Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 12 novembre 2013, n. 25415
Svolgimento del processo
1. S..B.S. e M..S. ricorrono per cassazione, con due motivi, esplicati da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Trento (del 12 luglio 2007), resa in controversia relativa al danno da sinistro stradale, nel quale aveva perduto la vita G..S. , marito e padre degli attuali ricorrenti.
1.1. Ai fini che ancora interessano nella presente controversia, la Corte di merito, decidendo l’impugnazione principale proposta da M..S. e l’impugnazione incidentale proposta dalla Fondiaria Sai, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminò la quantificazione del danno, diminuendo il risarcimento riconosciuto alla moglie; confermò la liquidazione del danno riconosciuta al figlio.
2. La Fondiaria Sai Spa si difende con controricorso, esplicato da memoria.
Le altre parti, ritualmente intimate, non svolgono difese.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso concerne il danno liquidato alla moglie.
La Corte di merito ha ritenuto ammissibile il documento attestante la separazione personale tra la vittima e la moglie, senza assegno di mantenimento, prodotto dalla Assicurazione con l’appello incidentale, sul presupposto che non ne avesse avuto prima conoscenza. Richiamando l’art. 345 cod. proc. civ., lo ha ritenuto indispensabile ai fini dell’accertamento della verità materiale, offrendo un contributo decisivo all’accertamento della stessa.
Il tribunale aveva liquidato alla moglie, per il danno patrimoniale e non, circa 240 mila Euro. La Corte ha rideterminato la quantificazione del danno, riconoscendo circa 15 mila Euro per quello non patrimoniale e circa 100 mila Euro per quello patrimoniale. Ha ottenuto quest’ultimo, aumentando, rispetto al giudice di primo grado, la quota della retribuzione del defunto che questi avrebbe trattenuto per sé in considerazione dell’avvenuta separazione.
2. Nel primo motivo si deduce, per un primo profilo, la violazione degli artt. 345, 99, 101, 112 cod. proc. civ..
Con il quesito di diritto, che conclude il motivo, la ricorrente censura la sentenza per aver ammesso, in appello, il documento attestante la separazione personale dei coniugi, prospettando la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., per essere stata proposta una “eccezione estintiva del credito… derivante dagli obblighi coniugali”, mediante prova documentale, e conseguente violazione dei principi di disponibilità delle prove, del contraddittorio, della necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
2.1. La censura è priva di pregio.
2.1.1. L’art. 345 cod. proc. civ., nella formulazione applicabile ratione temporis, come modificata dalla legge n. 353 del 1990 (essendo il processo iniziato nel 2002), vieta nuove eccezioni, che non siano rilevabili d’ufficio e nuovi mezzi di prova. Pacificamente, per effetto del diritto vivente, consolidatosi a partire dall’intervento delle Sezioni Unite del 2005 e poi fatto proprio dalla riforma del 2009, tra i nuovi mezzi di prova vietati vanno compresi i documenti; questi ultimi, come i primi, possono essere ammessi quando sussistono determinati requisiti, consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione (Sez. Un. 20 aprile 2005, n. 8203).
La Corte di merito non ha violato la norma in argomento.
2.1.2 In primo luogo, va escluso che la deduzione, per la prima volta con l’atto di appello (incidentale) da parte della Assicurazione, dello stato di separazione personale del coniuge che ha diritto al risarcimento del danno per la morte del marito, causata dal fatto illecito del terzo, sia configurabile come “eccezione estintiva… del credito derivante dagli obblighi coniugali”.
Nella prospettazione del ricorso è ravvisabile una erronea commistione tra due diverse fonti di obbligazione, e dei diritti che ne derivano, nettamente distinte nell’ordinamento positivo: gli obblighi coniugali, che trovano la loro fonte nel matrimonio e nella legge, e l’obbligazione di risarcire il danno nascente dal fatto illecito. Obbligazione, quest’ultima, avente per oggetto una somma di denaro, che rappresenta l’equivalente monetario del danno cagionato, con funzione restitutoria, di “ricostituzione, restaurazione” del “patrimonio”, in senso ampio, leso dal danno ingiusto, con la conseguenza che il risarcimento deve eguagliare il valore effettivo dell’utilità perduta.
In questa sede è irrilevante stabilire se, rispetto al credito derivante dagli obblighi coniugali, richiamato dalla ricorrente, possa configurarsi, e a quali condizioni, una eccezione in senso stretto nella deduzione dello stato di separazione personale da parte del convenuto.
Certamente non può configurarsi una “eccezione estintiva del diritto vantato” nella deduzione dello status di separato del danneggiato, da parte dell’assicurazione, convenuta dal danneggiato quale assicuratrice del responsabile civile del danno, patrimoniale e non, causato dalla morte del congiunto.
Invero, lo status di separato del danneggiato secondario, da fatto illecito del terzo, conforma lo stesso diritto al risarcimento, nella sua componente patrimoniale e non, e, quindi, rispetto al pretium doloris, alla lesione del rapporto parentale, al pregiudizio subito per effetto del venir meno di prestazioni patrimoniali del coniuge erogabili in vita dal congiunto in relazione ai bisogni della famiglia e della prole.
Ne consegue che, se è vero che lo status di separato – connettendosi alla sua non definitività e alla possibile ripresa della comunione familiare, oltre che, comunque, alla pregressa esistenza di un rapporto di coniugio nei suoi aspetti spirituali e materiali, e alla eventuale esistenza di figli – non è in astratto incompatibile con la posizione di danneggiato secondario (cfr. rispetto al danno non patrimoniale, Cass. 17 gennaio 2013, n. 1025; Cass. 17 luglio 2002, n. 10393); è altrettanto vero che, nella richiesta del danno, quale “danno conseguenza” subito da un danneggiato secondario, l’allegazione e prova dello status di separato è essenziale e caratterizza la stessa domanda dei danni patiti. Allora, se è l’attore che avrebbe dovuto allegare il proprio stato di separazione coniugale nel delimitare natura e entità dei danni conseguenti alla sopravvenuta morte del coniuge, qualora non lo abbia fatto e abbia richiesto la liquidazione del danno quale coniuge – a prescindere dai profili di lealtà processuale – certamente non può configurarsi quale eccezione in senso proprio l’allegazione di tale status da parte dell’obbligato al risarcimento; trattandosi, piuttosto, di mera allegazione difensiva per negare l’esistenza dei fatti a fondamento della domanda; per delimitare i confini di quel risarcimento, chiesto, invece, facendo valere un rapporto matrimoniale nel pieno vigore.
2.1.3. Fermo restando che la deduzione da parte dell’obbligato dello stato di separazione del danneggiato non integra una eccezione, resta da esaminare se la produzione in appello del documento attestante la stessa sia stata ammessa dalla Corte di merito nel rispetto dei limiti di deroga all’ammissione di nuovi documenti, che la giurisprudenza di legittimità ha stabilito.
Come detto, la Corte di merito ha ritenuto ammissibile il documento perché indispensabile ai fini dell’accertamento della verità materiale, offrendo un contributo decisivo all’accertamento della stessa.
Ha rispettato, quindi, l’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., che, nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi compresi i documenti, consente al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili, perché dotate di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia (da ultimo Cass. 5 dicembre 2011, n. 26020).
2.2. Resta da aggiungere che nessun pregio ha la prospettata violazione del contraddittorio e del diritto di difendersi, per non essere stata data alla danneggiata la possibilità di difendersi, dimostrando la ripresa della convivenza, la regolamentazione di fatto dei beni in comunione, il sostentamento del figlio da parte del padre. Infatti, la ricorrente neanche allega (rinviando ai relativi atti processuali) di aver fatto richieste istruttorie in tal senso in appello.
3. Con lo stesso primo motivo, si denuncia, inoltre, omessa motivazione in ordine alla determinazione, al fine di determinare il quantum di risarcimento patrimoniale spettante alla moglie, della parte del reddito del defunto che questi avrebbe trattenuto per le proprie esigenze di vita.
3.1. La censura va rigettata.
La Corte ha sinteticamente motivato. Infatti, per aumentare la quota della retribuzione del defunto che questi avrebbe ipoteticamente trattenuto per sé in considerazione dell’avvenuta separazione, diminuendo, di conseguenza, il risarcimento del danno patrimoniale spettante alla moglie per effetto del decesso, la Corte ha argomentato nel senso che, essendo separato, il marito avrebbe dovuto far fronte direttamente a tutte le proprie esigenze, senza poter fare affidamento su interventi del nucleo familiare, anche considerando l’autonomia finanziaria della moglie.
4. Il secondo motivo di ricorso concerne quella parte della sentenza che ha confermato la quantificazione del danno fatta dal giudice di primo grado rispetto al figlio.
4.1. La Corte di merito ha rilevato che, riconoscendo 100 mila Euro, il primo giudice aveva aumentato i parametri base di liquidazione secondo le tabelle in uso per tener conto, oltre che del danno non patrimoniale transeunte, del danno non patrimoniale diverso dalla sofferenza, riferibile alla violenta sopravvenuta soluzione dei rapporti di convivenza con il padre; ha, quindi, escluso l’ulteriore risarcibilità della generica categoria del danno esistenziale. Inoltre, in ragione dell’aumento effettuato in primo grado rispetto ai parametri base delle tabelle, ha ritenuto che l’importo liquidato non potesse essere, comunque, aumentato.
4.2. Il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2043 e 2059 cod. civ., per non essere stato autonomamente valutato e liquidato il danno esistenziale, e per omessa motivazione sulla non adeguatezza nella quantificazione del danno morale.
4.2.1. Il motivo va rigettato sotto entrambi i profili.
Sotto il primo profilo, la Corte ha correttamente escluso l’autonoma risarcibilità del danno esistenziale (Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 269729; Cass. 19 febbraio 2013, n. 4043) e, in concreto, ha spiegato che il giudice di primo grado – aumentando i parametri base delle tabelle – aveva già riconosciuto, oltre al danno quale pecunia doloris, anche il danno non patrimoniale derivante dalla interruzione dei rapporti con il padre.
Sotto il secondo profilo, proprio sulla base della quantificazione operata in concreto dal primo giudice, la Corte di merito ha motivato quanto all’adeguatezza del danno riconosciuto al figlio.
5. In conclusione, i motivi di ricorso sono infondati e il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m. n. 140 del 2012, a favore della Assicurazione controricorrente.
Non avendo gli altri intimati svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della società di assicurazione controricorrente, delle spese processuali dei giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorali, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
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