando che ben poteva essere richiesto l’adempimento dell’obbligo di pagare il corrispettivo per l’attività svolta (che consegue al recesso ex art. 2237 c.c.).
2.4. Il 4 motivo (dedotto ex art. 360, nn. 3 e 5 C.P.C.) censura la Corte per aver posto a carico del ricorrente un onere probatorio – in termini di ‘sufficiente margine di certezza’ anziché di ‘possibilità’ – superiore a quello previsto dalla giurisprudenza dalla stessa richiamata (ossia da Cass. n. 13099/2011) e, comunque, un onere non ‘mantenuto entro limiti di ragionevolezza’.
2.5. Col 5 motivo (prospettato in relazione ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 C.P.C.), contesta la conclusione che il rilascio della concessione costituisse “un’incognita’ ed evidenzia come la Corte abbia posto a carico del T. un ingiustificato onere probatorio aggiuntivo ed abbia trascurato elementi che (unitamente al complessivo comportamento processuale della Tenuta del Gargano) avrebbero dovuto condurre ad un esito di segno opposto.
2.6. Col 6 motivo (dedotto anch’esso in relazione ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 C.P.C.), contesta la valutazione compiuta dal giudice di appello sugli esiti della C.T.U. e sull’attendibilità e rilevanza delle dichiarazioni di un teste, dolendosi, inoltre, della mancata valutazione o valorizzazione di altri elementi istruttori.
3. Il ricorso del F. è basato su due motivi che ricalcano le prime due censure del T. (con l’aggiunta del profilo relativo al mancato esame della richiesta di maggiorazione del 25% del compenso in conseguenza della revoca dell’incarico effettuata nei suoi confronti).
4. La Tenuta Del Gargano s.r.l. fonda il proprio ricorso incidentale su un unico motivo (dedotto genericamente sotto i profili della violazione di norme di diritto e del vizio di motivazione), col quale si duole del fatto che sia stato riconosciuto al T. un compenso specifico per assistenza al gruppo di lavoro per la valutazione dell’impatto ambientale e per la relazione tecnica presentata ai Vigili del Fuoco.
5. Va preliminarmente dichiarata la inammissibilità del ricorso del F. , in quanto notificato (in data 10.6.13) ben oltre il termine previsto dagli artt. 370, 1 co. e 371, 1 co. C.P.C.. (venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso del T. , notificato il 4.2.2013).
Deve, infatti, trovare applicazione il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, ‘atteso il principio di unità dell’impugnazione, sancito dall’art. 333 cod. proc. civ. – il quale implica che l’impugnazione proposta per prima determina la pendenza dell’unico processo nel quale sono destinate a confluire, sotto pena di decadenza, per essere decise simultaneamente, tutte le eventuali impugnazioni successive proposte avverso la stessa sentenza, le quali, in conseguenza, possono assumere soltanto carattere incidentale – nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 cod. proc. civ., in relazione all’art. 333 dello stesso codice. Tuttavia, l’inosservanza della forma del ricorso incidentale, in ragione della mancanza di una espressa affermazione da parte della legge circa l’essenzialità dell’osservanza di tale requisito formale, va apprezzata secondo i principi generali relativi alla nullità per inosservanza dei requisiti formali, con la conseguenza che – una volta che l’impugnazione principale e quella successiva autonomamente proposta, anziché esercitata in via incidentale, siano state riunite ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ. – essa non impedisce la conversione di detto ricorso in ricorso incidentale, qualora esso risulti proposto nel rispetto dei termini temporali entro i quali avrebbe dovuto proporsi, cioè entro i quaranta giorni dalla notificazione del primo ricorso principale, determinandosi in tale ipotesi il verificarsi di una fattispecie di idoneità del secondo ricorso a raggiungere quello stesso scopo che avrebbe raggiunto la rituale proposizione dell’impugnazione nella forma incidentale’ (Cass. n. 27887/09) .
6. Il ricorso del T. merita – invece – accoglimento, per le considerazioni che seguono.
A) Con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, il T. ha dedotto l’avvenuto recesso della Tenuta Del Gargano dal contratto di prestazione d’opera professionale e ha richiesto il pagamento delle proprie spettanze ai sensi dell’art. 2237 c.c., con liquidazione secondo i minimi tariffari, stante la nullità del patto del 14.9.98 che prevedeva una deroga ai detti minimi (rilevando, inoltre, che, ‘anche a voler prendere in esame la condizione dell’ottenimento della concessione edilizia, è evidente come essa non può ormai più verificarsi proprio a causa del comportamento tenuto dalla società convenuta’).
La domanda era dunque basata sulla previsione dell’art. 2237, 1 co. c.c. (‘il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta’) che, bilanciando i contrapposti interessi, riconosce al cliente un illimitato diritto di recesso, ma — al tempo stesso – garantisce al professionista il rimborso delle spese e il pagamento del compenso per le attività svolte fino al momento della revoca dell’incarico.
Non è dunque corretta l’affermazione della Corte di Appello secondo cui i professionisti avrebbero ‘optato per l’esecuzione del contratto, esigendo il corrispettivo pattuito sul presupposto dell’avveramento della condizione’ né risulta condivisibile la tesi secondo cui la pretesa avrebbe dovuto essere avanzata con domanda di risoluzione per inadempimento e di risarcimento dei danni: a fronte della revoca dell’incarico da parte della Tenuta del Gargano, il T. non aveva interesse a richiedere la risoluzione del contratto (già verificatasi per effetto del recesso) e poteva senz’altro agire per conseguire il pagamento delle spettanze maturate per l’attività svolta, fatta salva la necessità di valutare gli eventuali effetti delle clausole contenute nella convenzione del 14.9.98.
B) Altra questione è quella dell’incidenza, sulla spettanza e sulla quantificazione del compenso, delle previsioni dell’accordo (‘convenzione d’incarico professionale’ del 14.9.98) che, oltre ad individuare l’oggetto delle prestazioni e a stabilire l’entità dei compensi, correlava il pagamento di una parte di tali compensi al rilascio della concessione edilizia (prevedendo il pagamento di uno degli acconti ‘all’approvazione del progetto da parte del Comune e comunque entro il 31/12/98′ e il pagamento di ulteriori acconti – per il progetto generale – centro mesi tre dalla data di ottenimento della concessione edilizia’ ed ‘entro mesi sei’ dalla medesima data).
È proprio in relazione a ciò che si è innestato – nella causa – il tema della condizione e della fictio di avveramento che ha finito per costituire l’oggetto principale del di battito processuale nei suoi sviluppi di merito (con opposto apprezzamento da parte del Tribunale, che ha ritenuto avverata la condizione, e della Corte, che ha, invece, escluso la stessa possibilità di applicare l’istituto della fictio).
C) Sul tema della fictio di avveramento (art. 1359 c.c.: ‘la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa’) va registrato un progressivo allineamento della giurisprudenza di questa Corte verso posizioni che, facendo leva sull’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede nello stato di pendenza della condizione (cfr. Cass., S.U. n. 18450/2005: ‘il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all’art. 1358 cod. civ., che impone alle parti l’obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione, e la sussistenza di tale obbligo va riconosciuta anche per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo della condizione mista’), valutano l’esistenza di un interesse contrario all’avveramento non in termini astratti o facendo riferimento al solo momento della conclusione del contratto, ma valorizzando il dato dell’effettivo interesse delle parti all’epoca in cui si è verificato il fatto o comportamento che ha reso impossibile l’avveramento della condizione.
Più precisamente, a fronte di un orientamento tradizionale secondo cui ‘la condizione può ritenersi apposta nell’interesse di una sola delle parti contraenti soltanto quando vi sia un’espressa clausola contrattuale che disponga in tal senso ovvero un insieme di elementi che nel loro complesso inducano a ritenere che si tratti di condizione alla quale l’altra parte non abbia alcun interesse, in mancanza, la condizione stessa deve ritenersi apposta nell’interesse di entrambi i contraenti’ (Cass. n. 4178/1998 e, più recentemente, Cass. n. 16620/2013), si è affermato che ‘l’art. 1359 cod. civ., in forza del quale la condizione si ha per avverata se è mancata per causa imputabile alla parte controinteressata al suo avveramento, non si riferisce solo a coloro che, per contratto, apparivano avere interesse al verificarsi della condizione, ma anche ai comportamenti di chi in concreto ha dimostrato, con una successiva condotta, di non avere più interesse al verificarsi della condizione, ponendo in essere atti tali da contribuire a far acquistare al contratto un elemento modificativo dell”iter’ attuativo della sua efficacia. Detta norma è applicabile anche alla c.d. condizione potestativa mista, il cui avveramento dipende in parte dal caso e in parte dalla volontà di uno dei contraenti.(Cass. n. 24235/2011; già negli stessi termini, Cass. n. 13457/2004).
Tale indirizzo è stato ribadito — da ultimo – da Cass. n. 12/2014, nel senso che, ‘in tema di compenso del professionista per l’elaborazione di un progetto di opera pubblica, la cui corresponsione sia subordinata al finanziamento dell’opera da parte della Regione e alla presentazione della richiesta di finanziamento e gestione della relativa pratica da parte del Comune beneficiario dell’opera stessa, l’affidamento della stessa, nelle more dell’elaborazione del progetto da parte del professionista, ad altro soggetto privato, costituisce comportamento contrario a buona fede, in violazione dell’art. 1358 cod. civ., che determina l’avveramento fittizio della condizione, ai sensi dell’art. 1359 cod. civ., in quanto cagionato dal comportamento della parte portatrice di un interesse contrario all’avveramento’.
D) Ritiene il Collegio di fare propri i principi espressi da quest’ultimo orientamento, che realizzano un diretto collegamento della previsione dell’art. 1359 c.c. con i principi di buona fede imposti – nello specifico ambito del negozio condizionato – dall’art. 1358 c.c. e – più in generale – dagli artt. 1175 e 1375 c.c. e che consentono di valutare l’interesse contrario all’avveramento di una condizione non in astratto ed in relazione alla posizione delle parti quale si prospettava al momento della conclusione del contratto, bensì in concreto ed in relazione all’effettivo interesse quale si è venuto sviluppando in corso di rapporto e — segnatamente – al momento in cui è stata posta in essere l’attività (o l’omissione) che ha impedito l’avveramento della condizione.
Va dunque affermata la possibilità che l’art. 1359 c.c. trovi applicazione anche nel caso in cui l’interesse di una delle parti – originariamente convergente con quello della controparte – si modifichi in corso di rapporto fino a risultare contrario all’avveramento della condizione.
E) In tale ottica, non può negarsi che il ritiro di un’istanza di concessione edilizia sia chiaramente sintomatico del venir meno dell’interesse ad ottenerla da parte di chi tale istanza aveva presentato e deve ritenersi pertanto che integri un comportamento idoneo a configurare un’ipotesi di ‘interesse contrario’ comportante l’operatività della previsione dell’art. 1359 c.c..
F) Ne consegue l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha tenuto conto della domanda effettivamente proposta dal T. ed ha negato la possibilità di applicare la fictio di avveramento di cui all’art. 1359 c.c. a fronte del ritiro dell’istanza di concessione da parte della Tenuta del Gargano, finendo col porre a carico del T. un onere probatorio (circa la probabilità che la concessione venisse rilasciata) cui non era tenuto al cospetto di una condizione che doveva ritenersi avverata.
G) L’accoglimento del ricorso, nei termini sopra illustrati, comporta l’assorbimento delle altre censure mosse dal T. .
6.1. La sentenza va pertanto cassata, con rimessione della causa alla Corte di Appello affinché proceda ad un nuovo esame della vicenda sulla base dei principi sopra richiamati e con la precisazione che, in coerenza con la domanda proposta dal ricorrente (di rimborso spese e di pagamento dei compensi spettanti ex art. 2237 c.c.), gli importi da liquidare al professionista dovranno tener conto della sola attività svolta fino al momento del recesso della cliente.
7. Il ricorso incidentale della Tenuta del Gargano – attinente, come detto, all’avvenuta liquidazione, in favore del T. , dell’importo di Euro 8.904,10 per l’assistenza al gruppo di lavoro del prof. B. e per la relazione tecnica presentata ai vigili del Fuoco- non prospetta né un vizio di impostazione giuridica né un omesso esame di fatto decisivo e controverso, ma si limita a sollecitare una diversa valutazione di merito: come tale, va dichiarato inammissibile.
8. L’obiettiva difficoltà di inquadramento teorico della vicenda (attestata anche dall’esito opposto dei giudizi di merito) giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio fra il F. e la Tenuta del Gargano; il giudice di rinvio provvederà al regolamento delle spese fra la Tenuta ed il T. .
P.Q.M.
la Corte accoglie, per quanto di ragione, il ricorso del T. , cassa e rinvia alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio fra il T. e la Tenuta del Gargano s.r.l.; dichiara l’inammissibilità del ricorso incidentale della Tenuta del Gargano e del ricorso del F. , compensando le spese fra quest’ultimo e la predetta società.
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