SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 17 settembre 2014, n. 24987
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato nel 1999 presso il Tribunale di Tempio, sezione distaccata di Olbia, la Hotel Royal s.a.s. di S.M. & C., premesso di condurre in locazione un immobile sito in Olbia e destinato a struttura alberghiera di proprietà dell’INPDAP, in virtù di contratto di locazione stipulato il 18 maggio 1978, in base al quale il conduttore doveva far fronte alle spese di gestione e manutenzione degli impianti nonché alla manutenzione straordinaria, rappresentava di aver ripetutamente segnalato la necessità di eseguire opere di adeguamento dell’immobile alla nuova normativa per la sicurezza degli impianti senza alcun esito, sicché si era vista costretta a porre in essere opere di ristrutturazione dell’immobile per conservarlo all’uso convenuto con un esborso complessivo di L. 530.000.000; deduceva che l’ente locatore aveva chiesto nel gennaio del 1999 il pagamento dei canoni arretrati per L. 378.931.250; precisava che non avevano avuto seguito le trattative finalizzate ad una compensazione tra tali pretese e le spese sostenute dalla società conduttrice per le dette opere che, a suo avviso, dovevano, invece, essere poste a carico del locatore cui competeva l’obbligo di mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto; rappresentava che il ritardato adeguamento della struttura aveva cagionato una consistente perdita di clientela e chiedeva, quindi, la condanna dell’INPDAP alla restituzione delle somme spese per la realizzazione di opere di restauro e riparazione straordinaria dell’immobile, pari a L. 530.000.000.
Il locatore si costituiva contestando l’avversa pretesa e proponeva domanda riconvenzionale. Deduceva in particolare che: la società conduttrice era rimasta morosa nel pagamento dei canoni; al 30 settembre 1999 la predetta aveva un debito per sorta capitale pari a L. 536.968.399; non aveva fondamento la pretesa della parte ricorrente di compensare quanto dovuto a titolo di canoni con i costi delle opere realizzate alla luce delle specifiche previsioni del contratto di locazione che poneva tali spese a carico della parte conduttrice; la disciplina codicistica in materia di manutenzione del bene locato poteva essere derogata dalle parti; in ogni caso nulla spettava alla conduttrice per le spese effettuate ai sensi dell’art. 7 del contratto, il quale escludeva esborsi del locatore per opere anche autorizzate eseguite dalla parte conduttrice; le opere e gli interventi eseguiti da detta parte, senza l’osservanza della procedura stabilita nel contratto, non potevano essere qualificati di restauro e ristrutturazione; molte di tali opere non avevano attinenza con la normativa in materia di sicurezza di cui alla legge n. 426 del 1990; nessun addebito poteva essere mosso al locatore per la dedotta diminuzione della clientela dell’hotel; l’inadempimento della conduttrice determinava la risoluzione di diritto del contratto in base a quanto previsto dall’art. 14 dello stesso. Il locatore chiedeva, pertanto, il rigetto della pretesa della parte conduttrice, la declaratoria di avvenuta risoluzione del rapporto di locazione e la condanna della controparte al pagamento dei canoni per L. 505.647.476, oltre interessi. Il Tribunale adito, con sentenza del 24 marzo 2006, premesso che era cessata la materia del contendere in relazione alla domanda di risoluzione contrattuale proposta dall’INPDAP e ritenuto che la società conduttrice avesse effettuato opere relative ad interventi di restauro e risanamento conservativo di pertinenza del locatore, tenuto al mantenimento della cosa locata in modo da servire all’uso convenuto, quantificava sulla base delle risultanze peritali, in Euro 219.998,87 il credito della società conduttrice, compensava tale importo con la maggiore somma di Euro 366.965,42 dovuta da detta società a titolo di canoni e condannava quest’ultima al pagamento della differenza, pari ad Euro 146.966,55, oltre interessi dalla domanda, rigettando la pretesa di danni formulata dalla società conduttrice.
Avverso tale decisione l’Hotel Royal s.a.s. di S.M. & C. proponeva appello, cui resisteva l’INPDAP che proponeva pure appello incidentale.
La Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza depositata il 12 novembre 2010, rigettava l’appello principale ed accoglieva l’appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, condannava l’appellante al pagamento, in favore dell’INPDAP, della somma complessiva somma di Euro 461.983,71, oltre interessi dalla domanda e al pagamento delle spese di quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito l’Hotel Royal S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
L’INPDAP ha resistito con controricorso contenente pure ricorso incidentale basato su un unico motivo.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va dato atto dell’avvenuta riunione ex art. 335 c.p.c. dei ricorsi proposti in via principale e incidentale avverso la medesima decisione.
2. Con il primo motivo si lamenta “violazione dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 1371 c.c. in tema di interpretazione delle clausole contrattuali affidate agli artt. 5, 7, 8 del contratto inter partes”.
Sostiene la società ricorrente che la Corte di merito avrebbe erroneamente interpretato le clausole sopra indicate e avrebbe arbitrariamente sovrapposto manutenzione ordinaria, straordinaria e restauro che, a suo avviso, invece, le parti contraenti avrebbero voluto distinguere e diversamente disciplinare. Assume altresì la ricorrente che il tenore testuale delle clausole contrattuali confermerebbe che le parti avrebbero fatto riferimento esplicito a manutenzione piccola, ordinaria e straordinaria, derogando in parte all’ordinario criterio di ripartizione dei corrispondenti oneri tra proprietario e conduttore ma nulla avrebbero inteso derogare in relazione alle opere di restauro, i cui costi sarebbero rimasti a carico dell’INPDAP e deduce che l’assimilazione tra opere di straordinaria manutenzione e di restauro fatta in sentenza sarebbe arbitraria, immotivata ed in contrasto con norme specifiche che le descrivono e disciplinano come attività diverse.
2.1. Il motivo va disatteso.
Pur a prescindere dal profilo di inammissibilità – posto in rilievo dal controricorrente – che attiene alla incompleta trascrizione in ricorso delle clausole contrattuali cui espressamente si riferisce il motivo all’esame ed in particolare della clausola n. 7 (Cass. 18 novembre 2005, n. 24461 e Cass. 6 febbraio 2007, n. 2560), osserva il Collegio che l’interpretazione della volontà della parti in relazione al contenuto di un contratto o di una qualsiasi clausola contrattuale importa indagini e valutazioni di fatto affidate al potere discrezionale del giudice del merito, non sindacabili in sede di legittimità ove non risultino violati i canoni normativi di ermeneutica contrattuale e non sussista un vizio nell’attività svolta dal giudice di merito, tale da influire sulla logicità, congruità e completezza della motivazione (Cass. 9 dicembre 2003, n. 18735).
Nella specie, le conclusioni cui perviene la Corte di merito (v. sentenza p. 8), riportate a p. 21 del ricorso, non sono in contrasto con il tenore delle clausole in parola riportate per esteso nella sentenza impugnata e complessivamente considerate né risultano errori di diritto o vizi di ragionamento. La Corte territoriale inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, non “ha ritenuto di interpretare la volontà espressa delle parti come inclusiva anche delle opere di restauro” ma ha affermato che “è del tutto irrilevante procedere ad uno specifico esame dei singoli interventi posti in essere dal conduttore al fine di accertare se questi integrano interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria o di restauro e risanamento conservativo, perché, in ogni caso, detti interventi, giammai autorizzati, non darebbero diritto a compenso alcuno in favore del conduttore”, precisando che “a prescindere dal fatto che non pare proprio che gli interventi posti in essere dall’Hotel Royal possano essere qualificati di restauro o risanamento conservativo (per i quali è richiesta apposita autorizzazione edilizia, nel caso assente) considerato che vengono in rilievo, nella sostanza…, solo opere finalizzate a mantenere in efficienza ed adeguare alla normativa gli impianti di riscaldamento, condizionamento, elettrico e antincendio, in ogni caso, laddove dovesse opinarsi diversamente e si dovesse cioè concordare con la qualificazione di tali interventi cui è pervenuto il primo giudice, ciò nonostante nessun compenso potrebbe essere giammai riconosciuto in favore della conduttrice in coerente applicazione dell’art. 7 del contratto di locazione… Ed invero in base al chiaro dettato di tale clausola, giammai sono dovuti al conduttore compensi per innovazioni, trasformazioni e migliorie alle strutture e agli impianti, per cui anche a voler reputare che la conduttrice abbia posto in essere opere di restauro o risanamento, dovendo comunque queste essere ricondotte ad innovazioni, trasformazioni e migliorie, nulla le spetta a titolo di rimborso (nel dato pacifico che nessun accorso per tali opere è mai stato raggiunto con la parte locatrice). D’altro canto le disposizioni contrattuali che fanno gravare sul conduttore tutti i costi della manutenzione straordinaria delle strutture e degli impianti ed il loro adeguamento alla normativa successiva (ed in ciò sono consistiti gli interventi realizzati dalla conduttrice) non violano norme imperative per cui viene in considerazione una legittima deroga agli artt. 1575 e 1576 c.c.” ed ha aggiunto che qualora, “non dovessero trovare applicazione le clausole pattizie sopra riportate, comunque la parte locatrice non sarebbe tenuta a sostenere i costi per l’adeguamento delle struttura alle successive disposizioni anti[n]cendi (adeguamento principalmente menzionato in ricorso) poiché come sostenuto dalla S.C.: “… gli obblighi previsti dagli artt. 1575 e 1576 c.c. non comprendono l’esecuzione di opere di modificazione o trasformazione della cosa locata, anche se imposte da disposizioni di legge o dell’autorità, sopravvenute alla consegna, per rendere la cosa stessa idonea all’uso convenuto, né il locatore è tenuto a rimborsare al conduttore le spese sostenute per l’esecuzione di tali opere, salva l’applicazione della normativa in tema di miglioramenti (Cass. 2458/2009)”.
Alla luce di quanto precede resta assorbito l’esame di ogni altra questione sollevata dalla ricorrente con il mezzo all’esame.
4. Con il secondo motivo, rubricato “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in tema di integrazione degli artt. 5, 7, 8 del contratto S. – Hotel Royal/INPDAP. Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in tema di qualificazione (manutenzione straordinaria o di restauro) delle opere eseguite presso Hotel Royal. Insufficiente e contraddittoria motivazione in tema di valutazione risultanze della c.t.u. G. “.
Assume la ricorrente che erroneamente la Corte di merito avrebbe interpretato estensivamente gli artt. 5, 7 e 8 del contratto, includendo arbitrariamente e contro la volontà dei contraenti nella categoria della manutenzione straordinaria anche le opere di restauro, in relazione alle quali le parti avevano taciuto, e sostiene che i contatti intercorsi tra queste in sede di esecuzione del contratto, di cui hanno riferito i testi Ca. e D.G. , confermerebbero che i contraenti intendessero lasciare a carico del proprietario i costi di restauro; sostiene che l’omesso esame – da parte della Corte di merito – della relazione del CTU G. avrebbe determinato l’erronea ed arbitraria sovrapposizione tra opere di manutenzione straordinaria e di restauro ed evidenzia che avrebbe più volte segnalato, senza esito, all’INPDAP la necessità di procedere all’esecuzione dei lavori prima di provvedere in proprio e sostiene che la Corte di merito avrebbe invece trascurato del tutto l’elemento dell’inerzia del locatore rispetto alle sue richieste di intervento ed avrebbe imputato al conduttore tutte le spese di restauro “sul solo fatto storico della mancata autorizzazione”.
4.1. Il motivo va rigettato.
Ed invero nel giudizio di cassazione, la deduzione dei vizi di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (Cass. 30 marzo 2007, n. 7972), cui spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).
Inoltre, si richiama quanto già posto in rilievo in relazione al primo motivo con riferimento all’interpretazione delle già più volte ricordate clausole contrattuali, e si evidenzia che il mezzo difetta pure di autosufficienza, non essendo state riportate integralmente le dichiarazioni testimoniali cui la ricorrente fa riferimento e le ulteriori lettere – oltre l’unica riprodotta in ricorso – pure richiamate nell’illustrazione del motivo; né rileva che le parti si siano – come sostenuto dalla ricorrente – più volte incontrate per discutere dell’eventuale compensabilità dei crediti vantati dalla società conduttrice per le opere di cui si discute, essendo pacifico che sul punto non è stato raggiunto nessun accordo; né può ritenersi che la Corte di merito abbia omesso di valutare la ctu richiamata dalla ricorrente, alla luce di quanto indicato a p. 9 della sentenza impugnata e dei brani della relazione del ricordato ausiliare riportati in ricorso; va poi evidenziato che la predetta Corte, pur avendo escluso, ad abundatiam, che le opere di cui si discute possano essere considerate di restauro, ha ritenuto comunque irrilevante la qualificazione delle opere eseguite ed ha rigettato la domanda relativa alle stesse sulla scorta delle argomentazioni sopra evidenziate, sicché sul punto neppure sembra essere stata ben colta la ratio decidendi.
A quanto precede va aggiunto che la Corte territoriale ha congniamente e logicamente motivato circa l’irrilevanza dell’inerzia dell’INPDAP rispetto ai lavori in parola (v. sentenza p. 10), anche alla luce delle missive inoltrate dal conduttore, evidenziandosi, peraltro che, a voler tutto concedere, in ogni caso, non risulta dedotto che trattavasi di opere urgenti alla cui esecuzione, ai sensi dell’art. 1577 c.c., il conduttore può provvedere direttamente salvo rimborso, purché ne dia contestuale avviso al locatore.
Il mezzo all’esame risulta, quindi, infondato sotto tutti i profili prospettati.
5. Con il terzo motivo si deduce “violazione degli artt. 1224 e 1227 in tema di decorrenza degli interessi di legge”.
La ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia stabilito la decorrenza degli interessi sulle somme dovute al locatore a titolo di canoni dalla domanda e non dalla sentenza di primo grado, nonostante l’INPDAP avesse omesso di fornire i dati indispensabili per provvedere al pagamento dei canoni e pur se alla quantificazione degli stessi si sia pervenuti dopo l’espletamento di ctu e l’emissione della detta sentenza.
5.1. Il motivo va rigettato in quanto correttamente la Corte di merito ha riconosciuto, così come richiesto, gli interessi dalla domanda, che é atto di messa in mora, evidenziando che l’ente locatore non doveva procedere a nessuna ulteriore specificazione circa il debito della conduttrice, la quale ben conosceva l’importo mensile dei canoni e finanche l’entità delle somme arretrate in relazione alle quali le parti erano addivenute all’accordo del 20 febbraio 1997.
6. Il ricorso principale va, quindi, rigettato.
7. Da tale rigetto resta assorbito l’esame della questione, sollevata dall’INPDAP, in relazione alla diversa ragione sociale indicata dalla ricorrente in questa sede (Hotel Royal S.r.l.).
8. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, rubricato “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1724 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., e/o error in procedendo, in relazione all’art. 360, n.ri 3 e 4, c.p.c.”, il controricorrente lamenta che la Corte di merito abbia riformato la sentenza di primo grado con riferimento alla data finale cui computare il canone dovuto a detto ente, sul rilievo che risultava incontestato che la SCIP — cui il complesso immobiliare era stato alienato dall’INPDAP con effetto dal 1 gennaio 2002 – aveva direttamente richiesto e in parte ottenuto dalla conduttrice i canoni maturati successivamente a tale data e che tanto implicava una revoca del mandato conferito dalla SCIP all’INPDAP in forza del quale quest’ultimo sosteneva di essere legittimato a richiedere il pagamento dei canoni sino al 30 luglio 2007, data in cui il bene era stato poi alienato dalla SCIP alla banca CARIGE.
8.1. Il motivo all’esame va rigettato, atteso che non risulta riportato il tenore letterale ed integrale del contratto gestorio e della procura cui si fa riferimento nell’illustrazione del mezzo, con conseguente difetto di autosufficienza, e che, quindi, deve ritenersi che non sussistano elementi per rimettere in discussione la valutazione di merito operata dalla Corte territoriale sulla questione dedotta.
9. Il ricorso incidentale, deve, pertanto, essere rigettato.
10. Stante la reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate per intero tra le parti.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale e compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Leave a Reply