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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 14 maggio 2013, n. 11573

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO L. Alessandro – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22672-2007 proposto da:

F.LLI R. DI R. L. & C. S.N.C. (OMISSIS) in persona dell’amministratore e legale rappresentante pro tempore Sig. R. L., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato AMENDUNI ASCANIO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTARE X. S.R.L. (OMISSIS) in persona del Curatore Avv. F.L., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NARRACCI VITO giusta procura speciale notarile del Dott. Notaio ROBERTO CARINO in Monopoli del 7/10/2010, rep. n. 126541;

– controricorrente –

e contro

A.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 373/2007 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 03/04/2007, R.G.N. 1602/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/04/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La curatela del fallimento X. srl, dichiarato nel marzo 1999, convenne in giudizio (nel luglio del 2000) V.L. e la società F.lli R. di R. L. & C, per sentir dichiarare inefficace nei suoi confronti, ex art. 2901 cod. civ., l’atto di vendita (del 3 giugno 1999) di un capannone, già adibito a sede aziendale della X. srl. Espose di aver esperito, qualche giorno prima, azione di responsabilità, L. Fall., ex art. 146, nei confronti del V., già amministratore unico della X. srl, chiedendo un risarcimento pari a 2 miliardi di lire. Sostenne che, per la tutela della garanzia patrimoniale di tale accertando credito, sussistevano i requisiti dell’azione revocatoria, avendo il V. venduto, due mesi dopo il fallimento della società che amministrava, l’unico immobile di sua proprietà, prima locato alla stessa società, per pregiudicare le ragioni del fallimento nei suoi confronti; finalità conosciuta dalla società acquirente, con sede dello stabilimento confinante con quello della società fallita.

1.1. Il Tribunale di Bari rigettò la domanda. Ritenne esistente la ragione di credito, esistente il carattere pregiudizievole dell’atto, sussistente la consapevolezza del pregiudizio in capo al debitore venditore. Escluse, invece, la sussistenza dell’elemento soggettivo della consapevolezza in capo al terzo acquirente, richiesto in presenza di atto oneroso successivo al sorgere del credito.

1.2. La Corte di appello di Bari accolse l’impugnazione della curatela e, accogliendo la domanda attorea, dichiarò l’inefficacia della compravendita (sentenza del 3 aprile 2007).

Premesso che su tutti gli altri profili esaminati dal giudice di primo grado si era formato il giudicato interno, ribaltò la decisione di prime cure ritenendo sussistente la consapevolezza della lesione delle ragioni del creditore da parte del terzo acquirente.

2. Avverso la suddetta sentenza, la società acquirente F.lli R. propone ricorso per cassazione con sei motivi.

Resiste con controricorso la curatela del fallimento. Il Curatore dell’eredità giacente di V.L., nei cui confronti era stato riassunto il processo di appello interrotto per la morte del V., ritualmente intimato, non svolge difese.

Motivi della decisione

1. La Corte di merito ha ritenuto formato il giudicato interno sui seguenti profili delibati dal primo giudice: a) titolarità di un credito litigioso in capo alla curatela, antecedente rispetto all’atto dispositivo azionato in revocatoria; b) insorgenza del credito della curatela, derivante dalle violazioni del V., quale amministratore unico della società, dei doveri di corretta amministrazione, e, quindi, all’epoca in cui erano state poste in essere tali attività dannose per la società ed i soci; c) pregiudizio che l’atto dispositivo aveva arrecato al creditore; d) elemento soggettivo della conoscenza del pregiudizio da parte del debitore/venditore V.

Ha, quindi, affrontato il requisito della consapevolezza in capo all’acquirente del pregiudizio arrecato ai creditori del venditore – sul presupposto che, essendo l’atto dispositivo oneroso successivo al sorgere del credito bastasse la consapevolezza – ritenendolo sussistente. A tal fine, richiamando la giurisprudenza di legittimità, ha rilevato che la consapevolezza può ritenersi provata anche sulla base di presunzioni, specie nel caso il debitore disponga con l’atto di tutto il suo patrimonio (unico bene venduto).

Infine, la Corte ha precisato di prescindere da altri elementi, quali il pagamento del prezzo (contanti versati in un momento precedente), rinuncia del venditore alla ipoteca legale, interessi sul prezzo dilazionato, simulazione relativa dell’atto.

2. I primi due motivi di ricorso sono riferiti a questione nuove.

2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ. e dell’art. 295 cod. proc. civ.. Si sostiene che, quando l’azione revocatoria venga esercitata a tutela di un credito in fase di accertamento, debba sospendersi il giudizio per la revocatoria in attesa di quello di accertamento del credito, costituendo quello di accertamento della responsabilità dell’amministratore l’antecedente logico giuridico dell’azione revocatoria.

La sospensione del giudizio che sarebbe pregiudicato, che fu proposta e rigettata con ordinanza dal giudice di primo grado, non è neanche allegata come riproposta nel giudizio di appello; con conseguente inammissibilità della questione in sede di legittimità.

Peraltro, la giurisprudenza addotta a sostegno della propria tesi dalla società ricorrente è stata, da tempo, superata dalle Sez. Un. con un contrapposto principio, oramai consolidato.

Si è affermato, infatti che “Poichè anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore, il giudizio promosso con l’indicata azione non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell’art. 295 cod. proc. civ. per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico – giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito.” (Sez. Un. 18 maggio 2004, n.9440).

2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 3 nella parte in cui esclude dagli atti dispositivi revocabili quelli eseguiti in adempimento di un debito scaduto.

Si assume che l’atto di disposizione in adempimento di un preliminare di vendita – la cui esistenza non è stata mai contestata a fronte della esplicita menzione in causa (a proposito del pagamento del prezzo in momenti differenti) – sia escluso dagli atti revocabili e che la sussistenza di tale condizione sia rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio, integrando una eccezione in senso lato poichè la legge non prevede espressamente che sia rilevabile a istanza di parte. La tematica del preliminare è ripresa nel quinto motivo, come profilo di omessa motivazione.

2.2.1. Il motivo è inammissibile.

L’applicabilità dell’art. 2901 c.c., comma 3 è rimasta estranea all’intero processo di merito, come emerge in maniera inequivocabile dalla sentenza.

La novità della questione di diritto proposta emerge dalla stessa conformazione della questione di diritto posta dal motivo, che, nel palese tentativo di superare l’inammissibilità per novità, prospetta la rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado, allegando di aver richiamato il preliminare a proposito del pagamento del prezzo in momenti differenti. D’altra parte, è palese che l’eccezione di aver stipulato l’atto revocando in adempimento di un preliminare costituisca la prima difesa del convenuto in revocatoria.

3. I motivi di ricorso dal terzo al sesto concernono le argomentazioni della sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente la consapevolezza del pregiudizio in capo al terzo acquirente. Il quarto, il quinto e il sesto, sono gradatamente subordinati rispetto al mancato accoglimento del terzo.

4. I motivi quarto e sesto sono inammissibili.

4.1. Con in quarto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 in relazione all’art. 2727 cod. civ., richiedendosi, con il quesito, se possano ammettersi, ai fini della prova per presunzioni, solo presunzioni precise e concordanti o esclusivamente presunzioni gravi, precise e concordanti.

Il quesito, con il quale si conclude il motivo, è astratto e generico, in violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis; manca, infatti, per quel che sembra di capire, ogni riferimento alle presunzioni utilizzate dal giudice di merito senza che fossero anche gravi.

4.2. Con il sesto motivo, si denuncia omessa motivazione rispetto a fatti controversi individuati nella rinuncia da parte del venditore all’ipoteca legale e agli interessi compensativi sulla parte del prezzo dilazionata.

La censura è non conferente rispetto alle argomentazioni della decisione impugnata, la quale ha espressamente escluso la valutazione di tali fatti nel pervenire a ritenere esistente la consapevolezza in capo al terzo acquirente.

5. Il terzo e quinto motivo sono strettamente connessi.

6. In conclusione, il ricorso va rigettato. Non avendo il curatore dell’eredità giacente svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia sulle spese processuali nei confronti dello stesso.

Le spese – liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al D.M. n. 140 del 2012 – seguono la soccombenza nei confronti della curatela del fallimento.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della curatela del fallimento, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2013.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2013.

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