Rimessa alle Sezioni Unite la questione inerente la possibilità di applicare l’istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto anche nel procedimento davanti al giudice di pace.
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
ordinanza 28 aprile 2017, n. 20245
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAVALLO Aldo – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandr – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA;
nei confronti di:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS) il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza del Giudice di pace di Verona del 14 luglio 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro M.;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso nel senso del rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS).
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 luglio 2015, il Giudice di pace di Verona ha dichiarato non punibili gli imputati, ritenuta la particolare tenuita’ del fatto ex articolo 131-bis c.p., in relazione al reato di cui agli articoli 110 e 731 c.p., a loro contestato per avere, in concorso tra loro, quali genitori di un minore, omesso, senza giusto motivo, d’impartirgli o di fargli impartire l’istruzione elementare. Il Giudice di pace ritiene che l’articolo 131-bis c.p. sia applicabile anche nei procedimenti disciplinati dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, perche’ si pone in rapporto di specialita’ con l’articolo 34 di tale D.Lgs., il quale prevede la non procedibilita’, e non la non punibilita’, per i reati connaturati da particolare tenuita’. Il carattere speciale della disposizione del codice penale sarebbe desumibile da una serie di elementi: “l’ampliamento del numero dei reati; l’applicazione dell’istituto solo a persone che, di fatto, non siano qualificate come delinquenti abituali; la semplificazione dell’applicazione dell’istituto, che non e’ legato al previo consenso di fatto della persona offesa e non fa venire meno il diritto soggettivo a richiedere il risarcimento del danno in capo alla persona offesa; l’obbligo di compilazione della scheda personale per il casellario giudiziale nel quale deve essere riportato che vi e’ stato proscioglimento solo per l’applicazione delle regole dettate al nuovo articolo 131-bis c.p.”.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia, deducendo l’inosservanza dell’articolo 131-bis c.p.. Secondo la prospettazione del ricorrente, si tratterebbe di una disposizione non applicabile nel procedimento davanti al giudice di pace, perche’ in esso e’ gia’ prevista l’esclusione della procedibilita’ nei casi di particolare tenuita’ del fatto di cui al Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34. In ogni caso, l’articolo 2 di tale Decreto Legislativo opera, in assenza di previsioni contenute nel decreto stesso, un rinvio alle sole norme del codice di procedura penale e non anche a quelle del codice penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Risulta rilevante, ai fini della decisione, la seguente questione di diritto:
se l’articolo 131-bis c.p. sia applicabile nei procedimenti che si svolgono davanti al giudice di pace.
2. Su tale questione sussiste un contrasto tra due diversi orientamenti giurisprudenziali di legittimita’.
2.1. Secondo l’orientamento ampiamente maggioritario (ex multis, Sez. 5, n. 54173 del 28/11/2016, Rv. 268754; Sez. 5, n. 55039 del 20/10/2016, Rv. 268865; Sez. 5, n. 47523 del 15/09/2016, Rv. 268430; Sez. 5, n. 47518 del 15/09/2016, Rv. 268452; Sez. 5, n. 45996 del 14/07/2016, Rv. 268144; Sez. 5, n. 26854 del 01/06/2016, Rv. 268047; Sez. 7, n. 1510 del 04/12/2015, dep. 2016, Rv. 265491; Sez. F, n. 38876 del 20/08/2015, Rv. 264700; Sez. 4, n. 31920 del 14/07/2015, Rv. 264420), la causa di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto di cui all’articolo 131-bis c.p. non e’ applicabile ai procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace, per i quali trova applicazione soltanto la disciplina speciale di cui al Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 34, che si inscrive nell’ambito della “finalita’ conciliativa” che caratterizza la giurisdizione penale del giudice di pace.
Un primo elemento differenziale tra le due fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, e all’articolo 131-bis c.p. e’ rappresentata dall’ambito di applicazione: la delimitazione dell’area dei reati suscettibili di declaratoria di improcedibilita’ per la particolare tenuita’ del fatto ex articolo 34 non conosce – a differenza della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131-bis cit. (applicabile ai reati per i quali e’ prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni) – alcuna limitazione quoad poenam.
Vi sono, inoltre, significative divergenze tra i due istituti sul piano della definizione normativa dei relativi presupposti applicativi. Se, nell’uno e nell’altro caso, il punto di riferimento dell’accertamento giudiziale e’ la fattispecie concreta (cosi’, per l’articolo 34 cit., ex plurimis, Sez. 5, n. 29831 del 13/03/2015, Rv. 265143 e, per l’articolo 131-bis c.p., Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016), la declaratoria di improcedibilita’ per la particolare tenuita’ del fatto nel procedimento davanti al giudice di pace implica la valutazione congiunta degli indici normativamente indicati, ossia l’esiguita’ del danno o del pericolo, il grado di colpevolezza e l’occasionalita’ del fatto (Sez. 5, n. 34227 del 07/05/2009, Rv. 244910): valutazione, questa, alla quale deve associarsi la considerazione del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento puo’ recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato, ossia la considerazione di interessi individuali che siano in conflitto con l’istanza punitiva. Invece, la causa di non punibilita’ introdotta con l’articolo 131-bis c.p. fa leva su un giudizio di particolare tenuita’ del fatto e di non abitualita’ della condotta, ancorato ad una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalita’ della condotta e l’esiguita’ del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’articolo 133 c.p. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016); vi sono, inoltre, parametri di definizione negativa della particolare tenuita’ del fatto (articolo 131-bis c.p., comma 2) e di definizione positiva dell’abitualita’ del comportamento (articolo 131-bis c.p., comma 3): nell’una e nell’altra direzione, detti parametri si riferiscono ad elementi ostativi alla configurabilita’ della causa di non punibilita’.
I due istituti si differenziano, poi, molto nettamente in punto definizione del ruolo della persona offesa nel perfezionamento delle fattispecie. La disciplina di cui all’articolo 34 cit. attribuisce alla persona offesa una “facolta’ inibitoria” ricollegabile alla “valutazione del legislatore circa la natura eminentemente “conciliativa” della giurisdizione di pace, che da’ risalto peculiare alla posizione dell’offeso del reato” (Sez. U, n. 43264 del 16/07/2015); al contrario, l’istituto previsto dall’articolo 131-bis c.p. non prevede (salvo che per la particolare ipotesi di cui all’articolo 469 c.p.p.) “alcun vincolo procedurale conseguente al dissenso delle parti” (Sez. 4, n. 31920 del 14/07/2015, cit.). E la finalita’ conciliativa del procedimento davanti al giudice di pace rappresenta un tratto fondamentale del sistema delineato dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000 (Corte Cost., ordd. nn. 27 del 2007, 349, 201, 57, 56, 55, 11, 10 del 2004, 231 del 2003): al quadro normativo che riconosce un particolare favor alla conciliazione tra le parti (Corte cost., ord. n. 228 del 2005) sono ricollegabili anche i tratti di semplificazione e snellezza del procedimento, tratti che, appunto, ne esaltano la funzione conciliativa (Corte cost., ord. n. 64 del 2009; Cass., Sez. 5. n. 16494 del 20/04/2006, Rv. 234459; Sez. 5. n. 14070 del 24/03/2005, Rv. 231777).
Evidenziati tali elementi differenziali, l’orientamento giurisprudenziale in esame, giunge ad escludere che il Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34 sia stato tacitamente abrogato dalla novella del 2015, non sussistendo il presupposto dell’incompatibilita’ tra le due diverse discipline, come confermato dai lavori preparatori della novella del 2015 (Sez. F, n. 38876 del 20/08/2015, cit.). Tale conclusione troverebbe conferma nell’articolo 16 c.p. secondo cui nei rapporti tra il codice penale, come legge generale, e le leggi speciali, le disposizioni del primo si applicano anche alle materie regolate dalle seconde in quanto non sia da queste diversamente stabilito: ricorre quest’ultima ipotesi nel caso in esame, alla luce dei profili di specialita’ propri della disciplina ad hoc delineata dall’articolo 34 cit., la sola applicabile nel procedimento davanti al giudice di pace.
2.2. A tale orientamento si contrappone consapevolmente un indirizzo interpretativo minoritario (Sez. 5, 12/01/2017, n. 9713; Sez. 4, n. 40699 del 19/04/2016, Rv. 267709), secondo cui la causa di esclusione della punibilita’ prevista dall’articolo 131-bis c.p. si distingue strutturalmente dall’ipotesi di esclusione della procedibilita’ prevista dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, perche’ le differenze fra i due istituti (e la disciplina sostanzialmente di maggior favore prevista dall’articolo 131-bis c.p.) inducono a ritenere che quest’ultimo sia applicabile nel rispetto dei soli limiti espressamente indicati dalla norma – a tutti i reati, ivi compresi quelli di competenza del giudice di pace, anche perche’ sarebbe altamente irrazionale e contrario ai principi generali che una norma di diritto sostanziale – nata per evitare alla persona offesa il pregiudizio derivante dalla condanna per fatti di minima offensivita’, che la coscienza comune percepisce come di minimo disvalore, e per ridurre i costi connessi al procedimento penale sia inapplicabile proprio ai reati che, per essere di competenza del giudice di pace, sono ritenuti dal legislatore di minore gravita’.
Tale indirizzo prende le mosse dal principio, affermato da Sez. U, n. 13681 del 2016, per cui l’articolo 131-bis c.p. e’ applicabile ai processi non definiti con sentenza passata in giudicato in quanto piu’ favorevole al reo, in base al principio di legalita’ penale enunciato dall’articolo 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU), cosi’ come interpretato dalla giurisprudenza di Strasburgo, nella prospettiva della piu’ completa tutela dei diritti fondamentali della persona: l’istituto della non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, avendo natura sostanziale, e’ applicabile, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, anche ai procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione e per solo questi ultimi la relativa questione, in applicazione dell’articolo 2 c.p., comma 4, e articolo 129 c.p.p., e’ deducibile e rilevabile d’ufficio ex articolo 609 c.p.p., comma 2, anche nel caso di ricorso inammissibile.
Fatta questa premessa, le sentenze in esame sottolineano che gli istituti presi in considerazione, pur facendo entrambi riferimento, nelle rubriche degli articoli che li contemplano, alla “particolare tenuita’ del fatto”, hanno struttura e ambito di applicazione non coincidenti: l’articolo 131-bis c.p., prevede, infatti, una causa di esclusione della “punibilita’” allorche’ – per le modalita’ della condotta e per l’esiguita’ del danno o del pericolo – l’offesa all’interesse protetto sia particolarmente tenue; l’articolo 34 cit. contempla una causa di esclusione della “procedibilita’” quando il fatto – valutato nella sua componente oggettiva (esiguita’ del danno o del pericolo) e soggettiva (occasionalita’ della condotta e grado della colpevolezza) sia di particolare tenuita’. Quanto alle condizioni dell’applicazione, la causa di esclusione della punibilita’ di cui all’articolo 131-bis c.p. richiede che sia “sentita” la persona offesa (articoli 411 e 469 c.p.p.), mentre l’applicabilita’ del Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, e’ subordinata – nella fase delle indagini preliminari – alla condizione che “non risulti un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento” e, nella fase del giudizio, alla mancata opposizione sia dell’imputato che della persona offesa.
Da tali elementi differenziali, il secondo orientamento giurisprudenziale fa conseguire che l’operativita’ del Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, e’ subordinata a condizioni piu’ stringenti di quelle richieste dall’articolo 131-bis c.p., in quanto la prima norma esige che “il fatto” (e non solo l’offesa) sia di particolare tenuita’ e perche’ l’esistenza – oggettivamente valutata – di un interesse della persona offesa preclude l’immediata definizione del procedimento. E non si tratterebbe di differenze di poco conto, perche’ “il fatto” previsto dall’articolo 34 cit. puo’ – sebbene rechi una minima offesa all’interesse protetto – non essere di particolare tenuita’ per mancanza di occasionalita’ (elemento da cui prescinde, invece, l’articolo 131-bis c.p., salve le ipotesi di cui ai commi 2 e 3), mentre il diverso ruolo giocato – per l’articolo 34 – dall’interesse della persona offesa (o dal diritto potestativo di questa e dell’imputato, dopo l’esercizio dell’azione penale) colloca i due istituti su piani diversi di praticabilita’, subordinando l’operativita’ di quest’ultimo ad una valutazione piu’ ampia di quella richiesta dall’articolo 131-bis c.p., che e’, invece, ancorato (essenzialmente, anche se non solo) al grado dell’offesa.
I problemi posti dalla coesistenza nell’ordinamento penale dei due istituti sopra esaminati non possono essere risolti – ad avviso dell’orientamento giurisprudenziale in commento – facendo applicazione del principio di specialita’ in materia penale, perche’ le norme sopra richiamate non presuppongono la medesima situazione di fatto, ma situazioni solo parzialmente convergenti. Cosi’, puo’ darsi che un fatto non rientrante nella previsione dell’articolo 34 (perche’, per esempio, mancante di occasionalita’; o perche’ osta alla sua immediata definizione un interesse della persona offesa; o perche’, dopo l’esercizio dell’azione penale, vi e’ opposizione dell’imputato o della persona offesa) rientri, invece, nella previsione dell’articolo 131-bis c.p. (per esempio, perche’ si tratta di imputato che deve rispondere di una percossa quasi simbolica); viceversa, possono esservi casi definibili ex articolo 34, anche se l’offesa superi il livello di offensivita’ presupposto dall’articolo 131-bis c.p. (per esempio, perche’ ostano alla procedibilita’ le particolari condizioni di salute dell’imputato).
A tali considerazioni si aggiunge che nessuna indicazione normativa conforta la tesi negativa. Si sostiene, infatti, che il Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 2 – secondo cui nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto cio’ che non e’ previsto dal decreto stesso, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di procedura penale e nei titoli 1 e 2 del Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 271 – richiamato dalla giurisprudenza avversa, si riferisce, all’evidenza, alle norme di procedura, ma non anche agli istituti sostanziali, qual e’, secondo la giurisprudenza di questa Corte, quello contemplato dall’articolo 131-bis c.p. (Sez. U, Sentenza n. 13681 del 2016; Sez. 5, n. 5800 del 02/07/2015, Rv 267989; Sez. 3, n. 31932 del 02/07/2015; sez. 6, n. 39337 del 23/6/2015). Ne’ indicazioni in senso contrario vengono dal parere espresso dalla Commissione Giustizia sullo schema di Decreto Legislativo il 3 febbraio 2015, ove si invitava il Governo a valutare “l’opportunita’ di coordinare la disciplina della particolare tenuita’ del fatto prevista dal Decreto Legislativo 28 ottobre 2000, n. 274, articolo 34, in riferimento ai reati del giudice di pace, con la disciplina prevista dal provvedimento in esame” e dal fatto che la sollecitazione suddetta non fu accolta. Secondo l’orientamento in commento, tale determinazione fu adottata per il solo fatto che il coordinamento tra le due discipline fu ritenuto estraneo alle indicazioni della legge delega; da qui la necessita’ che la possibile interferenza tra diverse disposizioni sia risolta dall’interprete. Ne deriva – per l’indirizzo interpretativo minoritario – che il carattere di maggior favore della disciplina prevista dall’articolo 131-bis c.p. induce a ritenere che quest’ultima sia applicabile a tutti i reati, ivi compresi quelli di competenza del giudice di pace, anche perche’ sarebbe altamente irrazionale e contrario ai principi generali che una norma di diritto sostanziale sia inapplicabile proprio ai reati che sono ritenuti dal legislatore di minore gravita’.
3. Poiche’ la questione di diritto esaminata ha dato luogo al contrasto giurisprudenziale sopra descritto, appare opportuno che il ricorso sia rimesso alle sezioni unite, ai sensi dell’articolo 618 c.p.p..
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle sezioni unite
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