Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 11 novembre 2016, n. 47883

In tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, la produzione all’ente erogatore di una falsa autocertificazione finalizzata a conseguire indebitamente contributi previdenziali, integra il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., anziché quello di truffa aggravata, qualora l’ente assistenziale non venga indotto in errore, in quanto chiamato solo a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere una autonoma attività di accertamento. (Fattispecie relativa ad un’indebita percezione di assegni familiari).

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

SENTENZA 11 novembre 2016, n. 47883

Ritenuto in fatto

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Roma, in esito a giudizio abbreviato, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Roma del 18/10/2012, dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di falso di cui al capo A) perché estinto per prescrizione e, quanto al capo B), confermava la responsabilità dell’imputato per il reato di truffa aggravata, rideterminando la pena in mesi quattro di reclusione ed euro 400,00 di multa.

La Corte riteneva provato che il ricorrente, attraverso la predisposizione di una dichiarazione nella quale attestava falsamente di avere il coniuge a carico in quanto privo di reddito – dichiarazione poi prodotta al Consolato Italiano in Basilea dove lavorava come impiegato – avesse percepito indebitamente gli assegni familiari in un periodo intercorrente tra il 1997 ed il settembre del 2009, epoca della denuncia.

Ricorre per cassazione O.C., a mezzo dei suo difensore e con unico atto, deducendo:

1) violazione di legge e vizio della motivazione: la condotta avrebbe dovuto essere qualificata non come truffa aggravata ma ai sensi dell’art. 316-ter cod.pen., poiché, non solo la percezione degli assegni familiari rientrerebbe nel novero delle erogazioni indicate da tale norma, ma la falsa dichiarazione del ricorrente era stata l’unica condotta da costui commessa; 2) violazione di legge in ordine alla mancata declaratoria di intervenuta prescrizione dei reato di cui all’art. 316-ter cod.pen., siccome diversamente qualificato il fatto contestato.

Considerato in diritto

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Può ritenersi oramai consolidato l’orientamento giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, la produzione all’ente erogatore di una falsa autocertificazione finalizzata a conseguire indebitamente contributi previdenziali, integra il reato di cui all’art. 316-ter cod.pen., anziché quello di truffa aggravata, qualora l’ente assistenziale non venga indotto in errore, in quanto chiamato solo a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere una autonoma attività di accertamento (Sez. U, n. 7537 del 2011, Pizzuto; Sez.2, n. 49642 del 17/10/2014, Ragusa, Rv. 261000; Sez. 2, n. 254354 del 19/10/2012, Santannera, Rv. 254354).

In una delle sentenze citate, il caso concreto all’esame della Corte di cassazione riguardava proprio la percezione di assegni familiari e dà ragione a quanto sostenuto in ricorso.

Né – come dimostra il fatto che tale percezione indebita si era protratta per anni e venne scoperta del tutto casualmente, secondo quanto emerge dalle sentenze di merito – era prevista a carico dell’ente erogatore una autonoma attività di accertamento, che, infatti, non era mai stata svolta.

D’altra parte, il ricorrente era reo di avere commesso solo tale attività fraudolenta e non altre (cfr. Sez. 2. N. 23163 del 12/04/2016, Oro, Rv. 266979).

Il reato, tuttavia, non si è prescritto, così come vorrebbe il ricorrente attraverso la censura di cui al secondo motivo.

Infatti, la Corte di Appello ha correttamente inquadrato la condotta facendola rientrare tra i casi in cui essa avviene a consumazione prolungata, categoria giuridica messa a fuoco anche con riferimento al reato di truffa. Nella specie, la diversa qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 316-ter cod.pen., non interferisce con tale inquadramento, in quanto esso è attinente alla esatta descrizione dell’elemento costitutivo dell’artificio e raggiro e non della sua potenzialità ad estendersi nel tempo, proprio in forza di un unico atto fraudolento, attraverso l’indebita e continuata percezione del contributo – Sez. 2, n. 47247 del 6/10/2015, Del Gaudio, Rv. 265364; Sez. 5, n. 32050 del 11/06/2014, Corba, Rv. 260494 – fino alla denuncia, avvenuta nel caso in esame a settembre del 2009 (prescrizione 1 marzo del 2017).

L’infondatezza del secondo motivo di ricorso comporta che la sentenza deve essere annullata con rinvio in ordine alla determinazione della pena, implicando essa un esame di merito – avuto riguardo anche all’incidenza delle circostanze attenuanti – non effettuabile in questa sede.

P.Q.M.

Qualificato il fatto ai sensi dell’art. 316-ter cod. pen., annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per la determinazione della pena

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