Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 17 ottobre 2013, n. 23584
Svolgimento del processo
1.- Con sentenza del 27.5.2003 il Tribunale di Como rigettò la domanda, proposta nel 2000, con la quale A.L. chiesto la condanna di Factory Store s.p.a. a risarcirle i danni subiti a seguito di una caduta, avvenuta il 15.12.1998, nel negozio gestito dalla convenuta in Vertemate. L’attrice aveva sostenuto di essere inciampata in uno scivolo metallico scarsamente visibile che congiungeva due diversi livelli dell’esercizio commerciale.
2.- La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2772 del 13.11.2006, ha respinto il gravame della L.sul rilievo che lo scivolo, come già ritenuto dal Tribunale, era visibile e ben distinto dal pavimento e che la caduta era da attribuire a disattenzione della L.; sicché, per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c., doveva ritenersi interrotto il nesso eziologico tra cosa ed evento di danno.
3.- Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la soccombente affidandosi a due motivi, cui Factory Store resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1.- Col primo motivo la sentenza censurata per falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. nella parte in cui ha escluso la sussistenza di nesso eziologico fra cosa e danno.
Vi si sostiene che nella responsabilità di cui alla disposizione citata non viene in rilievo il carattere insidioso della cosa, sicché era nella specie irrilevante che o “civolo”(ma, recius, il passaggio inclinato) fosse visibile, dotato di corrimano e di superficie antiscivolo, essendo sufficiente per la configurazione della responsabilità del custode il nesso causale tra cosa e danno, nel caso in esame “risultato dalla circostanza (non contestata) che la signora L. cadde per terra perdendo la scarpa che essa indossava, per essersi il tacco della medesima impigliato nel bordo (leggermente sopraelevato) del già citato manufatto”. A tale sopraelevazione era appunto da correlarsi, come causa o concausa dell’evento di danno, l’insorgenza del processo dannoso della cosa, pur priva di idoneità a produrre danni per sua natura. In conclusione, il danno andava correlato alla sopravvenuta anomalia della cosa (appunto la sopraelevazione) e non al comportamento della danneggiata, comunque palesemente irrilevante ai fini di un’eventuale interruzione del nesso eziologico.
2.- Col secondo motivo è dedotta omessa e contraddittoria motivazione su fatto decisivo, per avere la Corte ritenuto irrilevante la direzione tenuta dalla L. e per non avere preso in considerazione la richiesta di prova sul fatto che ella, al momento della caduta, si accingeva a salire sullo scivolo al fine di raggiungere il livello superiore dello stesso piano.
3.- I due motivi, che possono congiuntamente esaminarsi per l’intima connessione che li connota, sono infondati.
L’art. 2051 cod. civ., stabilendo che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”, contempla un criterio di imputazione della responsabilità che, per quanto oggettiva in relazione all’irrilevanza del profilo attinente alla condotta del custode, è comunque volto a sollecitare chi ha il potere di intervenire sulla cosa all’adozione di precauzioni tali da evitare che siano arrecati danni a terzi.
A tanto, peraltro, fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa. Quando il comportamento di tale secondo soggetto sia apprezzabile come incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione squisitamente di merito, che va bensì compiuta sul piano del nesso eziologico ma che comunque sottende un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela. Quando la conclusione sia nel senso che, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa, la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi integrato il caso fortuito.
Di tali principi la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dopo aver ritenuto in fatto che “l’appellante era inciampata sul bordo dello scivolo metallico leggermente sopraelevato, perdendo la scarpa per essersi il tacco impigliato nel bordo dello scivolo e cadendo quindi per terra” e poi considerato che “ai fini della causa non rileva la direzione tenuta dalla L., quanto la visibilità dello scivolo stesso, distinto dal pavimento, come evidenziato dalle foto prodotte e la cui visibilità non poteva essere adombrata dall’esistenza del manichino”.
Il ricorrente non espone d’altronde in ricorso quanto alta fosse la “leggera” sopraelevazione del bordo dello scivolo, né quanto spesso (o sottile, tale dunque da innalzare il livello di necessaria cautela) fosse il tacco, sicché non offre supporti idonei ad evidenziare la possibile decisività di elementi in ipotesi pretermessi. La considerazione dei quali ha evidentemente indotto il giudice del merito alla conclusione che era indifferente la direzione della vittima, nel senso che la ricorrenza degli estremi della responsabilità del custode andava esclusa quand’anche ella si fosse accinta a percorrere il passaggio dal basso verso l’alto.
4.- Il ricorso è respinto.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in € 2.700, di cui € 2.500 per compensi, oltre agli accessori di legge.
Leave a Reply