Il testo integrale [1]
La reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa.
Il termine reciprocità non vale, dunque, ad escludere in radice la possibilità della rilevanza penale delle condotte come persecutorie ex art. 612 bis c.p., occorrendo che venga valutato con maggiore attenzione ed oculatezza, quale conseguenza del comportamento di ciascuno, lo stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, o il suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone a lei vicine o la necessità del mutamento delle abitudini di vita. Deve, in ultima analisi, verificarsi se, nel caso della reciprocità degli atti minacciosi, vi sia una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da consentire di qualificarne le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria e le reazioni della vittima come esplicazione di un meccanismo di difesa volto a sopraffare la paura.
Nè può dirsi che la reazione della vittima comporti, comunque, l’assenza dell’evento richiesto dalla norma incriminatrice, non potendosi accettare l’idea di una vittima inerme alla mercé del suo molestatore ed incapace di reagire
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