Suprema Corte di Cassazione
SEZIONE III CIVILE
sentenza 10 gennaio 2012, n. 52
Svolgimento del processo
Con sentenza del 21/2/2008 il Tribunale di Milano respingeva il gravame interposto dalla società Chiovenda s.n.c. nei confronti della pronunzia G. di P. Milano 29/1/2004 di rigetto della domanda, proposta quale cessionaria del relativo credito, di risarcimento dei danni “materiali” subiti dalla società Wang C. Di C. X. & C. s.n.c. in conseguenza di sinistro stradale. Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la società Chiovenda s.n.c. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico complesso motivo. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con unico complesso motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1260, 1264 c.c., in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c.; nonché “erronea ed insufficiente motivazione” su punti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c..
Si duole che il giudice dell’appello abbia erroneamente ritenuto la carenza della propria legittimazione in considerazione del credito de quo come futuro e incerto, laddove l’affermazione che “il credito ceduto de quo sarebbe subordinato all’accertamento del giudice di merito sulla responsabilità del sinistro e sulla quantificazione degli eventuali danni” non tiene conto che “tali accertamenti giudiziali, che si risolvono nella verifica della responsabilità del sinistro (e quindi nella fondatezza o meno della domanda dell’attore) e sulla quantificazione degli eventuali danni (che, seppur sicuramente determinabili, prima del giudizio possono tuttavia non essere già esattamente determinati) non incidono affatto sulla esistenza del credito risarcitorio (che sorge al momento stesso del sinistro a favore della parte lesa) e sull’immediato trasferimento del credito risarcitorio ceduto (che passa dal cedente al cessionario nel momento stesso della stipulazione della cessione), ma solamente sulla definitiva liberazione del cedente nell’ipotesi di cessione pro solvendo, come quella de qua”.
Lamenta che “le asserzioni del Giudice d’appello, secondo cui la cessione del credito intervenuta fra la Wang C. e Chiovenda e ritualmente notificata al debitore ceduto: – avrebbe ad oggetto un credito non solo futuro, ma anche incerto nella sua esistenza; – e non potrebbe svolgere effetti reali nei confronti del ceduto ma solo effetti obbligatori nei confronti del cedente; contrastano decisamente con i precitati articoli del codice civile che prevedono e stabiliscono che:… il debitore può trasferire… il suo credito”, e che “il debitore ceduto, dal momento della conoscenza dell’avvenuta cessione… deve pagare solo ed esclusivamente al cessionario per essere liberato dalla sua obbligazione”.
Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Nel prevedere la cedibilità del credito anche senza il consenso del debitore ceduto, salvo che il credito abbia carattere strettamente personale o che sussista un divieto legale o negoziale di cessione, l’art. 1260 c.c. pone il principio della libera cessione del credito.
Ai fini del perfezionamento della cessione del credito è infatti normalmente (laddove il credito non sia cioè di natura strettamente personale e non sussista uno specifica divieto normativo al riguardo) necessario e sufficiente l’accordo tra il cedente e il cessionario (v. Cass. 13/11/1973, n. 3004), che determina la successione del cessionario al cedente nel medesimo rapporto obbligatorio con effetti traslativi immediati non solo tra di essi (v. Cass., 20/10/2004, n. 210548).
La cessione del credito diviene nei confronti del debitore ceduto efficace all’esito della relativa notificazione ovvero della relativa accettazione da parte del medesimo (art. 1264 c.c.), quest’ultima in particolare avendo, come osservato anche in dottrina, natura non già costitutiva bensì ricognitiva, a tale stregua non comportando – diversamente dalla delegazione – un’assunzione del debito nei confronti del cessionario, né rimanendo al debitore ceduto precluso far valere l’eccezione di invalidità e di estinzione del rapporto obbligatorio. L’accettazione vale per altro verso a rimarcare il limite della tutela del debitore di buona fede (v. Cass., 20/10/2004, n. 210548), facendo venire meno la presunzione di persistenza della titolarità del creditore originario (in dottrina indicata come c.d. legittimazione storica del cedente) ed escludendo pertanto l’efficacia liberatoria del pagamento fatto al medesimo.
Il debitore non è di norma tenuto a dare informazioni a terzi in ordine a precedenti accettazioni o notifiche di cessioni. In caso di pignoramento o di sequestro del credito è tuttavia obbligato ad indicare l’esistenza di pignoramenti, nonché a specificare i sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni che gli sono state notificate o che ha accettato (art. 547, 2 co., c.p.c.), incorrendo in responsabilità nei confronti del creditore procedente ove dia false risposte negative, mentre se tace o se sorgono contestazioni circa le sue dichiarazioni può farsi luogo a giudizio di accertamento.
La cessione del credito è a causa variabile, a tale stregua assumendo rilievo gli interessi dalle parti con la relativa stipulazione in concreto perseguiti nello specifico caso (causa concreta), e come sottolineato in dottrina giusta principio generale valevole per i contratti non formali essa deve invero ritenersi a causa presunta, fino a prova della relativa inesistenza o illiceità, potendo avere ad oggetto anche una ragione di credito o un diritto futuro, purché determinato o determinabile, nel qual caso l’effetto traslativo si produce al momento della relativa venuta ad esistenza in capo al cedente.
Orbene, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, anche il credito al risarcimento di danni patrimoniali da sinistro stradale può costituire oggetto di cessione, non essendo esso di natura strettamente personale né sussistendo specifico divieto normativo al riguardo (v. Cass., 13/5/2009, n. 11095; Cass., 5/11/2004, n. 21192. E già Cass., 21/4/1986, n. 2812), né d’altro canto ricorrendo nel caso un’ipotesi di cessione di crediti litigiosi (art. 1261 c.c.).
Ove come nella vicenda in esame ricorra ipotesi di cessione onerosa, il cedente è al riguardo tenuto a garantire (solamente) il nomen verum, e cioè l’esistenza del credito al tempo della cessione (art. 1266 c.c.), e questa Corte ha già avuto modo di affermare che il credito derivante da fatto illecito ha i caratteri del credito attuale (v. Cass., 5/11/2004, n. 21192, ove se ne trae conferma dalla decorrenza degli interessi dal momento del fatto e non già del relativo accertamento giudiziale).
Il relativo mancato riconoscimento per inesistenza o nullità non ridonda invero sul piano della validità della cessione (così come la inesistenza della cosa di per sé normalmente non comporta la nullità del contratto), ma comporta il mancato conseguimento da parte del cessionario della titolarità del credito, assumendo rilievo meramente sul piano dell’inadempimento, e venendo se del caso a tradursi nel risarcimento del danno a carico del cedente.
La cessione del credito avviene in favore del cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie personali e reali, anche con gli altri accessori (art. 1263, 1 co., c.c.), tra i quali vanno senz’altro ricompresi, come anche in dottrina posto in rilievo, i poteri connessi al contenuto e all’esercizio del credito, e in particolare i rimedi convenzionali contro l’inadempimento (es., clausola penale). Non anche, invero, i rimedi posti a tutela della parte contrattuale, sia giudiziali (es., l’azione di risoluzione o di annullamento o di rescissione del contratto: cfr. Cass., 28/4/1967, n. 776), che convenzionali (es., clausola risolutiva espressa), attenendo essi alla sorte del contratto, e non del mero credito.
A parte l’ipotesi ex art. 111 c.p.c., a tale stregua il cessionario può esercitare tutte le azioni previste dalla legge a tutela del credito, volte cioè ad ottenerne la realizzazione (v. Cass., 18/7/2006, n. 16383; Cass., 9/12/1971, n. 3554), potere invero spettantegli già in base al principio generale della tutela giurisdizionale dei diritti.
Il cessionario può fare dunque valere l’acquisito diritto di credito al risarcimento nei confronti del debitore ceduto (nel caso che ne occupa l’assicuratore del danneggiante) non già in base all’art. 144 d.lgs. n. 209 del 2005 (e già all’art. 18 L. n. 990 del 1969), in relazione al quale non può invero propriamente parlarsi di cessione, bensì in ragione del titolo costituito dal contratto di cessione del credito, quale effetto naturale del medesimo (art. 1374 c.c.).
Orbene, nell’affermare che “La presente cessione del credito risarcitorio, intervenuta tra la danneggiata Wang C. e la s.n.c. Chiovenda e ritualmente notificata al debitore ceduto, avendo ad oggetto un credito non solo futuro ma anche incerto nella sua esistenza, non può svolgere effetti reali nei confronti del ceduto, ma solo effetti obbligatori nei confronti del cedente. Si consideri, infatti, che il credito di cui alla predetta cessione è subordinato all’accertamento del giudice di merito sulla responsabilità del sinistro e sulla quantificazione degli eventuali danni”, a tale stregua finendo in realtà per negare la cedibilità del credito risarcitorio da risarcimento del patrimoniale da circolazione stradale, il giudice dell’appello ha nell’impugnata sentenza invero disatteso il suindicato principio, pervenendo a violare i principi informatori in materia di libera circolazione dei diritti, con negativi riflessi altresì sul concreto esercizio della tutela giurisdizionale dei diritti.
Risultandone il relativo vaglio da parte di questa Corte allora pienamente legittimato (cfr., da ultimo, Cass., 4/5/2011, n. 9759; Cass., 22/2/2011, n. 4282) dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione, con rinvio al Tribunale di Terni che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame, facendo applicazione del seguente principio di diritto: il credito da risarcimento del danno patrimoniale da sinistro stradale è suscettibile di cessione ex artt. 1260 ss. c.c., e il cessionario può in base a tale titolo domandarne anche giudizialmente il pagamento al debitore ceduto.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Milano, in diversa composizione.
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