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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 10 ottobre 2014, n. 21401

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28185-2008 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale notarile del Dott. Notaio (OMISSIS) in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

QUESTURA FIRENZE, in persona del Questore p.t., MINISTERO INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende per legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1340/2007 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 10/10/2007 R.G.N. 2477/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/05/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il sig. (OMISSIS) nel 2002 convenne dinanzi al Tribunale di Firenze il Ministero dell’Interno, esponendo che:
-) essendo cittadino straniero extracomunitario, ed avendo in Italia una moglie in stato interessante, aveva chiesto un permesso di soggiorno temporaneo per assistere la propria coniuge;
-) il 27.4.2001 la Questura di Firenze gli rilascio’ il permesso richiesto, ma col divieto di svolgere in Italia attivita’ lavorativa;
-) tale provvedimento, nella parte in cui imponeva il divieto di lavoro, era stato annullato dal Tribunale di Firenze con provvedimento del 3.8.2001, passato in giudicato;
-) in conseguenza dell’illegittimo divieto di lavoro apposto al permesso di soggiorno, aveva dovuto lasciare l’Italia, nonostante gli fosse stato offerto un lavoro.
Concludeva pertanto chiedendo la condanna dell’amministrazione convenuta al risarcimento del danno patrimoniale non patrimoniale, quantificato in circa 18.000 Euro.
2. Con sentenza 14.6.2005 n. 2390 il Tribunale di Firenze accolse la domanda, e condanno’ l’amministrazione al pagamento in favore del sig. (OMISSIS) della somma di euro 35.000.
3. La sentenza, impugnata dall’amministrazione soccombente, venne riformata dalla Corte d’appello di Firenze, la quale con sentenza 10.10.2007 n. 1340 rigetto’ la domanda di risarcimento, ritenendo che:
(a) sulla illegittimita’ del provvedimento amministrativo che si assumeva fonte del danno non si era formato il giudicato, perche’ l’impugnazione di esso avvenne in un procedimento di volontaria giurisdizione;
(b) il danno non patrimoniale non era risarcibile, non sussistendo alcun reato;
(c) quanto al danno patrimoniale, l’attore non ne aveva provato ne’ l’entita’, ne’ la derivazione causale dalla condotta degli organi dell’amministrazione.
4. Tale sentenza viene ora impugnata per cassazione dal sig. (OMISSIS), sulla base di quattro motivi.
Ha resistito il Ministero dell’interno con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Ordine delle questioni.
1.1. Secondo l’ordine logico imposto dall’articolo 276 c.p.c., comma 2.
Vanno esaminati per primi i motivi secondo, terzo e quarto del ricorso principale, con i quali viene impugnata la sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso l’esistenza d’un danno risarcibile.
Ove, infatti, tali motivi risultassero infondati, diverrebbe superfluo esaminare la sussistenza d’una colpa civile in capo all’amministrazione, e di conseguenza l’esistenza o meno d’un giudicato in merito alla illegittimita’ del provvedimento amministrativo che si assume fonte di danno.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Espone, al riguardo, che la Corte avrebbe omesso di motivare la propria statuizione di inesistenza del nesso causale tra il divieto di lavorare, imposto dal provvedimento amministrativo che si assume illegittimo, e le conseguenze dannose da esso derivate, in primo luogo l’espatrio dall’Italia del ricorrente.
2.2. Il motivo e’ inammissibile.
Il vizio di omessa motivazione ricorre quando non sia possibile in alcun modo ricostruire l’iter logico seguito dal giudice di merito. Non e’ questo il nostro caso, nel quale una motivazione esiste pur sempre: la Corte d’appello ha infatti spiegato che l’attore, avendo ottenuto l’annullamento del diniego illegittimo di lavorare sin dal 3.8.2001, non era piu’ necessitato a lasciare l’Italia, ed anche in pendenza di reclamo avverso il relativo provvedimento giurisdizionale ben avrebbe potuto domandare al giudice competente la dichiarazione di efficacia immediata della decisione (cosi’ la sentenza, pag. 6, quinto capoverso). Cosi’ argomentando, la Corte d’appello ha mostrato di ritenere che fu la scelta del ricorrente, non necessitata, di allontanarsi dall’Italia a porsi quale causa prima del danno.
Quella appena riassunta e’ comunque una motivazione e non e’ irrazionale, ne’ il ricorrente spiega da quali fonti di prova sarebbe contrastata.
Stabilire, poi, se sia anche una motivazione condivisibile nel merito, e’ questione che sfugge al sindacato di legittimita’.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Si assume violato l’articolo 2059 c.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha erroneamente negato la risarcibilita’ nel caso di specie del danno non patrimoniale, sul presupposto che non ricorressero i “casi previsti dalla legge” di cui all’articolo 2059 c.c. Tra questi casi, infatti, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c. debbono farsi rientrare tutte le ipotesi in cui l’illecito leda diritti della persona costituzionalmente garantiti: e tra questi rientrano il diritto al lavoro, quello ad educare la prole e quello alla dignita’ della famiglia, tutti e tre vulnerati dall’illegittimo provvedimento adottato dalla Questura fiorentina.
3.2. Il motivo e’ irrilevante alla luce del rigetto del secondo motivo di ricorso, giacche’ il passaggio in giudicato della sentenza impugnata sul punto dell’insussistenza del nesso di causa tra illecito e danno rende inutile stabilire se il preteso danno fosse risarcibile o meno.
Amor di diritto e di verita’ induce tuttavia a soggiungere che la motivazione del giudice d’appello non e’ comunque erronea in iure, ma solo meritevole di integrazione.
Il ricorrente e’ nel vero quando afferma che il danno non patrimoniale e’ risarcibile non solo nei casi espressamente previsti dalla legge, ma anche nei casi in cui il fatto illecito abbia leso diritti inviolabili della persona (principio pacifico, stabilito comunque da Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605491, e reiteratamente ripetuto in seguito).
Tuttavia la lesione d’un interesse giuridicamente protetto non costituisce di per se’ il “danno”. La lesione dell’interesse e’ la causa dell’esistenza del danno, ma non si identifica con esso: tanto e’ vero che possono esservi lesioni di diritti non seguite da danni, e danni non causati da lesioni di diritti. Il danno risarcibile consiste invece in una perdita, causalmente collegata alla lesione d’un interesse giuridicamente protetto.
Il concetto giuridicamente rilevante di perdita discende dalla nozione di interesse, e del suo substrato logico: il bisogno che l’interesse e’ destinato a soddisfare.
L’interesse e’ il vincolo che lega un soggetto ad un bene che arreca un’utilita’ destinata a soddisfare un bisogno. La soddisfazione dell’interesse consiste nell’appagamento del bisogno, cioe’ nel conseguimento di una utilita’. Puo’ darsi che la lesione dell’interesse non incida sul conseguimento dell’utilita’: vuoi perche’ questa e’ stata ugualmente conseguita (esempio: Tizio affida a Caio il compito di irrigare il suo fondo; Caio si rende inadempiente ma il giorno fissato per l’esecuzione del contratto una forte pioggia rende superflua l’irrigazione); vuoi perche’ l’utilita’ comunque non sarebbe stata conseguita anche in assenza della lesione dell’interesse. (esempio: il sanitario omette di diagnosticare una grave malattia, la cui diagnosi e cura tempestive pero’ non avrebbero evitato l’invalidita’ o la morte del paziente).
Quando pero’, come e’ la norma, la lesione dell’interesse impedisce il conseguimento o la conservazione dell’utilita’ attesa o goduta, essa produce una disutilita’: essa impedisce cioe’ la soddisfazione di un bisogno, ovvero fa sorgere un bisogno per l’avanti inesistente. Questa disutilita’ e’ la perdita o danno, necessaria per la configurabilita’ di un danno giuridicamente rilevante.
3.3. Da quanto esposto consegue che non e’ sufficiente ostendere in giudizio l’accertata violazione di un diritto e dell’interesse che lo sottende, per invocare il risarcimento del danno. Sara’ necessario anche dimostrare l’effettiva sussistenza d’una perdita, patrimoniale o meno, oggettivamente esistente ed apprezzabile, e comunque tale da superare una soglia minima di apprezzabilita’, da valutarsi caso per caso con apprezzamento insindacabile del giudice di merito (esattamente in questi termini si veda Sez. 3, sentenza n. 16133 del 15/7/2014).
3.4. Nel caso di specie, risulta dagli atti che il provvedimento in tesi fonte di danni venne adottato ad aprile, venne annullato ad agosto, ed il provvedimento d’annullamento – impugnato dall’amministrazione – venne confermato a dicembre. Risulta, infine, che il coniuge dell’odierno ricorrente diede alla luce un bimbo ad ottobre dello stesso anno.
Da cio’ consegue che:
(a) il provvedimento di annullamento del provvedimento illegittimo fu anteriore alla nascita del figlio del sig. (OMISSIS);
(b) il provvedimento di conferma dell’annullamento segui’ di poco piu’ di un mese la nascita del figlio del sig. (OMISSIS).
Dinanzi a questa situazione di fatto, nella quale il diritto “al lavoro, ad educare il figlio ed alla dignita’ familiare” fu compresso (se compressione vi fu) in modo reversibile e per cosi’ poco tempo, sarebbe stato preciso onere del ricorrente allegare e provare sotto quale aspetto ed in che modo la lesione dei suddetti diritti avrebbe provocato un “danno” giuridicamente apprezzabile, nel senso sopra indicato: ad esempio, ansia, paura, stress, di intensita’ tali da superare quella “soglia minima di apprezzabilita’” al di sotto della quale non vi e’ danno non patrimoniale.
3.5. Correttamente, dunque, la sentenza impugnata ha escluso l’esistenza d’un danno non patrimoniale, non risultando superata la soglia minima di apprezzabilita’ delle conseguenze ipoteticamente derivanti dalla lesione dell’interesse giuridicamente protetto.
4. Il quarto motivo.
4.1. Col quarto motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha rigettato la domanda di danno patrimoniale per difetto di prova; ma l’esistenza di questo tipo di danno non era mai stata contestata dal ministero, e dunque doveva darsi per ammessa.
4.2. Anche questo motivo e’ assorbito dal rigetto del secondo (difetto di nesso di causa tra illecito e danno), ma e’ opportuno rilevare come esso sarebbe stato altresi’ infondato.
Infatti colui il quale non contesti l’esistenza del danno del quale l’attore domanda il risarcimento, non esonera certo l’attore dalla prova dell’ammontare del danno: e nel caso di specie la Corte d’appello ha ritenuto tale prova non fornita, con statuizione in fatto incensurabile in questa sede.
5. Il primo motivo di ricorso.
5.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una di violazione di legge, ai sensi all’articolo 360 c.p.c., n. 3; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Sotto il primo profilo, si assumono violati gli articoli 91, 101, 102, 324 c.p.c. e segg., articolo 737 c.p.c. “e segg.”; nonche’ il Decreto Legislativo 30 luglio 1998, n. 281, articolo 30, comma 6. Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere non formatosi il giudicato sull’illegittimita’ del provvedimento amministrativo che, concedendo al ricorrente il permesso di soggiorno, gli aveva contestualmente imposto il divieto di lavoro.
5.2. Il motivo e’ assorbito dal rigetto degli altri tre.
6. Le spese.
La novita’ della questione costituisce un giusto motivo per la compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
-) rigetta il ricorso;
-) compensa tra le parti le spese di lite.

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