Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 10 giugno 2015, n. 12082
Svolgimento del processo
F.A. , titolare di una polizza da invalidità permanente da malattia, stipulata in data 4/11/1997 con l’Assicurazione Vittoria s.p.a., nell’anno 2005 ha ottenuto dalla suddetta società un indennizzo di Euro 90. 380,00, commisurato ad una invalidità del 35%, essendo stato colpito da un tumore renale destro a cellule chiare e sottoposto a nefrectomia.
Nell’anno 2007 il F. è stato colpito di nuovo da una patologia tumorale, con le lesioni discarocinetiche secondarie a carico del lobo epatico e del diaframma, con conseguente asportazione chirurgica di dette lesioni.
Assumendo che tale ultima patologia l’aveva colpito in maniera ben più importante della precedente, in modo tale da poter essere considerato un evento nuovo rispetto al precedente, F.A. ha citato in giudizio la Vittoria Assicurazioni per ottenere un indennizzo pari al grado di invalidità residuato dal secondo evento lesivo superiore 66%.
La Vittoria Assicurazioni nel costituirsi ha eccepito di avere già corrisposto tutto il dovuto, in quanto la malattia in oggetto non era altro che una recidiva della precedente patologia, già indennizzata secondo atto di transazione del 1 giugno 2006, con il quale l’assicurato aveva dichiarato di concordare l’indennizzo in via transattiva in Euro 90.380,00 in relazione a tutti danni patrimoniali e non patrimoniali presenti e futuri, e di non avere null’altro pretendere in relazione al sinistro,rinunciando ad ogni azione in sede civile e penale; che inoltre nulla era dovuto poiché la malattia non si era ancora stabilizzata.
Il giudice di primo grado ha accolto la domanda condannando la società Vittoria corrispondere al F. la somma di Euro 167.848,45 oltre interessi.
A seguito di impugnazione della Vittoria Assicurazioni, la Corte di appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado.
Avverso questa sentenza propone ricorso la società Vittoria Assicurazione s.p.a. con due motivi illustrati da successiva memoria.
Resistono gli eredi di F.A. .
Motivi della decisione
1. La Corte di merito ha confermato la decisione di primo grado ritenendo corretta la nozione di”recidiva” fatta propria dal primo giudice, vale a dire” recidiva” intesa come comparsa o riacutizzazione di una malattia apparentemente guarita e non evoluzione in senso negativo di uno stato patologico ancora in atto.
I giudici di merito hanno posto in rilievo che lo stesso consulente tecnico della compagnia assicuratrice aveva concluso che, a seguito dell’intervento del 2005, il quadro clinico dell’assicurato appariva in buon compenso sotto il profilo urologico e che non si riscontravano localizzazioni secondarie.
Proprio la corresponsione di un indennizzo nel 2006 confermava che la patologia aveva raggiunto a quel tempo un apprezzabile livello di stabilizzazione, tale da consentire l’erogazione di un indennizzo.
La relazione medico legale redatta successivamente nel 2008 dal c.t.p. Dott. Gh.Va. , non contestata dalla difesa della Vittoria Assicurazioni, da atto della circostanza che dopo l’intervento del 2005, durante i controlli di routine eseguiti a fine agosto 2007, si riscontrava una recidiva della malattia, ma la stessa consulenza sottolinea che la situazione era estremamente più grave rispetto a quanto evidenziato nel 2005 poiché si erano manifestate localizzazioni secondarie della malattia neoplastica di base che orientavano verso una prognosi più severa e che il grado di invalidità permanente era quantificato in un importo superiore al 66%.
La Corte di appello ritiene che l’insorgenza della neoplasia asportata nel 2008, proprio perché riscontrata in un malato affetto da una patologia i cui esiti si erano ormai stabilizzati,è da considerarsi come nuovo evento lesivo, manifestatosi per il resto dopo due anni di controlli nell’ambito dei quali nulla era emerso, rispetto a quello già oggetto di transazione, idoneo ad essere considerato autonomamente ai fini dell’erogazione dell’indennizzo assicurativo oggetto di causa.
Inoltre la Corte ha sottolineato che la clausola 22 del contratto di assicurazione prevedeva che l’assicurato trascorsi 180 giorni dalla denuncia di malattia,e comunque non oltre l’anno dalla data della stessa, doveva presentare certificazione medica attestante il grado di invalidità permanente residuato, e che tali termini ed adempimenti erano stati rispettati dall’assicurato, non essendo contestato che il F. aveva raggiunto un invalidità permanente del 66%,che secondo i termini di polizza dava per diritto al pagamento dell’intero premio assicurativo.
2. Con il primo motivo di ricorso si denunzia vizio di motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione alla transazione del 1 giugno 2006 ex articolo 360 numero 5 c.p.c.
Sostiene la ricorrente che la contraddittorietà del ragionamento della Corte di merito è insita nell’aver ritenuto che l’aggravamento del signor F. del 2008 fosse una recidiva della precedente preesistente patologia del 2005, ma al tempo stesso che la stessa fosse un nuovo evento lesivo e come tale non coperto nella transazione del 1 giugno 2006.
3. Il motivo è infondato.
I giudici di merito, seguendo le risultanze della consulenza del perito della Vittoria Assicurazioni, hanno accertato che l’evento lesivo del 2005 si era stabilizzato e che non risultavano localizzazioni secondarie.
La Vittoria Assicurazioni ha corrisposto all’assicurato, sulla base di una transazione che ha mediato fra i valori accertati dal perito dell’assicurazione e quelli richiesti dall’assicurato, un indennizzo pari ad una percentuale di invalidità permanente del 35%.
La Corte di merito ha tratto la conseguenza che, proprio perché si era in presenza di una stabilizzazione della malattia, l’evento successivo, seppur da correlarsi come natura alla precedente malattia, era a fini assicurativi da considerarsi nuovo.
Gli esiti più gravi ai fini dell’invalidità permanente di questo secondo evento, non potevano ricomprendersi nella transazione stipulata fra le parti il 1 giugno 2006.
3.La motivazione della Corte d’appello è logica non contraddittoria ed è correlata alla natura particolare della malattia che ha colpito l’assicurato.
Difatti la patologia tumorale, come molte altre malattie, è una patologia di cui non è mai certa la guarigione.
In presenza quindi di una patologia con tali caratteristiche, l’assicurato non avrebbe alcuna possibilità, seguendo la interpretazione fornita dall’assicurazione, di attivare la polizza di assicurazione per invalidità permanente da malattia.
Non avrebbe quindi la possibilità di ottenere l’indennizzo in relazione ad esiti invalidanti derivanti da una fase della malattia che appare stabilizzata, come è avvenuto nel caso di specie, perché altrimenti non potrebbe chiedere l’ulteriore indennizzo in ipotesi di una evoluzione non prevedibile e più grave della malattia stessa, cosa che è avvenuta nel caso di specie.
Non risultando espressamente escluse le patologie tumorali dalle malattie oggetto di assicurazione, per tale tipo di malattia è necessario modulare diversamente l’interpretazione del concetto di rischio assicurato, come opportunamente hanno fatto i giudici di merito, ritenendo che la cosiddetta recidiva della malattia, dopo la stabilizzazione della precedente fase, ha le caratteristiche per rientrare nel concetto di nuovo evento.
4. Con il secondo motivo si denunzia erronea determinazione della volontà negoziale e violazione e falsa applicazione di norme di diritto in particolare degli articoli 1362 e 1363 c.c. relativamente alla nozione di malattia e di invalidità permanente.
Il ricorrente contesta l’interpretazione data dalla corte di appello in relazione al contenuto del contratto di assicurazione e del in particolare in relazione alla nozione di invalidità permanente che dallo stesso contratto risulta essere stata concordata fra le parti.
5. Il motivo è inammissibile.
Con specifico riferimento ai limiti del sindacato di legittimità sulla interpretazione dei contratti, questa Corte ha affermato che “in tema di interpretazione del contratto – che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione – ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa” (Cass., n. 28479 del 2005; Cass., n. 18180 del 2007).
Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire.
6. Il ricorrente, denunziando la violazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., fa riferimento alla interpretazione secondo il senso letterale delle parole,al comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto ed alla interpretazione complessiva delle clausole.
La censura nonostante l’indicazione delle norme violate, è comunque generica in quanto non viene specificato in che modo il senso letterale delle parole sia stato violato, mentre il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, non viene in alcun modo in rilievo; riferendosi alla interpretazione complessiva delle clausole, la ricorrente non riproduce in ricorso l’interezza delle clausole contenute nella polizza assicurativa, neanche quelle prese in esame dai giudici di merito, né l’articolo 22 di cui lamenta la errata interpretazione, che viene riprodotto in ricorso solo parzialmente,di modo tale che al giudice di legittimità è impedito proprio quel controllo sulla interpretazione complessiva delle clausole invocato dalla ricorrente.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 8.200,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi,accessori e spese generali come per legge.
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