Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 15 ottobre 2015, n. 20885

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2856/2013 proposto da:

(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione Sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2618/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/12/2011 R.G.N. 1593/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/07/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

1.- Il Tribunale di Padova aveva emesso in favore dell’istante (OMISSIS) un decreto ingiuntivo col quale veniva ingiunto alla societa’ (OMISSIS) S.p.A. il pagamento della somma di lire 889.860.972, oltre interessi e spese.

L’ingiunta era stata aggiudicataria, in una procedura fallimentare, di beni immobili dei fallimenti (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.p.a. e nel provvedimento di aggiudicazione era previsto l'”accollo” a carico dell’aggiudicatario di quanto sarebbe stato da corrispondere al Consorzio ai sensi dell’articolo 10 di apposito disciplinare; in questo era stabilito che le societa’ poi fallite – gia’ assegnatarie dei lotti di terreno per la costruzione di impianti destinati ad attivita’ produttive in forza di atti del 7 dicembre 1989 e del 4 gennaio 1990 (cui si riferiva il disciplinare) – non avrebbero potuto compiere atti di disposizione degli immobili per un periodo infra ventennale (diciannove anni e undici mesi) senza autorizzazione del Consorzio e quest’ultima era condizionata al pagamento in favore del Consorzio – in solido tra le assegnatarie e l’acquirente – di un corrispettivo pari al 20% della differenza tra il prezzo in vigore al momento dell’assegnazione e quello in vigore al momento dell’autorizzazione.

Il Consorzio aveva agito in monitorio per ottenere questo pagamento.

1.1.- La societa’ (OMISSIS) S.p.A. aveva proposto opposizione a decreto ingiuntivo, sostenendo che l’articolo 10 del disciplinare non sarebbe stato applicabile, essendo mancato un atto di disposizione volontario da parte dell’assegnatario; che la norma sarebbe stata diretta ad evitare trasferimenti volontari del lotto – acquistato ad un prezzo di favore – al fine di impedire speculazioni; che percio’ la situazione contemplata dalla norma non era assimilabile a quella della vendita forzata; inoltre, che si sarebbe trattato di un pactum de non alienando avente efficacia meramente obbligatoria tra le parti stipulanti, da interpretarsi in senso restrittivo.

1.2.- Il Consorzio aveva resistito, deducendo che il curatore fallimentare sarebbe subentrato negli impegni convenzionalmente assunti dalle societa’ assegnatarie dei lotti e, nel promuoverne la vendita, avrebbe compiuto un atto di disposizione assoggettabile alla previsione del disciplinare.

Aveva aggiunto che il provvedimento del giudice delegato che prevedeva detto “accollo” avrebbe dovuto essere impugnato ai sensi della L.F., articolo 26.

1.3.- Il Tribunale, concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, con sentenza del 19 settembre 2005, aveva rigettato l’opposizione delle (OMISSIS) S.p.A., confermando il decreto e condannando l’opponente al pagamento delle spese processuali.

2.- Avverso la sentenza la societa’ gia’ opponente proponeva appello, a cui resisteva il Consorzio.

Con la sentenza impugnata, pubblicata il 12 dicembre 2011, la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado.

3.- Contro questa sentenza (OMISSIS) S.p.A. propone ricorso affidato a dieci motivi.

Il (OMISSIS) si difende con controricorso e memoria.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1.- La Corte d’Appello ha respinto l’impugnazione per le seguenti ragioni:

– a) con l’adesione alla procedura di vendita all’asta la societa’ appellante avrebbe accettato, sia pure implicitamente, di accollarsi l’obbligazione verso il Consorzio per il pagamento del contributo previsto dall’articolo 10 del disciplinare, dal momento che la relativa previsione era contenuta nell’avviso di vendita all’asta degli immobili e l’impegno era richiamato nel decreto di trasferimento, oltre che nella relazione di stima dell’esperto;

– b) la fattispecie sarebbe analoga a quella contemplata dall’articolo 586 c.p.c., in relazione all’articolo 508 c.p.c.. (OMISSIS) S.p.A., con l’adesione al bando di vendita (recante l’esplicita previsione dell’esistenza dell’onere a carico del concorrente all’incanto), avrebbe assunto su di se’ l’obbligazione del pagamento al Consorzio del contributo previsto dall’articolo 10 del disciplinare, perfezionatasi a suo carico con l’aggiudicazione dell’immobile;

– c) l’obbligazione in parola gravava sulle societa’ (OMISSIS) gia’ assegnatarie dei terreni e poi fallite, e quindi la procedura fallimentare bene avrebbe trasferito questa obbligazione in capo all’aggiudicataria, sia pure nell’interesse della massa dei creditori;

– d) le norme del disciplinare (che “detta le disposizioni per l’assegnazione delle aree pervenute nella disponibilita’ del (OMISSIS), destinate alle opere per l’impianto e la sistemazione degli stabilimenti industriali, artigianali e commerciali facenti parte del Consorzio stesso”) non si limiterebbero a regolamentare i trasferimenti ai privati delle aree, ma, prevedendo anche oneri e sanzioni a carico dei privati assegnatari, avrebbero natura pubblicistica, essendo preordinate alla tutela dell’interesse pubblico perseguito dal Consorzio. Con la conseguenza che il divieto di alienazione non avrebbe rilevanza esclusivamente privatistica ed efficacia meramente obbligatoria ai sensi dell’articolo 1379 c.c., ma si estenderebbe anche nei confronti dei terzi, e degli aventi causa degli assegnatari medesimi, come da precedente di legittimita’ n. 9508/1997, richiamato in sentenza;

– e) la societa’ aggiudicataria non avrebbe assunto, in via di manleva, un obbligo altrui, ma sarebbe stata obbligata in proprio, in ragione della previsione contenuta nell’avviso di vendita, secondo cui l’adesione a quest’ultimo avrebbe comportato, oltre all’accollo dell’obbligazione verso il Consorzio, “l’espressa rinuncia da parte dell’aggiudicatario alla richiesta in capo al fallimento della somma da pagare” (quindi, la rinuncia al regresso verso il fallimento).

2.- Le affermazioni sub a), b) ed c) sono censurate con gli ultimi quattro motivi di ricorso; i primi sei sono diretti a contestare quanto ritenuto dalla Corte di merito in punto di successione dell’aggiudicataria nell’obbligazione nascente dall’articolo 10 del disciplinare (affermazione sub e) ed in punto di opponibilita’ del vincolo di inalienabilita’ infraventennale in quanto preordinato alla tutela di pubblici interessi (affermazione sub d).

Seguendo l’ordine espositivo della ricorrente, che peraltro rispetta l’ordine logico delle questioni, vanno esaminati i primi sei motivi.

2.1.- Col primo si deduce violazione e falsa applicazione della Legge n. 317 del 1991, articolo 36, comma 4, “per non aver applicato al caso di specie le norme civilistiche”.

La ricorrente sostiene che sarebbe errata la sentenza che ha ritenuto le norme del disciplinare a natura pubblicistica, in quanto preordinate alla tutela dell’interesse pubblico perseguito dal Consorzio. La Corte di merito non avrebbe considerato che quest’ultimo e’ qualificato dal menzionato Legge n. 317 del 1991, articolo 36, (intitolata “Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese”) come ente pubblico economico: il (OMISSIS), costituito ai sensi della vigente legislazione (cosi’ come e’ il (OMISSIS)), opererebbe in posizione di assoluta parita’ con l’altro contraente, sicche’ il disciplinare allegato al contratto di assegnazione delle aree – che sarebbe un contratto di compravendita – regolamenta il rapporto contrattuale nato tra soggetti che opererebbero su un piano di parita’, legati da diritti e obblighi reciproci di natura privatistica.

2.2.- Col secondo motivo si svolgono censure analoghe, sotto il profilo del vizio di motivazione in merito alla natura imprenditoriale dell’attivita’ esercitata dal Consorzio. Questa sarebbe stata esclusa dalla Corte di merito, che avrebbe ritenuto la natura pubblicistica degli interessi perseguiti, senza adeguata motivazione.

2.3.- Col terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto nell’interpretazione dell’articolo 10 del disciplinare in riferimento all’articolo 1379 c.c., ed agli articoli 1362 e 1363 c.c., sull’interpretazione dei contratti, per non avere la Corte d’Appello riconosciuto la natura obbligatoria della clausola del disciplinare e la sua riconducibilita’ all’articolo 1379 c.c., e per avere assimilato alla vendita volontaria la vendita fallimentare, la quale non avrebbe potuto essere assoggettata all’autorizzazione del Consorzio (che sarebbe servita ad evitare speculazioni, invece estranee agli organi fallimentari).

2.4.- Col quarto motivo si censura la motivazione della sentenza per avere richiamato il precedente di legittimita’ n. 9508/1997, che, secondo la ricorrente, avrebbe una motivazione addirittura contrastante con le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata. Inoltre, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto di altra, piu’ pertinente, giurisprudenza di legittimita’, espressa dalle sentenze n. 6517/1980 e n. 6748/1987 – indicate gia’ nei gradi di merito a sostegno delle ragioni della societa’ odierna ricorrente.

2.5.- Col quinto motivo si deduce violazione dell’articolo 1379 c.c., in relazione alla disciplina fallimentare ed alla L.F., articoli 42, 52 e 93, per non avere la Corte d’Appello escluso la compatibilita’ con la disciplina fallimentare della clausola dell’articolo 10 del disciplinare, in quanto contenente un divieto convenzionale di alienazione riconducibile all’articolo 1379 c.c., e percio’ inopponibile alla massa, quindi al terzo aggiudicatario.

2.6.- Col sesto motivo si svolgono censure analoghe sotto il profilo del vizio di motivazione sull’applicabilita’ dell’articolo 10 del disciplinare alla vendita fallimentare.

3.- I motivi – da esaminarsi congiuntamente poiche’ concernenti una sola decisiva questione – non sono fondati.

La questione che essi pongono riguarda la natura del vincolo di che trattasi e la sua opponibilita’ alla procedura concorsuale e, quindi, all’aggiudicatario della vendita in sede fallimentare.

Quanto al primo aspetto, non coglie nel segno la ricorrente laddove riconduce il vincolo ad un divieto convenzionale di alienazione regolato dall’articolo 1379 c.c..

Con la Legge 4 febbraio 1958, n. 158 (in G.U. n. 69 del 20/03/1958, recante “Norme relative all’espropriazione di terreni e all’attuazione di opere nella zona industriale e nel porto fluviale di Padova”), modificata dalla Legge 1 ottobre 1969, n. 739, fin G.U. n. 279 del 05/11/1969 recante “Modifiche alla Legge 4 febbraio 1958, n. 158, contenente norme relative all’espropriazione di terreni e all’attuazione di opere nella zona industriale e nel porto fluviale di Padova”), si e’ prevista la pubblica utilita’ a fini espropriativi di tutte le opere occorrenti per l’impianto, l’esercizio e l’attrezzatura dei servizi della zona industriale e portuale di Padova, nonche’ delle opere occorrenti per l’impianto e la sistemazione nella zona stessa di stabilimenti industriali, artigianali e commerciali tecnicamente organizzati e costruzioni annesse. Si e’ quindi previsto che, all’esito dell’espropriazione per pubblica utilita’ allo stesso affidata, il (OMISSIS) provvedesse alla assegnazione delle aree, provenienti dalle espropriazioni, a singole aziende per l’impianto di stabilimenti industriali, artigianali e commerciali tecnicamente organizzati ed opere annesse, alle condizioni previste dalla stessa normativa speciale.

E’ cosi’ palesato l’interesse pubblico a favorire l’impianto di stabilimenti destinati ad attivita’ produttive sulle aree allo scopo espropriate.

Le aree espropriabili erano quelle ricomprese in piani particolareggiati deliberati dagli organi del Consorzio ed esse, per la realizzazione degli obbiettivi di legge, erano cedute in proprieta’ (“assegnate”) a singole aziende per l’impianto degli stabilimenti. A seguito dell’esproprio, il bene era destinato direttamente al soddisfacimento dell’anzidetta finalita’ d’interesse pubblico. Questa era raggiunta anche mediante l’attribuzione al Consorzio del compito, oltre che di sistemare l’area destinata allo sviluppo degli insediamenti produttivi, di realizzare le opere necessarie per i servizi pubblici della zona industriale e del porto fluviale.

Per quanto e’ dato evincere dagli scritti di parte, gli atti di cessione del 7 dicembre 1989 e del 4 gennaio 1990 vennero stipulati tra il Consorzio e le societa’ (OMISSIS) per l’assegnazione di aree destinate ad insediamenti produttivi ai sensi della richiamata normativa.

Il disciplinare relativo alla cessione in proprieta’ delle aree – come si afferma nella sentenza impugnata – contiene norme che non si limitano a regolamentare il trasferimento, “ma prevedono anche oneri e sanzioni a carico dei privati assegnatari”.

Tra queste, la previsione dell’articolo 10, per la quale “Per atti di disposizione sugli immobili per un periodo di 19 anni e 11 mesi dalla data di stipulazione del contratto di assegnazione, l’assegnatario non potra’ cedere a terzi in tutto o in parte la proprieta’ dell’area e/o delle costruzioni, ne’ costituire sopra detto immobile diritto reale di godimento, senza preventiva autorizzazione del Consiglio Direttivo del Consorzio. L’autorizzazione e’ condizionata al pagamento in solido tra assegnatario e l’acquirente al Consorzio di un corrispettivo pari al 20% della differenza fra il prezzo in vigore al momento dell’ultima assegnazione e quello in vigore al momento dell’autorizzazione di cui sopra… omissis…”. La clausola prevede altresi’ un’apposita disciplina per l’affitto e per la successione mortis causa, nonche’ l’esenzione dall’autorizzazione “qualora si tratti di trasferimento dell’immobile unitamente all’azienda sullo stesso insediata, fermo l’obbligo, tuttavia, del cedente di comunicare immediatamente al Consorzio il nominativo del nuovo utente e l’obbligo di non modificare l’oggetto dell’attivita’ aziendale”.

Come rilevato nel precedente di questa Corte n. 9508/97 citato in sentenza – relativo all’analoga fattispecie dell’assegnazione ai privati di immobili compresi nei piani particolareggiati delle aree destinate gli insediamenti produttivi ai sensi della Legge n. 865 del 1971, articolo 27 – “il momento pianificatorio e quello convenzionale sono pertanto legati da un rapporto di interdipendenza: infatti, se la cessione trova il suo ineliminabile presupposto nell’esistenza del piano, quest’ultimo richiede, per la sua concreta attuazione, che l’area sia trasferita in proprieta’ (o concessa in superficie) ad un operatore economico.

La cessione del bene non e’ quindi fine a se’ stessa, ma concorre alla realizzazione dell’assetto urbanistico prefigurato nel piano”.

Sebbene nel caso di specie la normativa speciale non preveda il potere di incidere unilateralmente sul rapporto in capo al Consorzio (che, in quanto ente pubblico economico, non e’ dotato di poteri autoritativi), tuttavia le finalita’ di pubblico interesse dallo stesso perseguite (finalita’, il cui raggiungimento – contrariamente a quanto sotteso ai primi due motivi di ricorso – ben puo’ essere affidato ad un ente pubblico economico) consentono di affermare che anche gli obblighi posti a carico del cessionario circa l’utilizzazione dell’area trovino il loro presupposto nell’esigenza di assicurare la realizzazione degli obbiettivi perseguiti dalla normativa speciale. Quindi, si tratta di obblighi preordinati alla tutela di interessi che trascendono quelli che caratterizzano la posizione dell’alienante in una compravendita che rilevi solo sul piano privatistico.

Appunto perche’ finalizzato alla tutela di un interesse pubblico che si realizza per il tramite Consorzio alienante (rectius, cedente) – ma non e’ proprio di quest’ultimo come se si trattasse di una parte privata -, il divieto di alienazione se non previa autorizzazione non e’ riconducibile alla regola posta dall’articolo 1379 c.c..

Questa norma, infatti, accorda prevalenza all’interesse di uno dei contraenti, subordinando la validita’ della clausola negoziale al fatto che si tratti di un interesse “apprezzabile”, ma sempre nella prospettiva della tutela di interessi privati.

Nel caso di specie, rileva invece l’interesse pubblico, perseguito, per il tramite del Consorzio, allo sviluppo industriale o comunque produttivo dell’area, espropriata e sistemata allo scopo a spese dello stesso Consorzio.

Pertanto, se il prezzo di assegnazione resta favorevole per gli assegnatari originari e per coloro che vi succedono, non solo nella titolarita’ dell’immobile, ma anche dell’azienda, purche’ si mantenga l’oggetto dell’attivita’ aziendale (come da detta previsione del disciplinare), e’ coerente con la tutela dell’interesse generale perseguito dal Consorzio che questo recuperi i costi di sistemazione delle aree qualora, a seguito dell’atto dispositivo, venga meno la destinazione delle stesse all’originaria attivita’ produttiva.

Considerato tale impianto normativo e convenzionale, e’ corretto ritenere che gli obblighi imposti al cessionario conformino il diritto di proprieta’ sugli immobili ceduti.

3.1.- Dato cio’, la vendita in sede fallimentare di un immobile incluso nei piani di espropriazione del (OMISSIS) per gli insediamenti produttivi finisce per sottrarre il bene alla sua originaria destinazione.

Essa non consente di perseguire (piu’) le finalita’ di pubblico interesse che hanno giustificato la cessione a prezzo di favore, sicche’ si viene a determinare la situazione – del tutto analoga a quella che si ha in caso di atto di disposizione dell’assegnatario – che impone di adeguare il prezzo di vendita all’effettivo valore dell’immobile, ripagando il Consorzio dei costi di sistemazione delle aree.

La differente natura degli interessi perseguiti non consente alcuna equiparazione tra gli obblighi degli assegnatari delle aree espropriate e gli obblighi volontariamente assunti dal contraente privato, per la tutela di interessi di natura individuale, con clausole contrattuali riconducibili all’articolo 1379 c.c. (clausole, queste ultime, incompatibili, di norma, con la procedura fallimentare).

Ne segue, in primo luogo, l’opponibilita’ alla procedura fallimentare delle previsioni del disciplinare dettate nel pubblico interesse, quindi la successione del curatore negli obblighi imposti all’originario assegnatario poi fallito.

Ne segue, altresi’, la compatibilita’ dell’obbligo posto dall’articolo 10 del disciplinare con le norme che regolano la procedura fallimentare. E cio’ anche in ragione del fatto che le previsioni di legge e convenzionali di cui si e’ detto non sottraggono, in assoluto, all’assegnatario la facolta’ di disporre del bene (ne’ prevedono la risoluzione dell’assegnazione, come nel caso esaminato da Cass. n. 9508/97, di cui si e’ detto), ma la subordinano al rilascio dell’autorizzazione, condizionata soltanto al pagamento del corrispettivo al Consorzio. Questo pagamento consente un adeguamento del prezzo originario di vendita che non e’ in contrasto con gli interessi della massa. Con l’ulteriore previsione della solidarieta’, per tale pagamento, tra assegnatario (cui e’ subentrato il Fallimento) ed aggiudicatario(avente causa dalla procedura), a maggior tutela dei pubblici interessi.

Si tratta di conclusioni coerenti con i precedenti di legittimita’ citati in sentenza (Cass. n. 9508/97) ed in ricorso (Cass. n. 6517/80 e n. 6748/87), in quanto da essi si trae il principio generale per il quale l’opponibilita’ o meno alle procedure esecutive e concorsuali dei vincoli di indisponibilita’ o dei divieti di alienazione sugli immobili che ne sono oggetto dipende dalla natura del vincolo e dalla relativa disciplina, legale e/o convenzionale. Anzi, proprio il primo dei due precedenti che la societa’ ricorrente cita a sostegno dei propri assunti smentisce questi ultimi e corrobora le conclusioni sopra raggiunte poiche’ riconosce il subentro del curatore fallimentare nell’amministrazione, ma anche negli obblighi degli assegnatari degli alloggi economici e popolari, con riserva di dominio in favore dell’ente venditore (compreso, tra questi obblighi, quello del pagamento del prezzo residuo per il definitivo trasferimento della proprieta’: cosi’ Cass. n. 6517/80).

I primi sei motivi di ricorso vanno percio’ rigettati.

4.- Quanto posto a fondamento di tale rigetto consente di confermare le affermazioni della Corte d’Appello riportate sopra sub c) e d), costituenti una ratio decidendi idonea da sola a sorreggere la decisione.

Pertanto, ritenuta l’opponibilita’ alla procedura fallimentare del divieto di alienazione senza autorizzazione e delle condizioni poste per il rilascio dell’autorizzazione da parte del Consorzio, e ritenuta, quindi, l’assoggettabilita’ a tali condizioni dell’aggiudicatario della vendita coattiva, restano assorbite le questioni poste con il settimo e con l’ottavo motivo di ricorso (relative alle affermazioni della sentenza riportate sopra sotto la lettera b).

Col settimo motivo si denuncia infatti la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla affermata applicazione analogica al caso di specie dell’articolo 508 c.p.c., richiamato dall’articolo 586 c.p.c., e con l’ottavo l’insufficienza di motivazione sui presupposti di applicabilita’ dell’articolo 508 c.p.c..

Il richiamo – in effetti scorretto – che la Corte d’Appello ha fatto degli articoli 508 e 586 c.p.c., e’ assorbito da quanto detto a proposito della successione del Fallimento negli impegni negoziali della societa’ fallita.

4.1.- In merito poi, alle affermazioni del giudice del gravame secondo cui con l’adesione alla procedura di vendita l’appellante avrebbe accettato di accollarsi l’obbligazione verso il Consorzio, si osserva quanto segue.

Se intesa come autonoma ratio decidendi, tale che la Corte d’Appello avrebbe fondato la propria decisione, non sull’applicabilita’ diretta dell’articolo 10 del disciplinare, ma sulla volontaria assunzione di un impegno che sarebbe disceso direttamente dalla partecipazione dell’aggiudicataria alla vendita all’asta, essa non risulta, in se’, censurata dalla ricorrente (in tal senso e’ il precedente di cui a Cass. n. 8348/14, prodotto con la memoria della resistente), fatto salvo quanto si dira’ a proposito degli ultimi due motivi di ricorso. Questi tuttavia non pongono la censura – che pur avrebbe potuto essere formulata avverso la sentenza di merito – che la vicenda traslativa all’esito della vendita coattiva non si possa configurare – come sembra aver fatto la Corte d’Appello – come effetto di una proposta della procedura, contenuta nel bando di gara, cui sia seguita l’accettazione dell’aggiudicatario; e quindi nemmeno pongono la questione della configurabilita’ della partecipazione alla procedura di vendita all’asta in sede fallimentare come autonoma fonte di obbligazioni dell’aggiudicatario nei confronti di terzi – come sembra aver ritenuto la Corte di merito. In ogni caso, anche tale, discutibile, ratio decidendi sarebbe assorbita da quanto gia’ detto a proposito dell’operativita’ dell’articolo 10 del disciplinare. Se, invece, il riferimento fatto dalla Corte di merito alla menzione dell’obbligo nell’avviso di vendita venga apprezzato come riscontro, da parte del giudice del gravame, della pubblicita’ data alla clausola del disciplinare (contenente il divieto di alienazione senza autorizzazione e le condizioni per il relativo rilascio), l’argomento consente di superare le perplessita’ manifestate dall’appellante, oggi ricorrente, in punto di mancata trascrizione del vincolo (al fine di ritenerne l’opponibilita’ ai terzi, ed in specie agli acquirenti in sede fallimentare).

In conclusione, i motivi settimo ed ottavo sono assorbiti a seguito del rigetto dei precedenti.

5.- Col nono motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1273 c.c., perche’, pur avendo la Corte d’Appello ritenuto sussistente un accollo di quanto sarebbe stato da corrispondere al Consorzio ai sensi dell’articolo 10 del disciplinare, non ne avrebbe tratto le dovute conseguenze. In particolare, non avrebbe applicato, come sostenuto da (OMISSIS) S.p.A., le norme in materia di accollo; specificamente, su:

– la mancanza di qualsivoglia riconoscimento di debito nei confronti del Consorzio da parte dell’aggiudicataria, essendo configurabile soltanto un accollo interno nei rapporti tra l’aggiudicataria ed il Fallimento;

– l’opponibilita’ al Consorzio di tutte le eccezioni relative al rapporto tra accollato (Fallimento (OMISSIS)) e creditore ( (OMISSIS)), quindi sull’esistenza e sulla validita’ dell’originaria obbligazione (prima fra tutte la inapplicabilita’ dell’articolo 10 del disciplinare).

Col decimo motivo la stessa censura e’ ricondotta al vizio di omessa motivazione sull’opponibilita’ al creditore (Consorzio) da parte dell’accollante ( (OMISSIS)) delle eccezioni spettanti al debitore originario (Fallimento).

5.1.- Il rigetto dei due ultimi motivi consegue alle ragioni sopra esposte in merito alla successione del Fallimento nell’obbligazione nei confronti del Consorzio gia’ gravante sulle societa’ originarie assegnatarie delle aree espropriate, che comporta l’assoggettamento agli stessi obblighi della societa’ aggiudicataria.

Restano cosi’ superate anche tutte le questioni riguardanti le previsioni inserite nell’avviso di vendita. Queste previsioni risultano infatti dirette per lo piu’ a disciplinare i rapporti tra l’aggiudicataria ed il Fallimento (quali obbligati in solido nei confronti del Consorzio, in specie in merito all’azione di regresso della prima verso il secondo ed alla relativa rinuncia); rapporti, invero, del tutto estranei al contenzioso in oggetto. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore del resistente, nell’importo di euro 10.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

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