Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 15 giugno 2015, n. 24922

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TERESI Alfredo – Presidente

Dott. AMORESANO Silvio – rel. Consigliere

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 31/01/2014 della Corte di Appello di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano;

udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen., dott. SALZANO Francesco che ha concluso,chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 31/01/2014 la Corte di Appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale di Urbino, emessa in data 3/12/2010, con la quale (OMISSIS) era stato condannato alla pena di euro 4.500,00 di multa per il reato di cui all’articolo 544 ter c.p..

Preliminarmente la Corte territoriale disattendeva la richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento per escutere i testi indicati dalla difesa nella lista testimoniale ed ammessi, ma poi non escussi per omessa citazione degli stessi.

A parte che l’ordinanza di revoca dei testi ammessi non era stata specificamente censurata se non con riferimento alla negligenza dimostrata dal primo difensore di fiducia, non appariva assolutamente necessaria l’invocata rinnovazione in quanto le circostanze su cui essi avrebbero dovuto deporre o erano irrilevanti ovvero gia’ accertate pacificamente.

Quanto al “merito”, dalle risultanze processuali emergeva come il cane di razza “Setter”, al momento del ritrovamento, presentasse lesioni gravi a cagione del collare elettrico applicatogli.

Era poi da escludere decisamente che altri (anche per il costo dell’apparecchio) potesse avere applicato all’animale il collare, all’insaputa dell’imputato.

2. Ricorre per cassazione il (OMISSIS), denunciando la violazione di legge in relazione all’articolo 175 c.p.p. e articolo 603 c.p.p., commi 1 e 4.

La Corte territoriale non ha tenuto conto, nel rigettare l’appello, che l’imputato non aveva potuto esercitare il diritto di difesa per colpa e negligenza del difensore nominato nel giudizio di primo grado, il quale, oltre a non presentarsi al dibattimento, non aveva neppure provveduto a citare i testi regolarmente ammessi.

La sentenza di condanna era stata quindi emessa sulla base soltanto delle dichiarazioni di testi d’accusa.

Il ricorrente solo con la notifica della sentenza aveva avuto cognizione dell’accaduto.

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’articolo 192 c.p.p., non essendo emersa, con certezza, dal dibattimento la responsabilita’ dell’imputato.

I testi addotti dall’accusa si erano, infatti, limitati ad affermare che le riscontrate lesioni cutanee del cane, verosimilmente, fossero dovute all’utilizzo del collare.

Ne’ si e’ tenuto conto che il ricorrente aveva denunciato la scomparsa dell’animale dieci giorni prima del ritrovamento, per cui non vi era alcuna certezza in ordine alla riconducibilita’ a lui delle lesioni riscontrate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato e va pertanto rigettato.

2. Non c’e’ dubbio che, in un sistema processuale come quello vigente, caratterizzato dalla dialettica delle parti, alle quali compete l’onere di allegare le prove a sostegno delle rispettive richieste, il giudice debba limitarsi a valutare soprattutto la pertinenza della prova al thema decidendum. Ogni diversa valutazione, collegata alla attendibilita’ della prova e quindi al “risultato” della stessa, esula dai poteri del giudice (l’articolo 190 prevede invero che le prove sono ammesse a richiesta di parte) e finirebbe per espropriare le parti del diritto alla prova. Tale diritto alla prova non e’, pero’, “assoluto”, ponendo lo stesso legislatore dei limiti: il giudice e’ tenuto infatti ad escludere le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti (articolo 190 c.p.p., comma 1). Tali principi sono stati reiteratamente ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui “il diritto all’ammissione della prova indicata a discarico sui fatti costituenti oggetto della prova a carico, che l’articolo 495 c.p.p., comma 2 riconosce all’imputato incontra limiti precisi nell’ordinamento processuale, secondo il disposto degli articoli 188, 189 e 190 c.p.p. e, pertanto, deve armonizzarsi con il potere-dovere, attribuito al giudice del dibattimento, di valutare la liceita’ e la rilevanza della prova richiesta, ancorche’ definita decisiva dalla parte, onde escludere quelle vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti” (cfr. Cass. pen. sez. 2 n. 2350 del 21/12/2004).

Per quanto riguarda il giudizio di secondo grado e’ altrettanto indubitabile che il giudice d’appello, dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell’articolo 495 c.p.p., comma 2, debba decidere sull’ammissibilita’ della prova secondo i parametri rigorosi previsti dall’articolo 190 c.p.p., mentre non puo’ avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dal successivo articolo 603 in ordine alla valutazione di ammissibilita’ delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado” (cfr. Cass. sez. 6 n. 761 del 10/10/2006).

Laddove, invece, non venga dedotta la violazione dell’articolo 495 cod. proc. pen., il giudice di appello, in presenza di una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, a norma dell’articolo 603 c.p.p., comma 1 dispone l’integrazione istruttoria solo se ritenga che il processo non possa essere deciso allo stato degli atti.

Nel caso in cui, invece, le nuove prove siano sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice di appello dispone la rinnovazione dell’istruzione nei limiti previsti dall’articolo 495 c.p.p., comma 1 (articolo 603 c.p.p., comma 2). – Cass. pen. Sez. 3 n. 8382 del 22/1/2008; Cass. pen. sez. 1 n. 39663 del 7/10/2010.

3. Non c’e’ dubbio che nella fattispecie in esame si verta nell’ipotesi di cui all’articolo 603, comma 1, in quanto le prove richieste dalla difesa erano state ammesse, ma poi revocate stante l’inerzia della difesa stessa che aveva omesso di citare i testi.

E la Corte territoriale ha, ampiamente e ineccepibilmente, motivato in ordine alle ragioni che rendevano assolutamente non necessario disporre l’integrazione probatoria richiesta, potendo il processo essere definito allo stato degli atti ed essendo, comunque, le circostanze su cui avrebbero dovuto deporre i testi o irrilevanti o gia’ pacificamente accertate (pag. 5 sent.).

Peraltro anche con i motivi di appello non era stata neppure censurata l’ordinanza di revoca dei testi, essendosi fatto soltanto riferimento alla negligenza del precedente difensore di fiducia.

Anche con il ricorso si insiste sul punto, adducendo l’impossibilita’ dell’esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato, per il comportamento negligente del difensore.

Ma l’imputato, regolarmente citato a giudizio (come nel caso di specie) non puo’ lamentare la violazione di tale diritto per la condotta di difensore liberamente scelto (la negligenza del difensore potra’ invero rilevare sul piano civilistico o disciplinare o, eventualmente, anche penale).

Anche in tema di restituzione nel termine ex articolo 175 c.p.p., secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte “Il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di partecipare al processo e di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non e’ idoneo a realizzare l’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che legittimano la restituzione in termini, ne’, in caso di sentenza contumaciale, quella dell’assenza di colpa dell’imputato nel non aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento ai fini della tempestiva impugnazione poiche’ incombe all’imputato l’onere di scegliere un difensore professionalmente valido e di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito” (cfr. ex multis Cass, pen. sez. 2 n. 49179 dell’11.11.2003; conf. Cass. sez. 2 n. 48243 dell’11.11-2003). Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito che “Non costituisce forza maggiore, e quindi non legittima la richiesta di restituzione nel termine per l’impugnazione della sentenza contumaciale, il mancato o inesatto adempimento dell’incarico da parte del difensore di fiducia, consistente nell’omessa informazione dell’avvenuta notifica, quale che sia la causa dell’inadempimento, e quindi se pure essa sia ascrivibile ad un grave stato morboso che ha indotto il difensore all’abbandono dell’attivita’, perche’ in ogni caso incombe sull’imputato l’onere di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito al difensore” (cfr. Cass. sez. 2 n. 12922 del 9.3.2007).

4. Quanto al secondo motivo, la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ritenuto, sulla base di un puntuale esame delle risultanze processuali, che le lesioni riscontrate sul cane fossero attribuibili al collare elettrico che gli era stato applicato e che siffatta “applicazione” fosse riconducibile, senza dubbio alcuno, all’imputato. Era assolutamente insostenibile, invero, che terzi avessero potuto provvedere a tanto, durante il breve periodo di allontanamento dell’animale, tenuto conto anche dei costi dell’apparecchio.

Che poi le gravi lesioni fossero state provocate dal collare emergeva dalla testimonianza della dr.ssa (OMISSIS) e dell’isp. (OMISSIS) (stante la localizzazione delle ferite in prossimita’ degli spuntoni elettrici).

Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di violazione di legge, richiede sostanzialmente una rivisitazione (non consentita in questa sede) delle risultanze processuali (in particolare delle testimonianze (OMISSIS) e (OMISSIS)).

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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