Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 24 marzo 2017, n. 14488

Legittimo il sequestro di un’area che non avendo natura agricola e che anzi era considerata habitat comunitario è stata destinata all’edilizia senza alcun permesso

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 24 marzo 2017, n. 14488

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo – Presidente

Dott. GRILLO Renato – rel. Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI VERONA;

nei confronti di:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 03/05/2016 del TRIB. LIBERTA’ di VERONA;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GRILLO RENATO;

lette le conclusioni del P.G.: annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con ordinanza del 3 maggio 2016 il Tribunale di Verona – in funzione di Giudice del Riesame – in parziale accoglimento della istanza difensiva nell’interesse di (OMISSIS), indagato per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis; articolo 733 bis c.p., annullava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Verona in data 8 aprile 2016 limitatamente alla parte concernente il sequestro di un’area arata di mq. 13.800 con coeva restituzione di quanto sopra all’avente diritto. Alla base di tale provvedimento di dissequestro parziale il Tribunale poneva l’assenza del fumus criminis in quanto l’area, poi dissequestrata, rientrava in una zona a destinazione agricola sicche’ l’attivita’ fino a quel momento posta in essere dal soggetto indagato non aveva modificato in alcun modo la struttura del terreno, essendosi limitata alla semplice rimozione del manto erboso come risultava dalle fotografie allegate. Da qui la non necessita’ del preventivo permesso di costruire ne’ del nulla-osta paesaggistico. Quanto, poi, alla contravvenzione di cui all’articolo 733 bis c.p. il Tribunale escludeva – sulla base di quanto raffigurato nelle foto allegate – che quell’area fosse un habitat comunitario.

1.2 Avverso il detto provvedimento propone ricorso il Procuratore della Repubblica per inosservanza della legge penale, in quanto il Tribunale aveva del tutto erroneamente ritenuto l’area oggetto di dissequestro di natura agricola e conseguentemente, altrettanto erroneamente, escluso la necessita’ del rilascio di preventivo permesso di costruire e di nullaosta paesaggistico, rivestendo invece tale area la natura di habitat naturale. Secondo il P.M. ricorrente quindi il Tribunale avrebbe escluso – in maniera del tutto errata ed in violazione della legge penale (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c; Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis e articolo 733 bis c.p.) – il fumus criminis in realta’ sussistente.

1.3 Nei termini e’ stata depositata da parte della difesa dell’indagato memoria difensiva nella quale in via preliminare si rileva la inutilizzabilita’ della documentazione allegata al ricorso del P.M. in quanto prodotta a fini di prova dopo la celebrazione dell’udienza dinnanzi al Tribunale del Riesame e quindi in assenza di contraddittorio; quanto alla dedotta inosservanza della legge penale, premesso che da parte del P.M. non sarebbe stata contestata la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 (ipotesi coperta a suo giudizio da giudicato cautelare), quanto alle residue contestazioni, correttamente il Tribunale ha escluso il fumus criminis anche tenendo conto delle deduzioni difensive che andavano valutate in sede di riesame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato.

2. Quanto alla deduzione preliminare circa la inammissibilita’ o comunque inutilizzabilita’, in sede di legittimita’, di nuovi documenti prodotti in allegato al ricorso da parte del Pubblico Ministero ricorrente, pur condividendosi in termini generali quanto osservato dal difensore dell’indagato sulla scorta di una pacifica giurisprudenza che esclude la possibilita’ di presentare documenti nuovi (in termini oltre a Sez. 3 7.1.2016 n. 5722, Sanvitale, Rv. 266390, v. Sez. 2 11.10.2012, P.C. in proc. Platamone e altro, Rv. 254302), va tuttavia chiarito che tale regola soffre una eccezione laddove i nuovi documenti non costituiscano una nuova prova, bensi’ una esplicitazione di prova preesistente. Invero come precisato dalle decisioni sopra citate, l’ammissibilita’ di documenti che la parte non era stata in grado di produrre in precedenza e’ sottoposta alla duplice condizione negativa della non configurabilita’ di una nuova prova e della inesistenza di attivita’ di apprezzamento circa la loro validita’ formale e la loro efficacia nel contesto di prove gia’ raccolte e valutate dai giudici di merito.

2.1 Nel caso in esame secondo quanto e’ dato leggere nel ricorso del Pubblico Ministero, gia’ la notizia di reato avrebbe dovuto indurre il Tribunale, se correttamente letta, ad una diversa decisione soprattutto con riferimento alla astratta configurabilita’ del fumus delicti in relazione al reato di cui all’articolo 733 bis c.p. (il quale punisce con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda chiunque distrugge un habitat all’interno di un sito protetto ovvero lo deteriora in modo irreversibile): si afferma, infatti, nel ricorso che gia’ nella notizia di reato risultava che l’area in questione costituisse un habitat potenziale 6510 e che il prato spontaneo rimosso a seguito di aratura profonda non rientrasse tra gli interventi consentiti in relazione alla particolare natura di quel sito naturalistico. La prova documentale costituita, secondo il P.M. ricorrente, dalla nota del 12 maggio 2016 (pacificamente posteriore rispetto alla data di svolgimento dell’udienza dinnanzi al Tribunale del Riesame) piu’ che integrare una nuova prova riafferma quello che gia’ emergeva a livello indiziario dalla stessa notizia di reato sulla base di dichiarazioni del tecnico comunale del Comune di Peschiera. E, anche a non voler tenere conto di tale documento, gia’ quegli elementi avrebbero dovuto indurre il Tribunale a ritenere sussistente il fumus criminis.

2.2 Tanto precisato, va subito ricordato che in riferimento alla adozione di misure cautelari reali, come ripetutamente affermato da questa Corte, il controllo del giudice del riesame non puo’ investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve essere limitato alla verifica della corrispondenza della fattispecie astratta di reato ipotizzata dall’accusa al fatto per cui si procede, esulando da tale controllo la possibilita’ del concreto accertamento delle circostanze di fatto su cui la stessa e’ fondata, ed a maggior ragione, delle circostanze di fatto che alle prime, eventualmente, si sovrappongano, rendendo giustificata la condotta dell’indagato; circostanze che sono attribuite alla cognizione del giudice del merito (Cass. Sez. 3 12.5.1999 n. 1821, Petix, Rv. 214218). Nell’ambito di tale fase deve farsi riferimento soltanto alla astratta configurabilita’ del reato, al rapporto di pertinenzialita’ tra la cosa e il reato ipotizzato ed alla attualita’ e per quanto possa rilevare alla concretezza del periculum in mora.

2.3 Naturalmente l’attivita’ di controllo del giudice del riesame non potra’ essere disancorata dall’analisi delle deduzioni difensive offerte dalle parti, essendo preciso obbligo del giudice quello di dare conto anche delle ragioni per le quali per le quali il fatto integra il reato contestato, posto che quest’ultimo e’ antecedente logico e necessario del provvedimento cautelare (in questo senso Cass. Sez. 2 23.3.2006 n. 19523, P.M. in proc. c. Cappello, Rv. 234197; Cass. Sez. 3 20.5.2010 n. 27715, Barbano, Rv. 248134).

2.4 Ovviamente, poiche’ e’ compito del giudice quello di esaminare il fumus criminis in tutte le componenti relative alla fattispecie contestata, ivi compreso l’elemento soggettivo, solo laddove questo risulti ad evidenza insussistente, potra’ essere rilevata l’infondatezza del fumus commissi delicti (in questo senso Cass. Sez. 4 21.5.2008 n. 23944, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 240521; Cass. Sez. 3 11.3.2010, D’Orazio, Rv. 247103).

2.5 Corollario di tale proposizione e’ che nella sola ipotesi della ritenuta insussistenza del fumus commissi delicti in tutti le sue componenti, il sequestro oggetto di riesame potra’ (recte, dovra’) essere revocato.

2.6 Sempre in tema di provvedimenti cautelari di natura reale sono anche noti i limiti entro i quali i provvedimenti di tal fatta sono sindacabili in sede di legittimita’: appare utile ricordare in questa sede che in tema di misure cautelari di carattere reale e’ possibile ricorrere in Cassazione esclusivamente per inosservanza (od erronea applicazione) della legge penale e mancanza assoluta della motivazione ovvero per motivazione meramente apparente: conseguentemente il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo e’ consentito laddove ricorra una violazione di legge intesa quale erronea applicazione della legge penale ovvero inosservanza della stessa, oltre che carenza assoluta ovvero apparenza della motivazione (circostanze, queste ultime, non ravvisabili nel caso in esame).

2.7 Cosi’ delineati, da una parte, i confini entro i quali il giudice del riesame e’ tenuto a verificare la fondatezza dell’accusa e le esigenze cautelari giustificative della misura e, dall’altra, i limiti di sindacabilita’ del provvedimento del Tribunale in sede di legittimita’, vanno adesso esaminati i singoli profili di illegittimita’ denunciati.

2.8 Nel caso in esame il Tribunale ha ritenuto che l’area in questione avesse natura agricola, conseguentemente rilevando la non necessita’ di preventive autorizzazioni e/o permessi. Si tratta di una interpretazione ad evidenza errata in quanto, come emergeva dalla notizia di reato, l’area in oggetto era inserita comunque all’interno di un sito SIC/ZPS con caratteristiche di habitat potenziale 6510 che, diversamente da come opinato dalla difesa dell’indagato nella propria memoria difensiva, avrebbe – quanto meno sotto il profilo del reato paesaggistico di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis – richiesto una valutazione preventiva sotto il profilo della compatibilita’ paesaggistica in realta’ mai intervenuta perche’ non richiesta. In questo senso deve allora ritenersi che l’area in argomento, benche’ a destinazione agricola (circostanza che in estratto consentirebbe una attivita’ “libera”), andasse qualificata come “agricola condizionata” proprio perche’ inserita all’interno di un sito tendente alla creazione di un habitat naturale. Cio’ significa che a livello indiziario il fumus criminis in ordine al reato paesaggistico andava ritenuto configurabile. Puo’ invece ritenersi coperto da giudicato cautelare il reato urbanistico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c – in cio’ ritenendo corretto il rilievo contenuto nella memoria difensiva – dal momento che il P.M. ricorrente nulla ha dedotto in merito a tale ipotesi contravvenzionale.

2.9 L’affermazione difensiva secondo la quale non tutti gli interventi posti in essere in zona CIC/ZPS ricadono sotto le previsioni del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis non e’ esatta ed in questo senso va ritenuto fondato il rilievo del P.M. in ordine alla astratta configurabilita’ del reato paesaggistico, posto che l’attivita’ di aratura seguita dal taglio dell’erba non rientra tra quelle indicate nel Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 149 come non soggette ad autorizzazione. La norma in esame, infatti, non prevede il rilascio di autorizzazione preventiva prescritta dagli articoli 146, 147 e 159 del citato Decreto Legislativo a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici; b) per gli interventi inerenti l’esercizio dell’attivita’ agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attivita’ ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio; c) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall’articolo 142, comma 1, lettera g), purche’ previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia. Ma nel caso in esame l’intervento effettuato consistito in attivita’ agro-silvo-pastorale ha certamente comportato una alterazione permanente dello stato dei luoghi che imponeva l’autorizzazione paesaggistica o quanto meno una richiesta di rilascio (v. Sez. 3 25.11.2014 n. 962, Scoleri e altro, Rv. 261791 sulla necessita’ di preventiva autorizzazione paesaggistica nel caso di realizzazione di piste in terra battuta in area boschiva protetta sottoposta a taglio e sradicamento di ceppaie e sulla possibilita’ di ricomprendere tra le attivita’ agro-silvo-pastorali di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 149, lettera b) solo la parziale eliminazione delle piante con l’obiettivo di un miglioramento della fora tutelata).

3. Quanto al reato di cui all’articolo 733 bis c.p., ferme restando le considerazioni svolte in precedenza in ordine alla particolare collocazione del sito all’interno del quale ricade l’area oggetto di dissequestro ed alla sua destinazione – recte, vocazione – ad habitat naturale sia per specie vegetali che animali, appare ancor piu’ evidente l’erronea applicazione della legge penale (articolo 733 bis c.p.) in cui e’ incorso il Tribunale che, basandosi unicamente sulla lettura di dati offerti dalla difesa ed omettendo, invece, di considerare i dati incontroversi emergenti dalla comunicazione della notizia di reato (implicitamente riconosciuti dalla stessa difesa dell’indagato che non ha potuto fare a meno di riconoscere l’inserimento dell’area in zona SIC/ZPS) inquadravano quell’area nel sito (OMISSIS) S.I.C.. In questo senso va anche ricordato che la nozione di “aree naturali protette” e’ piu’ ampia di quella comprendente le categorie dei parchi nazionali delle riserve naturali statali e regionali e dei parchi naturali statali, interregionali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette (v. Sez. 3 7.10.2003 n. 44409, Natale, Rv. 226400). Ne consegue che l’area in oggetto per le sue caratteristiche intrinseche non poteva tollerare interventi che ne deteriorassero la struttura, posto che il taglio dell’erba si e’ di fatto risolto nella eliminazione delle vegetazione protetta.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale del Riesame di Verona che in quella sede si atterra’ ai principi enunciati da questa Corte in tema di fumus commissi delicti ed a una corretta interpretazione ed applicazione delle norme violate di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis e articolo 733 bis c.p..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale del Riesame di Verona.

Motivazione semplificata.

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