Cassazione 11

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 12 ottobre 2015, n. 40765

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TERESI Alfredo – Presidente

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 05/05/2014 della Corte di appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Aldo Aceto;

udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Dr. Delehaye Enrico, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. Il sig. (OMISSIS) ricorre per l’annullamento della sentenza del 05/05/2014 della Corte di appello di Napoli che ha confermato la condanna alla pena di sedici anni di reclusione ed euro 160.000,00 di multa inflitta, all’esito di giudizio abbreviato, il 07/08/2013 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli per il reato di cui all’articolo 81 cpv. c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 1 bis, articolo 80, comma 2, (detenzione a fine di cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, in quantita’ anche ingenti), commesso in (OMISSIS), con recidiva reiterata e specifica.

1.1.Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), violazione dell’articolo 63 c.p., comma 4, e vizio di motivazione sul punto.

Deduce, al riguardo, che la Corte di appello ha omesso di affrontare la questione relativa all’esercizio della discrezionalita’ prevista dall’articolo 63 c.p., comma 4, secondo cui, in caso di concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale, si applica solo la pena stabilita per il reato piu’ grave con facolta’, per il giudice, di aumentarla.

1.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), violazione degli articoli 133 e 62 bis c.p., e carenza di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla doppia valutazione dei medesimi fatti ai fini della quantificazione della pena e del suo aggravamento.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

2. Il ricorso e’ fondato.

3. Il G.i.p. di Napoli, nel determinare il trattamento sanzionatorio complessivo, ha quantificato la pena base nella misura di dodici anni di reclusione ed euro 120.000,00 di multa, l’ha aumentata di due terzi (fino a venti anni di reclusione ed euro 200.000,00 di multa) in conseguenza della ritenuta recidiva di cui all’articolo 99 c.p., comma 5, l’ha ulteriormente aumentata fino a ventiquattro anni di reclusione ed euro 240.000,00 di multa in applicazione della circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80 cpv. e l’ha definitivamente ridotta per il rito nei termini indicati.

3.1. In sede di appello l’imputato aveva contestato esclusivamente l’eccessiva durezza del trattamento sanzionatorio sotto i vari profili della eccessiva quantificazione della pena base, del doppio aumento per il concorso delle circostanze aggravanti ad effetto speciale e della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; aveva conseguentemente chiesto il contenimento nel minimo sia della pena base che dell’aumento per la recidiva, che fosse escluso l’aumento ai sensi dell’articolo 63 c.p., comma 4, che fossero concesse le circostanze attenuanti generiche.

3.2.Con motivi aggiunti aveva effettuato la medesime richieste e che fosse altresi’ esclusa la recidiva.

3.3.La Corte di appello, ritenuta correttamente la assoluta novita’ della richiesta di esclusione della recidiva, ha rilevato, quanto all’applicazione della circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, che l’aumento inflitto dal G.i.p. era stato contenuto in misura inferiore a un terzo della pena.

3.4. La questione devoluta, tuttavia, non riguardava tanto l’entita’ dell’aumento di pena applicato in conseguenza della citata circostanza aggravante, quanto – e piu’ radicalmente – la possibilita’ stessa di apportare tale aumento che, come detto, non e’ obbligatorio ma facoltativo.

3.5. Il G.i.p. aveva ulteriormente aggravato la pena ai sensi dell’articolo 63 c.p., comma 4, senza spiegare le ragioni dell’esercizio del potere discrezionale concessogli dalla legge, ne’ lo ha fatto la Corte di appello che, pur espressamente compulsata, ha confermato la condanna inflitta in primo grado giustificandola nei termini sopra indicato.

3.6.Cosi’ operando, pero’, la Corte territoriale non ha tenuto conto del principio (che va qui ribadito) secondo il quale in tema di concorso di circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di circostanze ad effetto speciale, incombe uno specifico dovere di motivazione al giudice che, dopo aver quantificato la pena relativa alla circostanza piu’ grave, ritenga di procedere ad un ulteriore aumento nella misura massima consentita dall’articolo 63 c.p., comma 4, (Sez. 6, n. 18748 del 05/02/2014, Prinno, Rv. 259447). Ove il giudice di primo grado abbia immotivatamente aumentato la pena ai sensi dell’articolo 63 c.p., comma 4, incorre nel vizio di mancanza di motivazione il giudice dell’appello che, espressamente investito delle relativa questione, non la affronti.

3.7.Sono fondate, nei termini che seguono, le doglianze relative alla quantificazione della pena base e dei relativi aumenti; non lo sono quelle relative alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

3.8.Il G.i.p. aveva escluso che la confessione, resa in costanza di evidenza della prova, potesse giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche, tenuto altresi’ conto dei numerosi precedenti specifici. Quanto alla dosimetria della pena il Giudice aveva valorizzato la gravita’ oggettiva dei fatti (sotto il profilo dell’elevatissimo quantitativo di stupefacente detenuto a titolo di custodia, pari a 76 kg. di cocaina, e del suo grado di purezza), il ruolo fiduciario che tale incarico esprimeva (svolto in una piazza di spaccio e con affidamento di una ingente quantita’ di danaro), i precedenti specifici dell’imputato.

3.9. La Corte di appello ha condiviso il giudizio di congruita’ della pena valorizzando anch’essa il notevole quantitativo di sostanza stupefacente e di principio attivo da essa ricavabile (pari a gr. 68.527,68), l’entita’ della somma di danaro posseduta dall’imputato (euro 719.120,00), la sua contiguita’ con gli ambienti criminali, ed ha confermato la non meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche per una confessione ritenuta ininfluente e in considerazione dei precedenti specifici.

3.10.L’imputato eccepisce che l’ingente quantitativo della sostanza detenuta e i precedenti penali sono stati valutati due volte a suo danno: una prima volta a fini di dosimetria della pena-base, una seconda volta per l’applicazione delle relative circostanze aggravanti.

3.11.Da epoca risalente questa Suprema Corte ha sostenuto che il principio del cosiddetto “ne bis in idem” sostanziale, valido nell’ambito di operativita’ dell’articolo 15 c.p., non puo’ essere invocato per negare che il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, possa utilizzare piu’ volte lo stesso fattore per giustificare le scelte operate in ordine agli elementi la cui determinazione e’ affidata al suo prudente apprezzamento, purche’ il fattore stesso presenti un significato polivalente. Opera pertanto legittimamente il giudice che, attraverso il riferimento alla gravita’ del fatto, neghi la concessione delle attenuanti generiche e nel contempo determini in misura superiore al minimo l’aumento per la continuazione; ovvero, tramite il riferimento ai precedenti penali, neghi le predette attenuanti ed eserciti al tempo stesso in senso sfavorevole la facolta’ di ritenere o meno la recidiva, applicando l’aumento di pena corrispondente (Sez. 1, n. 8857 del 07/02/1977, Lippolis, Rv. 136409; cfr., altresi’, Sez. 1, n. 10140 del 13/10/1981, Sola, Rv. 150936; Sez. 1, n. 1376 del 28/10/1997, Brembilla, Rv. 209841; Sez. 2, n. 45206 del 09/11/2007, Grasso, Rv. 238511; Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013, Testa, Rv. 257425).

3.12.Diverso e’ invece il tema relativo alla doppia valutazione dello stesso elemento a fini di dosimetria della pena ai sensi dell’articolo 133 c.p., e di applicazione della circostanza aggravante o attenuante.

3.13.Dal combinato disposto di cui all’articolo 63 c.p., commi 1, e articolo 68 c.p., si ricava il principio secondo il quale un fatto che integra una specifica circostanza tipizzata (attenuante o aggravante che sia) non puo’ essere valutato una prima volta ai fini della quantificazione delle pena ai sensi dell’articolo 133 c.p., e poi ai fini della sua attenuazione o aggravamento, ancor piu’ se in termini inferiori al minimo o superiori al massimo edittale (in termini, per quanto riguarda pero’ le sole circostanze attenuanti generiche, Sez. 6, n. 20818 del 23/01/2002, Baia, Rv. 222020; Sez. 1, n. 7956 del 28/01/1982, Ciliberti, Rv. 155067; Sez. 1, n. 2901 del 20/01/1983, Del Vecchio, Rv. 158299; Sez. 3, n. 985, deo 18/10/1983, De Crescenzo, Rv. 162470; Sez. 2, n. 14765 del 01/06/1978, Moroni).

3.14.Non si condivide, pertanto, l’opposto (ma risalente) orientamento per il quale l’articolo 133 c.p., comma 2, n. 2, prevede espressamente la possibilita’ di trarre dalla recidiva utili elementi per la migliore individuazione della pena, per cui deve ritenersi pienamente legittimo per il giudice fare riferimento agli stessi precedenti penali per l’espressione di due autonomi giudizi: la determinazione della pena base da infliggere per il reato e la determinazione dell’aumento di pena per la recidiva (Sez. 2, n. 410 del 24/02/1970, Zocchi, Rv. 117014; Sez. 6, n. 7669 del 25/06/1973, Petrini, Rv. 125351; Sez. 5, n. 15410 del 15/11/1977, Faure, Rv. 137396).

3.15.Tale orientamento non considera che a norma dell’articolo 63 c.p., comma 1, l’aumento o la diminuzione della pena previsti da circostanze tipizzate presuppongono una base di calcolo che esclude dai suoi elementi di valutazione quello stesso fatto che, appunto, integrando la circostanza aggraverebbe o attenuerebbe la pena.

3.16. Sicche’, per rimanere al caso di specie, l’ingente quantitativo della sostanza detenuta e i precedenti penali specifici non possono essere addebitati all’imputato una prima volta a fini di quantificazione della pena-base e una seconda volta ai fini del suo (per di piu’ consistente) aggravamento.

3.17. Poiche’ si tratta di circostanze che possono essere ritenute prevalenti su eventuali circostanze attenuanti a maggior ragione possono esserlo per escluderla concessione delle circostanze attenuanti generiche.

3.18. Correttamente, peraltro, la Corte di appello ha ritenuto di non riconoscere alla confessione resa dall’imputato in costanza di ineluttabilita’ probatoria del quadro accusatorio valenza attenuante del trattamento sanzionatorio (Sez. 6, n. 6934 del 28/02/1991, Cely, Rv. 187671).

3.19. Ne consegue che, fermo il giudizio di irrevocabile insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sul trattamento sanzionatorio.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.

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