cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 14 aprile 2015, n. 15235

Ritenuto in fatto

1. Il sig. A. P. ricorre per l’annullamento della sentenza dei 12/12/2013 con cui la Corte di appello di Lecce, confermando la decisione di primo grado impugnata dall’imputato stesso, ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui all’art. 112, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, accertato in Copertino il 05/01/2007, e ha mantenuto ferma la confisca di una minimoto a due ruote e di 69 minimoto a quattro ruote importate dalla Cina e ritenute pericolose per la salute e la sicurezza del consumatore per vizi di costruzione.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., errata applicazione della norma incriminatrice.
Deduce, allo scopo, che, ad eccezione della minimoto a due ruote e delle quattro minimoto a quattro ruote, esposte nel proprio punto vendita, tutte le altre erano detenute in un deposito, in attesa di essere omologate e, quindi, di essere messe in sicurezza. La sussistenza del reato avrebbe dovuto perciò essere esclusa per queste ultime moto, non essendo irragionevole ritenere, secondo una ricostruzione alternativa della vicenda, che le stesse, alla luce dei criteri stabiliti dalla «Guida all’attuazione delle direttive fondate sul nuovo approccio e sull’approccio globale», non siano mai state immesse sul mercato, perché detenute nel magazzino dei fabbricante o del suo rappresentante.
1.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., errata applicazione dell’art. 240, comma 2, n. 2), cod. pen., non avendo i giudici di merito considerato che le minimoto detenute nel magazzino avrebbero potuto essere rese conformi agli standards di sicurezza europei.

Considerato in diritto

2. Il ricorso è inammissibile perché palesemente infondato.
3. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, non contestata dall’imputato, questi deteneva le ulteriori 65 minimoto a quattro ruote in un deposito non distante dal punto vendita ove erano esposte per la vendita le altre 4 minimoto e la minimoto a due ruote, anch’esse non omologate.
Il che, secondo la Corte di appello, rende plausibile l’idea che oggetto materiale della vendita fossero proprio le minimoto detenute nel magazzino, del tutto identiche, del resto, a quelle esposte nel punto vendita e offerte alla visione dei potenziali acquirenti.
Sotto altro profilo, affermano i giudici distrettuali, non può nemmeno escludersi che le moto detenute nel magazzino fossero trasferite presso il non distante punto vendita.
Tutto ciò, concludono, impedisce di affermare l’evidente innocenza dell’imputato.
4. L’imputato propone una lettura alternativa del medesimo compendio probatorio e imputa alla Corte di appello di aver prediletto la strada accusatoria piuttosto che quella assolutoria, riproponendo, anche in questa sede, la richiesta di assoluzione quanto meno ai sensi dell’art. 530, cpv., cod. proc. pen.
5. E’ evidente l’errore di diritto in cui cade l’imputato.
Correttamente i giudici distrettuali richiamano l’autorevole insegnamento di questa Suprema Corte secondo il quale la contraddittorietà o comunque l’insufficienza della prova d’accusa mal si conciliano con il concetto di «evidenza» della prova dell’innocenza (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273).
E’ lo stesso imputato a fornire la chiave di lettura che rende inammissibile il ricorso laddove si lamenta della mancata valorizzazione della lettura alternativa della vicenda, secondo la quale esistevano margini per ritenere che le minimoto detenute nel magazzino non potessero considerarsi immesse nel mercato.
In punto di diritto, peraltro, osserva la Suprema Corte che ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, per «prodotto» deve intendersi «qualsiasi prodotto destinato al consumatore (…) fornito o reso disponibile a titolo oneroso o gratuito nell’ambito di un’attività commerciale».
La definizione della condotta di «immissione sul mercato» di un prodotto pericoloso deve essere coerentemente interpretata alla luce del suo oggetto (il prodotto, appunto), sicché deve intendersi immesso sul mercato il prodotto destinato alla clientela e reso disponibile nell’ambito dell’attività commerciale.
Nel caso in esame, come visto, i giudici territoriali hanno ritenuto che la detenzione nel magazzino delle minimoto identiche a quelle esposte per la vendita comportasse una concreta disponibilità del prodotto a favore della clientela interessata.
Peraltro l’art. 112, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, si pone in continuità con l’art. 11, d.lgs. 21 maggio 2004, n. 172 “Attuazione della direttiva 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti” (e prima ancora con l’art. 10, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 115, recante anch’esso norme di attuazione della medesima direttiva), sicché la condotta di «immissione sul mercato» può essere interpretata anche alla luce dei criteri elaborati dalla cd. “Guida blu”, documento redatto dalla Commissione Europea e destinato agli Stati membri e a tutti gli organismi e operatori del settore a titolo informativo circa le disposizioni intese a garantire la libera circolazione del prodotti muniti della marcatura CE, nonché alle omologhe definizioni contenute nelle seguenti direttive, in detta Guida espressamente richiamate:
a) direttiva dei Parlamento Europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei giocattoli (direttiva 18/06/2009, n. 2009/48/CE, art. 3, comma 1, n. 2: ««immissione sul mercato»: la prima messa a disposizione di un giocattolo sul mercato comunitario»), attuata in Italia con d.lgs. 11/04/2011, n. 54, che all’art. 1, lett. b), fornisce l’identica definizione;
b) direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai dispositivi medico-diagnostici in vitro (direttiva 27/10/1998, 98/79/CE, art. 1, comma 2, lett. i: «”immissione in commercio”: la prima messa a disposizione a titolo oneroso o gratuito di dispositivi, diversi dai dispositivi destinati alla valutazione
delle prestazioni, in vista della distribuzione e/o utilizzazione sul mercato comunitario, indipendentemente dal fatto che si tratti di dispositivi nuovi o rimessi a nuovo»), attuata in Italia con d.lgs. 08/09/2000, n. 332 che, all’art. 1, comma 1, lett. i), fornisce l’identica definizione;
c) direttiva del Consiglio relativa all’armonizzazione delle disposizioni relative all’immissione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile (direttiva 05/04/1993, n. 93/15/CE, art. 1, comma 4: «”immissione sul mercato”: qualsiasi prima messa a disposizione, a titolo gratuito o oneroso, di esplosivi di cui alla presente direttiva in vista di una loro distribuzione e/o utilizzazione nel mercato comunitario»), oggi abrogata e sostituita dalla direttiva 26/02/2014, n. 2014/28/UE (art. 2, n. 8: ««immissione sul mercato»: la prima messa a disposizione sul mercato dell’Unione di un esplosivo»).
Un prodotto, dunque, deve considerarsi immesso sul mercato comunitario quando viene reso disponibile per la prima volta: ciò avviene quando un prodotto fuoriesce dalla fase di fabbricazione al fine di essere distribuito utilizzato sul
mercato comunitario. L’immissione sul mercato può essere esclusa solo quando ricorrono congiuntamente le due seguenti condizioni: a) il prodotto sia detenuto nei magazzini dei fabbricante o dal suo rappresentante autorizzato stabilito nella Comunità Europea; b) il prodotto non sia ancora disponibile nella Comunità stessa (Guida all’attuazione delle direttive, paragrafo 2.3.1).
Condizioni che, come correttamente evidenziato dai giudici distrettuali, incontestabilmente non ricorrono nel caso di specie poiché il prodotto era stato comunque reso disponibile in Italia nei termini già esposti.
6. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso posto che la possibilità di evitare la confisca del bene mediante la sua regolarizzazione è prevista solo se la cosa appartiene a persona estranea al reato.
7. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese dei procedimento nonché dei versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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