La massima

Il provvedimento emesso a conclusione del processo di liberazione degli immobili dalle ipoteche, allorquando vi sia contrasto fra le parti, tanto se di accoglimento, quanto se di rigetto dell’istanza di liberazione, pur essendo decisorio, in quanto derivante da un procedimento contenzioso a carattere sommario su diritti, non può considerarsi definitivo, e, quindi, equiparabile ad una sentenza in senso sostanziale, essendo ridiscutibile, in sede di cognizione piena, mediante domanda di accertamento, positivo o negativo, delle condizioni della cancellazione, con la conseguenza che è inammissibile nei suoi confronti la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

SENTENZA 15 maggio 2012, n. 7525

Svolgimento del processo

p.1. La s.p.a. Equitalia Romagna ha proposto ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, settimo comma, della Costituzione, contro G..C. avverso l’ordinanza del 10 novembre 2009, con la quale il Tribunale di Ravenna – investito dal C. di un ricorso ai sensi dell’art. 792 c.p.c. nel luglio del 2009, nel quale egli, premettendo di avere acquistato con atto di compravendita per la formazione della proprietà diretto coltivatrice da ciascuno dei dodici proprietari eredi del di lui fratello C.O. , un immobile sito in (OMISSIS) , frazione XXXXX, assumeva che sulla quota di pertinenza di uno di essi, il figlio L..C. , insisteva ipoteca legale iscritta ai sensi dell’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973 da parte della ricorrente, e chiedeva la determinazione dei modi per il deposito del prezzo offerto in funzione della sua liberazione da detta ipoteca – a seguito dell’udienza di comparizione fissata da parte del Presidente e dell’espletamento del contraddittorio dell’Equitalia, che si era costituita eccependo l’inapplicabilità della disciplina della purgazione dell’ipoteca all’esecuzione esattoriale, ha dichiarato la liberazione dell’immobile dell’ipoteca gravante sulla quota di un dodicesimo già di proprietà di L..C. .

p.2. Al ricorso ha resistito con controricorso il C. , che in vista dell’udienza pubblica ha depositato memoria.

Motivi della decisione

p.1. Il Collegio ritiene che sia superfluo riferire l’illustrazione dei tre motivi sui quali si fonda il ricorso, perché deve rilevare d’ufficio l’inammissibilità del ricorso, in quanto nella specie il provvedimento impugnato non si può considerare come sentenza in senso sostanziale agli effetti dell’art. Ili, settimo comma, c.p.c..

Ciò, sulla base del principio di diritto da questa Corte, nella sentenza n. 29742 del 2011 ed in altre sette (nn. 29743, 29744, 29745, 29746, 29747, 30796, 30797) pronunciate a seguito della stessa udienza del 30 novembre 2011, affermato nei seguenti termini: “Il provvedimento emesso a conclusione del processo di liberazione degli immobili dalle ipoteche, allorquando vi sia contrasto fra le parti, tanto se di accoglimento, quanto se di rigetto dell’istanza di liberazione, pur essendo decisorio, in quanto derivante da un procedimento contenzioso a carattere sommario su diritti, non può considerarsi definitivo, e, quindi, equiparabile ad una sentenza in senso sostanziale, essendo ridiscutibile, in sede di cognizione piena, mediante domanda di accertamento, positivo o negativo, delle condizioni della cancellazione, con la conseguenza che è inammissibile nei suoi confronti la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost.”.

Il principio di diritto è stato affermato in relazione a ricorsi nei quali si impugnava il provvedimento con cui il presidente del tribunale, senza procedere alla designazione del giudice per il procedimento, nonché alla fissazione dell’udienza di comparizione, dovute ai sensi dell’art. 793 cod. proc. civ., aveva dichiarato inammissibile una domanda di liberazione da ipoteche, ritenendo che l’irritualità di tale provvedimento di chiusura del procedimento non influisse sul regime ad esso applicabile.

Tuttavia, la motivazione delle dette sentenze ha prospettato conclusioni negative dell’ammissibilità del ricorso straordinario con riguardo a qualsiasi ipotesi di definizione del procedimento di liberazione, ivi compresa quella di adozione del provvedimento in situazione di contesa fra le parti, che ricorre nella specie.

La motivazione dei detti precedenti si è, in particolare, articolata nei termini seguenti, che qui si riproducono:

“p.2. È opportuno premettere innanzitutto che, ad avviso del Collegio, lo svolgimento, rituale o irrituale che sia, dello speciale procedimento di cui agli artt. 792 e ss. c.p.c., in relazione al disposto degli artt. 2889 e ss. c.c., è assolutamente indifferente agli effetti dell’affermazione appena fatta.

Questo rilievo è giustificato perché nella fattispecie lo svolgimento del procedimento ha seguito un iter che appare essersi discostato, almeno formalmente, da quello previsto dal legislatore.

Lo schema procedimentale regolato dal legislatore, infatti, prevede che, dopo una prima fase introduttiva, che ha luogo con l’iniziativa dell’acquirente senza alcuna mediazione giudiziale (e sia pure per il tramite di un’attività sostanzialmente notificatoria affidata all’ufficiale giudiziario), siccome stabilito dall’art. 2889, primo comma, c.c., il procedimento si incardini davanti al giudice, individuato nel presidente del tribunale, con un ricorso il cui contenuto è finalizzato alla richiesta della fissazione dei modi per il deposito del prezzo offerto. Sul ricorso è previsto – dall’art. 792 c.p.c. – che il presidente provveda con decreto, il quale ha contenuto meramente ordinatorio. Ciò non esclude che il presidente, come ogni giudice che debba dare provvedimenti per il prosieguo del procedimento giurisdizionale di cui è investito, abbia un potere di valutazione della sussistenza delle condizioni dell’adozione del provvedimento ordinatorio. Il che necessariamente comporta che tale potere possa estrinsecasi con una valutazione positiva, nel qual caso il provvedimento sarà adottato, oppure possa estrinsecasi con una valutazione negativa, nel qual caso il provvedimento sarà negato.

Il dato comune è che in questa fase non è previsto il contraddittorio. Quest’ultimo è, tuttavia, previsto dall’articolo successivo, l’art. 793, ma lo è, almeno espressamente, per il solo caso di valutazione positiva del presidente e, quindi, di insorgenza delle situazioni indicate dal secondo comma dell’art. 792 c.p.c..

p.2.1. Tralasciando l’ipotesi in cui, ai sensi dell’art. 2891 c.c, siano formulate richieste di espropriazione del bene, la scansione successiva del procedimento prevede un onere dell’istante, quello di depositare quanto prescritto dal secondo comma dell’art. 792, e – almeno espressamente – solo per il caso di suo adempimento il codice stabilisce il modus procedendi da seguirsi dal presidente, che è nel senso della designazione di un giudice per il successivo svolgimento del procedimento con la fissazione di un’udienza di comparizione dell’acquirente, del precedente proprietario e dei creditori iscritti e l’assegnazione all’istante di un termine per la notificazione a costoro del relativo decreto.

p.2.2. Il procedimento che si svolge successivamente mantiene, o meglio – come si spiegherà – può mantenere il carattere sommario.

Lo rivela il successivo art. 793 che, sotto la rubrica “provvedimenti del giudice”, alla condizione che sia accertata la regolarità del deposito di cui al secondo comma e degli atti del procedimento (che sono quelli indicati nell’art. 2890 c.c.), si preoccupa di stabilire la sola forma del provvedimento di accoglimento della “richiesta di liberazione”, fissandola nell’ordinanza di cancellazione dell’ipoteca o delle ipoteche iscritte anteriormente all’acquisto dell’istante la liberazione, e, quindi, dispone che il giudice, una volta che l’abbia adottata, provvede alla distribuzione del prezzo a norma degli artt. 596 c.p.c.: in tal modo, per il caso di accoglimento della richiesta, si delinea un corso ulteriore del procedimento che sostanzialmente si concreta in una esecuzione sul prezzo offerto e messo a disposizione, questo essendo il significato della previsione della distribuzione.

p.2.3. La disciplina del Codice, mutuata con alcune differenze, che qui non merita evocare, dalla disciplina esistente nel Codice di Procedura Civile del 1865, suggerisce, come non ha mancato di rilevare la dottrina, numerosi interrogativi, perché appare del tutto parziale.

In tanto, con riferimento all’iter espressamente regolato ed appena descritto, cioè che il presidente, investito a norma dell’art. 792 c.p.c. fissi le modalità colà previste, che ne segua l’adempimento degli oneri dell’istante e che il presidente provveda ai sensi dell’art. 792 c.p.c., fissando l’udienza di comparizione davanti al giudice designato (che, peraltro, può anche designare in se medesimo), si prevede nell’art. 793 c.p.c. – come s’è già rilevato – solo che, accertate le condizioni procedimentali pregresse, si ravvisi il presupposto per la cancellazione. In tal caso si prevede che sia adottato il provvedimento di cancellazione.

Il Codice non dice se l’adozione di tale provvedimento supponga l’accordo delle parti.

Il silenzio in proposito, volta che si consideri che la norma precedente esige il contraddittorio e che, quando il legislatore esige il contraddittorio si suppone l’esistenza di interessi eventualmente confliggenti (del resto manifestamente emergenti per il fatto che l’istante vuole recuperare la libertà del bene acquistato dal peso dell’ipoteca o delle ipoteche e, quindi, postula che la relativa situazione dei creditori sia incisa), non può che essere inteso in senso negativo. Lo conferma anche il riferimento della norma del’art. 794 c.p.c. ad un accertamento da parte del giudice.

p.2.4. Il giudice ai sensi dell’art. 794 c.p.c. può, pertanto trovarsi a dover risolvere una contesa fra i soggetti implicati nel procedimento e, pertanto, non solo l’adozione dell’ordinanza può avvenire anche se la contesa insorga, ma, inoltre, deve ritenersi, pur nel silenzio del legislatore, che, o per valutazioni d’ufficio di spettanza del giudice in sede di accertamento delle condizioni per la liberazione, o per le contestazioni insorte, il giudice possa adottare anche un provvedimento di negazione della liberazione.

p.2.5. Il regime del provvedimento positivo o negativo non è in alcun modo individuato dal codice. E, dunque, l’esegeta delle norme in esame – come, del resto, rivela la dottrina che, sia pure in tempi non recenti (salvo un’eccezione) si è occupata del procedimento (per la verità di quasi nulla applicazione vigente il codice del 1940, a differenza di quel che era accaduto per quello del 1865) – è indotto a domandarsi quale sia l’efficacia, o meglio il regime di stabilità, del provvedimento tanto positivo quanto negativo dell’ordine di liberazione e quale sia la sua incidenza sul procedimento e, particolarmente, se il procedimento sia chiuso tanto dall’uno quanto dall’altro ovvero non lo sia.

p.2.6. Accantonando per ora questo problema e tornando alla fase iniziale del procedimento, quella rimessa per c.d. competenza interna, al presidente del tribunale, v’è da registrare che la disciplina positiva degli artt. 792 e ss. c.p.c. pone numerosi interrogativi in relazione all’ipotesi nella quale il presidente del tribunale, investito ai sensi del’art. 792 della sola richiesta, per così dire preliminare, del provvedimento ordinatorio di fissazione delle modalità del deposito, reputi che la domanda non sia accoglibile: gli interrogativi sono sia sul se egli possa negare l’adozione del provvedimento, sia sul se invece non lo possa fare, ma debba fissare comunque le dette modalità.

In secondo luogo, altro interrogativo che si pone, riguarda tanto quest’ultima ipotesi (cioè quella del’obbligatoria fissazione delle modalità, pur nel convincimento che non sia ammissibile la domanda di liberazione), quanto quella in cui le modalità siano stata fissate dal presidente sulla base di un convincimento delibatorio della ammissibilità della domanda.

Se l’onere di deposito non viene adempiuto il presidente non deve adottare alcun provvedimento. Potrebbe accadere che venga sollecitato a provvedere nonostante l’inadempimento degli oneri oppure che, adempiuti gli oneri, il cancelliere gli presenti i documenti indicati dall’art. 792, secondo comma, c.p.c. ed essi siano completi o incompleti.

p.2.7. Ora, l’art. 793 c.p.c., sia pure per l’ipotesi che gli oneri siano stati adempiuti e senza distinguere sulla correttezza dell’adempimento, prevede un modus procedendi che implica l’attivazione del contradditorio con la designazione del giudice e la fissazione dell’udienza di comparizione. L’avere il legislatore previsto tale forma procedimentale esclude che il presidente possa provvedere diversamente, salvo nominare se stesso alla gestione del procedimento in contraddittorio. È escluso, dunque, che egli possa negare inaudita altera parte, cioè senza dare sfogo al contraddittorio dell’istante, la successiva scansione procedimentale ed è escluso che possa provvedere senza il contraddittorio dei contro interessati, cioè il precedente proprietario ed il o i creditori iscritti.

Questa stessa ineluttabilità della fissazione dell’udienza per dare sfogo al contraddittorio si deve affermare, per elementari ragioni di coerenza, se il presidente sia sollecitato alla fase procedimentale prevista dall’art. 793 in una situazione in cui l’istante ha omesso in tutto od in parte le formalità previste dall’art. 792, secondo comma, o le abbia adempiute in modo irrituale.

Il Codice, in sostanza esige che sulla domanda di liberazione abbia luogo comunque la decisione alla stregua dell’art. 793 c.p.c. ed esclude che un decisione che precluda uno sbocco nella fase regolata da tale norma possa essere adottata dal presidente.

p.2.8. Ritornando per un attimo indietro, v’è da dire, a questo punto, che tali conclusioni danno anche le risposte all’interrogativo sul se il presidente, investito del ricorso ai sensi dell’art. 792 c.p.c., possa negare la fissazione delle modalità del deposito e chiudere il procedimento con una declaratoria di inammissibilità o che nel preclusa lo svolgimento successivo: la risposta è negativa, perché la decisione sulle condizioni o meno della liberazione, in disparte il problema che abbiamo accantonato del regime del provvedimento e della sorte del procedimento, deve necessariamente, nel disegno del legislatore essere adottata con le garanzie di cui all’art. 794 c.p.c., cioè dando sfogo al contraddittorio.

Ne consegue che, se il presidente ravvisi sul ricorso ai sensi dell’art. 792 c.p.c. una qualche ragione di inammissibilità o infondatezza della domanda di riduzione e, quindi, voglia negare la fissazione del termine per il deposito del prezzo, può adottare un simile provvedimento in via provvisoria, ma nel contempo, designandosi alla trattazione dell’affare o designando altro giudice, deve fissare l’udienza di comparizione ai sensi dell’art. 793 c.p.c..

p.2.9. Quid iuris se il presidente non assicuri la garanzia dell’udienza di cui all’art. 793 e definisca il procedimento o nella fase di cui all’art. 792 c.p.c., negando la fissazione delle modalità di deposito del prezzo oppure lo definisca rifiutandosi di dar corso all’ulteriore svolgimento procedimentale dopo la presentazione da parte del cancelliere dei documenti relativi al deposito (ravvisando una qualche nullità od incompletezza ovvero l’inesistenza delle condizioni di liberazione) oppure, in caso di inottemperanza al deposito, sull’istanza dell’acquirente che, per una qualsiasi ragione, giustifichi tale mancato deposito?

In questi casi, come in tutti i casi nei quali un procedimento sia stato chiuso dal giudice che non poteva definirlo se non dando corso ad uno svolgimento successivo, è da intendere che il provvedimento di chiusura sia da considerare soggetto allo stesso regime al quale sarebbe stato assoggettato il provvedimento di chiusura che sarebbe stato emesso all’esito dello svolgimento rituale del procedimento secondo le scansioni previste dal legislatore. È come se il presidente avesse definito il procedimento agli stessi effetti supposti dall’art. 794 c.p.c.. Il quale, come s’è rilevato, pur disciplinando espressamente il solo provvedimento positivo, regola implicitamente quello negativo, cioè consente la negazione della liberazione, salvo individuare quale ne sia il regime.

Ne consegue che il provvedimento (nei sensi su indicati) irrituale del presidente, di negazione della liberazione, ripete lo stesso regime di quello implicitamente previsto dall’art. 794 c.p.c..

p.10. È tempo, a questo punto, di sciogliere la riserva formulata in proposito (cioè su quale sia tale regime) e proprio tale scioglimento consentirà di dare spiegazione della inammissibilità del ricorso in esame.

Prima di farlo, tuttavia, deve registrarsi che l’andamento del procedimento davanti al giudice a quo si è, peraltro, sostanzialmente caratterizzato – dopo una prima anomalia rappresentata dal deposito del prezzo offerto da parte dell’acquirente presso la cancelleria del tribunale senza previa autorizzazione del Presidente del Tribunale – mediante l’assunzione da parte del Presidente, sulla scorta di un’implicita autoassegnazione, della trattazione del procedimento pur oltre la fase della fissazione delle modalità del deposito e tale trattazione si è articolata nelle forme degli artt. 793 e 794 c.p.c., cioè con l’assicurazione del contradditorio.

Onde è come se il provvedimento qui impugnato sia stato adottato in un ambito procedimentale riconducibile alla fase dell’art. 794 c.p.c. e si debba identificare in quel provvedimento negativo della liberazione, che si è detto implicitamente previsto da quest’ultima norma.

p.3. Ciò premesso, il Collegio rileva che parte ricorrente ha proposto il ricorso straordinario assumendone l’ammissibilità sulla base del precedente di questa Corte di cui a Cass. n. 7214 del 1996, che ha affermato il seguente principio di diritto: “Il provvedimento con il quale il presidente del tribunale, nel corso del procedimento di liberazione dell’ipoteca, non si limiti a pronunciare sulle modalità di svolgimento del procedimento stesso, bensì decida sulla questione, sollevata da uno dei creditori iscritti, concernente la sussistenza del diritto di chiedere la liberazione, costituisce un provvedimento di volontaria giurisdizione suscettibile di pregiudicare definitivamente la posizione delle parti. Pertanto, nei suoi confronti, non essendo esperibile alcun altro specifico rimedio, è ammissibile la proposizione del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.”.

Nella motivazione la citata decisione ha così argomentato: “Va preliminarmente esaminata, d’ufficio, la questione concernente l’ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il provvedimento impugnato, adottato nel corso di procedimento di liberazione di immobile da ipoteca (artt. 792-795 c.p.c.). Osserva il Collegio che con il provvedimento impugnato il presidente del tribunale non si è limitato a pronunciare sulle modalità di svolgimento del menzionato procedimento, bensì sulla questione, sollevata da uno dei creditori iscritti, concernente la sussistenza del diritto di chiedere la liberazione. Ora, qualora insorga una questione siffatta, nel procedimento di liberazione, da ricondurre, secondo la prevalente opinione, nella giurisdizione volontaria, si inserisce un incidente giurisdizionale contenzioso. Emerge, invero, un conflitto tra l’interesse del terzo acquirente di sottrarsi all’espropriazione mediante l’esercizio del potere di liberazione (art. 2858 c.c.), alle condizioni previste dall’art. 2890 c.c., ed il contrapposto interesse del creditore all’ordinario corso dell’espropriazione, senza necessità di sottostare alle condizioni imposte dall’art. 2891 c.c. in presenza di una valida istanza di purgazione. Interesse la cui rilevanza sostanziale scaturisce dal potere del terzo di determinare la base dell’asta, atteso che, ai sensi dell’art. 795, comma 3, c.p.c., l’incanto si apre sulla base del prezzo offerto dai creditori, risultante dall’aumento di un decimo (art. 2891, n. 2, c.c.) del prezzo indicato dal terzo (art. 2890, n. 3, c.c.). Consegue che la pronuncia sul richiamato conflitto integra provvedimento di contenuto decisorio sull’esistenza del diritto alla liberazione, suscettivo di pregiudicare definitivamente la posizione delle parti. Avverso tale provvedimento nessun rimedio è previsto. Non appare esperibile, per un verso, il reclamo di cui all’art. 739 c.p.c., consentito soltanto avverso i provvedimenti adottati in camera di consiglio dal tribunale, laddove nella specie la decisione è stata emessa dal solo presidente del tribunale. Né può ritenersi praticabile l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), non venendo in considerazione la regolarità formale del procedimento, ma la sussistenza del diritto stesso di richiedere la liberazione. Non resta, quindi, che la via del ricorso straordinario ex art. 111 Cost.”.

p.3.1. Ad avviso del Collegio la ricostruzione operata dalla decisione in esame – peraltro riguardante una fattispecie nella quale all’esecuzione i creditori del debitore principale avevano già dato corso all’atto dell’acquisto da parte del terzo, avvenuto dopo il pignoramento, ipotesi che la Corte, conforme alla prevalente dottrina, scrutinando il ricorso, ritenuto ammissibile, disse non legittimante alla liberazione – non è condivisibile nella integralità dei suoi passaggi e delle sue conclusioni, soprattutto, nell’approdo giustificativo dell’accesso al rimedio del ricorso straordinario.

Il dissenso riguarda anzitutto la premessa, cioè l’assunto che il provvedimento adottato nella procedura potrebbe assumere il contenuto di decisione su diritti (e, quindi, giustificativo del primo presupposto per l’accesso al rimedio del ricorso straordinario) soltanto qualora insorga contesa sull’esistenza delle condizioni della liberazione. Il procedimento, sotto tale profilo, nascerebbe come espressione di giurisdizione supposta inter volentes e riconducibile all’ambito della ed giurisdizione volontaria, ma, in presenza di contestazioni fra i soggetti coinvolti o, deve dirsi, di rilievi impedienti da parte del giudice, si evolverebbe in un procedimento di carattere contenzioso.

Ora, la riconduzione all’ambito della volontaria giurisdizione del procedimento in esame è stata prospettata, com’è noto, da una parte della dottrina ed avversata da altra, che invece vi ha visto senz’altro un procedimento di carattere contenzioso.

p.3.2. Il Collegio reputa in primo luogo che un dato che dovrebbe automaticamente escludere la riconducibilità comunque del nostro procedimento alla c.d. giurisdizione volontaria (pur sostenuta da autorevoli, ma non recenti, dottrine) è rappresentato da un dato negativo: in nessuna norma disciplinatrice di esso è previsto la decisione in camera di consiglio, cioè il dato che l’art. 742-bis, ma non diversamente l’art. 737 c.p.c., considerano caratterizzante della volontaria giurisdizione come tradizionalmente evocata dalle norme degli artt. 737 e ss. c.p.c.. Si è visto, del resto, che le due forme provvedimentali affidate al presidente del tribunale, nel primo comma dell’art. 792 e nell’art. 793 c.p.c. non sottendono potere decisionale del medesimo al di fuori dell’assicurazione della forma procedimentale di cui all’art. 794 c.p.c. ed impongono, ove tale forma non sia irritualmente assicurata, di riconoscere il provvedimento, quale che esso sia, come pronunciato con gli stessi effetti dell’art. 794 c.p.c..

p.3.3. In realtà, il procedimento di cui agli artt. 792 c.p.c. è fisiologicamente procedimento concernente un diritto soggettivo dell’acquirente, destinatario di una sorta di privilegio, avente ad oggetto la pretesa di liberare il bene dall’ipoteca corrispondendo il prezzo di acquisto purché stabilito nel rispetto del secondo comma dell’art. 2890 c.c.. Tale diritto è un diritto potestativo ad attuazione giudiziale eventuale e non necessaria (perché nulla osta a che lo stesso risultato possa raggiungersi con accordo stragiudiziale fra l’acquirente ed il creditore ipotecario, come non ha mancato di rilevare una dottrina, ravvisandovi il sintomo della scarsa ricorrenza dell’applicazione dell’istituto di cui agli artt. 792 e ss. c.p.c.). Di fronte ad esso stanno le posizioni di soggezione dei creditori iscritti, che possono restare tali solo in presenza delle condizioni di legge, altrimenti possono evolversi nell’opposizione alla liberazione ed anche, con manifestazione di altro diritto potestativo, con la richiesta di espropriazione, la quale correttamente dalla dottrina è ritenuta non esigere nemmeno il possesso del titolo esecutivo o la sua esigibilità, essendo l’espropriazione senza titolo giustificata dall’iniziativa dell’acquirente.

Il procedimento, dunque, ha sempre carattere contenzioso e la mancanza di emersione di un contrasto fra le parti non realizza situazione dissimile da quella che si verifica, allorquando, proposta una domanda giudiziale, il convenuto non ne contesti la fondatezza.

p.3.4. Ne segue allora che il procedimento, una volta sottratto all’ambito della giurisdizione volontaria (il che giustifica a fortiori la sottrazione al reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c., anche al di là della ragione ravvisatavi pur da chi si mostra incline alla riconduzione nell’ambito della giurisdizione volontaria, allorquando il provvedimento sia adottato dal presidente del tribunale), si connota come un procedimento che, in contrapposto alle forme della cognizione piena, sia secondo le regole ordinarie, apparecchiate dagli artt. 163 e ss. c.p.c., sia da altri riti processuali speciali presenti nel codice di rito, ha carattere sommario su diritti, per la ragione che il legislatore non ne disciplina specificamente le forme procedimentali, salvo che per la garanzia – pur sempre non regolamentata nei modi di estrinsecasi – del contraddittorio, imposta dall’art. 793.

È quanto dire che il provvedimento con cui si chiude – sia esso di cancellazione dell’ipoteca e, quindi, di accoglimento della domanda di liberazione, sia esso di negazione della liberazione, sia esso adottato con il rispetto delle scansioni procedimentali tipizzate negli artt. 792 e ss. c.p.c., sia esso adottato con l’inosservanza di esse, come nei casi sopra ipotizzati in cui adottata una decisione positiva o negativa dal presidente del tribunale senza darsi corso al procedimento ai sensi dell’art. 793 c.p.c. – è sempre provvedimento che decide su diritti e, quindi, decisorio alla stregua di quel che si esige nella logica dell’individuazione di una possibile sentenza in senso sostanziale, ai sensi del settimo comma dell’art. 111 della Costituzione.

p.3.5. Ai fini della ricorrenza dei presupposti per l’applicazione del rimedio previsto da tale norma, al contrario di quanto ha opinato il precedente di questa Corte sopra citato, difetta, tuttavia l’altro estremo necessario secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, cioè quello della definitività del provvedimento e dell’esclusione di qualsiasi altro rimedio giustiziale, cioè di qualsiasi possibilità di porre in discussione il provvedimento.

Invero, ad avviso del Collegio, in presenza di una norma come quella del’art. 794 c.p.c., la quale disciplina solo l’adozione del provvedimento positivo, facendola conseguire ad un accertamento relativo al deposito ed alla ritualità degli atti del procedimento, sui quali è data alle parti la possibilità di interloquire, com’è coessenziale alla garanzia del contradditorio, e, quindi, non ne fissa il regime, si deve ritenere che il legislatore del Codice avesse inteso lasciare intatta la possibilità di discutere sul provvedimento positivo o negativo con l’azione di cognizione piena, esercitabile rispettivamente dall’acquirente di fronte alla negazione della cancellazione, con una domanda di accertamento delle condizioni della cancellazione a suo dire ingiustamente negate, ovvero, in presenza di cancellazione, dal creditore o dai creditori iscritti, con domanda di accertamento negativo delle condizioni della cancellazione o, verosimilmente, come si dirà in seguito in una forma particolare in realtà suggerita dalla disciplina stessa dell’art. 794 c.p.c..

La mancanza di previsioni da parte del legislatore del Codice sul regime del provvedimento ed in particolare l’esclusione di una espressa od implicita previsione di inimpugnabilità, posta in relazione con il carattere sommario del procedimento, avrebbe dovuto indurre tale conclusione già secondo il tessuto del Codice prima del sopraggiungere della Costituzione e, quindi, dell’esigenza di adattamento del Codice alla nuova cornice ordinamentale.

All’interno del Codice le ragioni per tale conclusione erano evincibili sulla base delle seguenti considerazioni.

p.3.6. Nell’impianto del Codice campeggiava, come campeggia tuttora, la proclamazione dell’art. 99 c.p.c., secondo cui “chi vuoi far valere in giudizio un diritto deve proporre domanda al giudice competente”. Tale previsione si trova nel libro primo del codice, recante le disposizioni generali.

Ora, il riferimento alla domanda quale mezzo per far valere un diritto in giudizio nel Codice è sempre presente con riguardo anzitutto alla forma generale, quella ordinaria, di processo a cognizione piena: così, nell’art. 163 c.p.c., che è la norma d’esordio del libro secondo sul processo di cognizione v’è un espresso riferimento alla “domanda”; nell’art. 312 c.p.c. a proposito del procedimento davanti al pretore ed al conciliatore e ora nell’art. 314 c.p.c. per il procedimento davanti al giudice di pace. È presente, poi, nella forma speciale di cognizione piena del rito del lavoro: si veda l’originario art. 414 c.p.c. (allorquando esisteva il processo davanti alla magistrata del lavoro) e la norma attuale.

La garanzia della cognizione piena, o con la forma ordinaria o con quella speciale del lavoro, era ed è poi assicurata dal Codice con riguardo ai procedimenti di opposizione in materia esecutiva (si vedano le norme degli artt. 615 e ss. c.p.c., nelle loro varie stesure fino all’attuale).

Lo è, altresì, in numerosi “procedimenti speciali” disciplinati dal libro quarto del Codice, come il procedimento per decreto ingiuntivo (dove l’art. 633 c.p.c. allude alla domanda e la cognizione piena è garantita dall’opposizione di cui all’art. 645 c.p.c. o il procedimento per convalida, atteso che l’art. 660 c.p.c, nel regolare la forma dell’introduzione del procedimento, individuandola in una citazione ai sensi dell’art. 163 c.p.c., sia pure con ulteriori contenuti, rinvia a detta norma e lo fa con riguardo ad un procedimento che può con l’opposizione evolversi verso la cognizione piena, olim ordinaria hodie speciale ai sensi dell’art. 441 bis c.p.c.. Lo è ancora nel procedimento di scioglimento delle comunioni (art. 785 c.p.c., là dove, se sorgono contestazioni, dispone che si proceda ai sensi dell’art. 187 c.p.c.).

La possibilità della cognizione piena sul diritto è poi assicurata anche quando la tutela richiesta è quella cautelare, atteso che nell’attuale sistema per le misure meramente conservative essa, dopo la concessione della misura, deve essere necessariamente azionata con l’introduzione del giudizio di merito (art. 669-octies, primo comma, c.p.c.) e per le misure anticipatorie è comunque assicurata la possibilità di darvi corso (art. 669-octies, sesto comma, c.p.c.).

La garanzia della cognizione piena era ed è esclusa per i procedimenti in camera di consiglio, se non altro in forza della proclamazione dell’ultimo comma dell’art. 739 cpc, atteso che l’affermazione della inimpugnabilità dei provvedimenti pronunciati in sede di reclamo non poteva che implicare la negazione della possibilità di una discussione con la cognizione piena sulla situazione coinvolta nel singolo procedimento.

p.3.6. Ora, s’è già veduto che il procedimento ai sensi dell’art. 792 e ss. non è riconducibile all’ambito di detti procedimenti e questo dato comportava nella logica del Codice l’assenza di una preclusione della possibilità della cognizione piena, cioè di far valere il diritto coinvolto nel procedimento in “giudizio” alla stregua dell’art. 99 c.p.c. sia contro il provvedimento positivo di cancellazione sia contro quello negativo di essa. Il silenzio del Codice sul regime del provvedimento e particolarmente la mancanza di proclamazione della sua inimpugnabilità dovevano, dunque, essere intesi nel senso di non impedire al soggetto interessato di portare la contesa sul piano della cognizione piena.

Non era senza rilievo, del resto, il fatto che nell’art. 792 c.p.c. il legislatore del Codice non ha usato l’espressione “domanda” per l’atto introduttivo di quello che pure nell’intestazione del titolo sesto del libro quarto chiama “processo di liberazione degli immobili dalle ipoteche”.

D’altro canto, la mancanza di previsione espressa nell’art. 793 c.p.c., sia pure dopo la pronuncia del provvedimento positivo o negativo sulla liberazione, della cognizione piena non poteva essere intesa come significativa dell’intenzione del legislatore del Codice di chiudere lo svolgimento della tutela giurisdizionale con il provvedimento adottato a seguito del procedimento sommario regolato dagli artt. 792-795 c.p.c..

Il silenzio, in mancanza di previsione del regime del provvedimento, non poteva essere considerato come preclusivo della possibilità di far valere in giudizio con una domanda introduttiva della cognizione piena il diritto alla liberazione negato dal provvedimento positivo o il diritto del creditore iscritto di escludere la liberazione e di mantenere l’ipoteca sacrificato dal provvedimento di cancellazione. E, dunque, il provvedimento non poteva essere inteso come definitivo.

p.3.7. Ebbene, una volta sopravvenuto l’art. 111, secondo comma della Costituzione, e, quindi la garanzia costituzionale dell’impugnabilità in Cassazione delle “sentenze” ed una volta affermatosi, com’è noto, il principio per cui tale garanzia non si correlava alla forma del provvedimento, non vi era e non vi è alcuna necessità di considerare il provvedimento positivo o negativo di chiusura del procedimento in esame, in quanto decisorio su diritti, come una sentenza agli effetti della norma costituzionale. Esso, infatti, manca del carattere della definitività potendo essere discusso con l’introduzione di un normale processo a cognizione piena.

La mancanza di indici di definitività del provvedimento emesso a conclusione di un procedimento sommario e, quindi, la possibilità della cognizione piena, è ragione sufficiente ad escludere l’ammissibilità del rimedio del ricorso straordinario e lo può essere, rileva il Collegio, anche al di fuori del caso che si esamina.

Non è senza rilievo, del resto, il dato recente che il legislatore, nel prevedere recentemente un rito sommario di cognizione su diritti in via alternativa alla cognizione piena riguardo a particolari domande (art. 702-bis-702-quater c.p.c.) lo ha fatto con previsione espressa di questa alternatività ed anzi ha assicurato la garanzia dell’appello, anziché quella dell’immediato ricorribilità in Cassazione.

p.4. Raggiunta la conclusione che il procedimento in esame, allorquando vi sia contesa fra le parti, non mette capo ad un provvedimento che, tanto se di accoglimento dell’istanza di liberazione, quanto se di rigetto della stessa, si possa considerare definitivo e particolarmente equiparabile ad una sentenza in senso sostanziale (agli effetti dell’art. Ili, settimo comma, della Costituzione), essendo esso, invece, ridiscutibile con la cognizione piena, vanno a questo punto fatte alcune precisazioni sul modo in cui essa può avere corso.

Ed all’uopo assume rilievo la particolare natura del “diritto” alla liberazione del bene dall’ipoteca. Il contenuto di questo diritto è diretto ad ottenere che il bene ipotecato, acquistato dal terzo (anteriormente al pignoramento, come s’è detto) venga liberato dal peso dell’ipoteca e, quindi, dalla soggezione all’esecuzione da parte del creditore ipotecario. Il modo della liberazione è rappresentato dalla sostituzione, come oggetto della pretesa satisfattiva del creditore, del prezzo o del valore dichiarati ai sensi dell’art. 2890 c.c.. Si tratta, dunque, di un diritto ad evitare l’esecuzione sul bene, sostituendo ad esso il prezzo o il valore. Diritto cui si può contrapporre da parte del creditore il controdiritto di cui all’art. 2891 c.c..

In definitiva, ciò che viene in rilievo è una pretesa a che l’esecuzione da parte del creditore ipotecario avvenga in un modo diverso da quello con il quale egli potrebbe procedere. Si vuole che si proceda no sul bene, ma sul prezzo o valore di cui all’art. 2890 c.c..

Non si tratta di una pretesa incidente sul diritto di procedere all’esecuzione in via privilegiata, cioè sulla base dell’ipoteca (che il terzo acquirente non contesta), ma di una pretesa incidente sul modo con cui detto diritto deve attuarsi.

La particolarità è che il diritto può farsi valere dal terzo acquirente sia contro il creditore ipotecario già munito di titolo esecutivo, sia contro il creditore ipotecario non ancora munito di titolo. In questo secondo caso la pretesa appare incidere sul modo di procedere all’esecuzione sulla base di un diritto di procedere all’esecuzione non ancora sorto.

In tutti i casi ed anche in quest’ultimo, essendo la pretesa alla liberazione, che sia stata accolta o negata, incidente sul modo di procedere all’esecuzione, si deve ritenere che la cognizione piena sull’ingiustizia del provvedimento negativo o positivo della liberazione sia sostanzialmente riconducitele all’ambito della tutela riconosciuta a chi deve subire un’esecuzione, da parte di chi ha diritto di procedervi nei suoi confronti, circa il modo di procedervi.

Ne deriva che la tutela a cognizione piena appare riconducitele all’azione di cui all’art. 617 c.p.c., salvi gli adattamenti imposti dalla particolarità della situazione.

Sulla base di tale premessa, il Collegio osserva quanto segue.

p.4.1. Se la liberazione è stata negata dal giudice nel procedimento ai sensi dell’art. 794 c.p.c. oppure dal presidente del tribunale, che secondo le ipotesi in precedenza formulate, non abbia assicurato l’osservanza del detto procedimento, l’interesse all’attivazione della cognizione piena è, all’evidenza, riferibile all’acquirente.

Il modo in cui essa può attivarsi si può differenziare, a seconda delle varie situazioni che si possono presentare.

Innanzitutto, se alcuno dei creditori iscritti, in quanto munito di titolo esecutivo esigibile (e, com’è noto, ai fini della proposizione dell’istanza di liberazione, i creditori ipotecari possono anche non essere in possesso di titolo esecutivo per far valere la garanzia ipotecaria e, ciò nonostante, possono poi attivarsi, se la liberazione non sta loro bene, con l’espropriazione di cui all’art. 795 c.p.c.), dopo la negazione della liberazione minacci l’esecuzione con il precetto (naturalmente senza le condizioni di cui all’art. 2891 c.c., perché, se il creditore le offrisse il terzo debitore sarebbe in posizione di soggezione), la tutela dell’acquirente si può estrinsecare con l’azione di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., perché egli è soggetto nei cui confronti deve avvenire l’esecuzione (ai sensi degli artt. 602 e ss. c.p.c.), in quanto la garanzia ipotecaria prevale sul suo acquisto. Egli può prospettare l’illegittimità della negazione della liberazione come una contestazione del quomodo del diritto di procedere all’esecuzione (cioè come contestazione avente ad oggetto il procedere non sul bene ma sul prezzo di acquisto e potrà in aggiunta svolgere la domanda di liberazione).

Il giudice competente sull’opposizione, del resto, sarà lo stesso tribunale competente per l’espropriazione, evocato dall’art. 792 c.p.c..

p.4.1.1. Qualora la minaccia dell’esecuzione con il precetto non vi sia ancora stata, il provvedimento con cui la liberazione è stata negata e, quindi, il diritto ad ottenerla si deve considerare azionabile con il procedimento di cognizione piena di cui agli artt. 163 e ss. c.p.c., il quale avrà ad oggetto un’azione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. equivalente a quelle ipotizzate dal primo comma dell’art. 617 c.p.c., qualora il creditore sia in possesso di un titolo esecutivo. In assenza di notificazione del precetto non decorrerà alcun termine a carico del terzo acquirente.

p.4.1.2. Se il creditore non sia in possesso di titolo esecutivo, l’azione sarà esperibile come una normale azione di cognizione piena avente ad oggetto l’accertamento positivo delle condizioni del diritto alla liberazione e l’emanazione (sempre che non venga esercitato il diritto potestativo di cui all’art. 2891 c.c.) del provvedimento di liberazione.

p.4.2. Se il provvedimento di liberazione è stato concesso, la possibilità di agire con la cognizione piena riguarderà il creditore iscritto.

Ma tale possibilità deve tenere conto che l’art. 794 c.p.c. individua l’evoluzione delle vicenda disponendo che si passi all’esecuzione mediante il subprocedimento esecutivo di distribuzione ed allora deve ritenersi che la cognizione piena possa estrinsecarsi nuovamente mediante il normale rimedio esperibile nell’ambito del processo esecutivo in relazione ad un atto dell’esecuzione, cioè l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c. nel termine di cui all’art. 617 c.p.c., naturalmente decorrente dalla conoscenza del provvedimento.

La contestazione sollevata dal creditore riguarda, è vero, il diritto alla conservazione dell’ipoteca, ma in funzione della legittimità dello svolgimento del subprocedimento e, quindi, non deve sorprendere che possa essere svolta anche qui con il rimedio normalmente previsto per il quomodo dell’esecuzione. D’altro canto, la pretesa alla conservazione dell’ipoteca serve in funzione del successivo svolgimento della pretesa esecutiva sul bene oggetto della garanzia e, dunque, in qualche modo è diretta a tutelare il quomodo della futura pretesa esecutiva.

È da avvertire che, nell’ambito del procedimento di opposizione agli atti, il giudice dell’esecuzione, nella fase sommaria, potrà adottare i provvedimenti di cui all’art. 618, secondo comma, c.p.c. e, quindi, sospendere il procedimento di distribuzione e, nell’esercizio di tale potere, poiché l’ordinanza di cancellazione regge la distribuzione, sospenderne l’esecuzione.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2880 c.c. il conservatore potrà considerare il provvedimento di cancellazione emesso nell’ambito del procedimento di cui all’art. 794 c.p.c. come definitivo soltanto una volta decorso il termine per la proposizione dell’opposizione agli atti.

p.5. Per ragioni di completezza va considerata, in fine, l’ipotesi nella quale, a norma dell’art. 2891 c.c. il creditore iscritto, nei quaranta giorni dalla notifica di cui all’articolo precedente, richieda l’espropriazione.

In questo caso, la contestazione dell’acquirente in ordine alla ritualità della richiesta e, quindi, la pretesa a che abbia corso il procedimento di cui agli artt. 792 c.p.c. per la liberazione, può estrinsecarsi avverso il decreto di cui al primo comma dell’art. 795 c.p.c. ed il mezzo di tutela si deve individuare nell’opposizione agli atti ai sensi dell’art. 617 c.p.c..

p.6. Le svolte considerazioni comportano, dunque, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.

Il Collegio rileva che, essendovi soltanto un unico precedente di questa Corte – quello in precedenza ricordato – circa l’esperibilità del rimedio del ricorso straordinario qui invece negata, la vicenda giudicata non determina alcun problema di c.d. overruling (su cui si veda, di recente, Cass. sez. un. n. 15144 del 2011).

Peraltro, non risultando in questa sede che sia stata minacciata l’esecuzione, il richiamo a detta figura anche in astratto non sarebbe nemmeno possibile”.

p.2. In base alla riportata motivazione e segnatamente a quanto in essa esposto al p.4.2. il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.

p.7. Il mutamento di indirizzo rispetto all’unico precedente di questa Corte operato dalle sentenze sopra ricordate, in quanto verificatosi successivamente alla proposizione del ricorso, e la delicatezza delle questioni esaminate giustificano l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione, integrandosi l’esistenza delle gravi ed eccezionali ragioni di cui parla ora il secondo comma dell’art. 92 c.p.c.

 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

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