Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

SENTENZA 2 dicembre 2016, n. 51416

Ritenuto in fatto

1.1 Con sentenza dell’8 aprile 2014 la Corte di Appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Salerno – Sezione Distaccata di Eboli – dell’8 luglio 2008 che aveva affermato la penale responsabilità di M.F. in ordine al reato di cui all’art. 73 del D.P.R. 309/90 (coltivazione di n. 2 piante di marijuana e detenzione illecita a fini di spaccio di n. 28,8 gr. di marijuana – reato commesso in Conturbi Terme l’8 luglio 2008), condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, rideterminava la pena originariamente inflitta in mesi due e giorni dieci di reclusione ed € 600,00 di multa, ferma restando la già concessa circostanza attenuante (riqualificata dalla Corte distrettuale in fattispecie autonoma) di cui al 5° comma dell’art. 73 L. Stup., confermando nel resto.

1.2 Avverso la detta sentenza propone ricorso a mezzo del proprio difensore di fiducia l’imputato deducendo due motivi. Con la prima lamenta erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione per carenza e manifesta illogicità per avere la Corte omesso di verificare l’offensività della condotta ed in particolare l’efficacia drogante della marijuana coltivata, in controtendenza rispetto all’orientamento giurisprudenziale più recente di questa Corte Suprema che fa obbligo al giudice di merito di accertare nella ipotesi della cd. ‘coltivazione domestica’ di marijuana la portata offensiva della droga. Con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione per avere la Corte di merito omesso di argomentare in ordine alla richiesta di sostituzione della pena detentiva nella corrispondente sanzione pecuniaria ex art. 53 della L. 689/81 formulata con l’atto di appello.

Considerato in diritto

Il ricorso è parzialmente fondato e per motivi in parte diversi da quelli prospettati dalla difesa del ricorrente.

Con riferimento al dedotto motivo della inosservanza della legge penale e contestuale vizio di motivazione, rileva il Collegio che le censure – peraltro formulate in modo approssimativo nell’atto di appello in realtà incentrato sul tema della differenza tra coltivazione cd. ‘tecnico-agraria’ e coltivazione che tale non è – sono in ogni caso infondate.

2.1 Di recente questa Corte ha avuto modo di precisare a proposito della coltivazione di marijuana e della offensività della condotta che, ai fini della sua punibilità laddove la coltivazione di piante preveda l’estraibilità di sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta ‘consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente’ (v. Sez. 4^ 27.10.2015 n. 44136, Cinus, Rv. 264910; conforme sez. 6^ 15.3.2013 n. 22459, Cangemi, Rv. 255732 nella quale si è affermato che non assume rilevanza la quantità di principio attivo ricavabile nella immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente; v. anche più di recente ed in senso conforme Sez. 3^ 23.2.2016 n. 23881, Damioli, Rv. 267382 depositata nelle more della stesura della presente motivazione, nella quale, muovendo dalle premesse ora citate, si è pervenuti alla conclusione che l’offensività può essere esclusa soltanto nella residuale ipotesi in cui la sostanza ricavata o ricavabile risulti priva della capacità ad esercitare, anche in misura minima, effetto psicotropo).

2.2. Pur non negando l’esistenza di un opposto indirizzo che fa leva sulla necessità da parte del giudice di verificare in concreto l’offensività della condotta da intendersi come prova della effettiva ed attuale capacità a produrre un effetto drogante rilevabile nella immediatezza, a prescindere dall’accertamento della conformità della pianta al tipo botanico previsto e della sua attitudine futura a giungere a maturazione e produrre sostanza stupefacente (in termini Sez. 6^ 21.10.2015 n. 2618, Marongiu, Rv. 265640; idem, 2.5.2013 n. 22110, P.M. in proc. Capuano, Rv. 255733, in coerenza con la risalente decisione delle S.U. di questa Corte 24.4.2008 n. 28605, Di Salvia Rv. 239921), ritiene il Collegio di doversi uniformare all’indirizzo diverso dianzi menzionato che, invece, considera la condotta di coltivazione in sé offensiva in relazione allo stato anche potenziale della pianta.

2.3 Deve così essere ribadito il principio di diritto secondo il quale ‘Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale’ (v. Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920 e successive conformi).

2.4 Il giudice di appello, con motivazione incensurabile in questa sede ed esente da vizi logici, ha ritenuto applicabile detto principio di diritto al caso concreto, tenuto conto delle caratteristiche delle due piante sequestrate, ed ancora, del possesso da parte dell’imputato non solo delle foglie essiccate, ma delle loro modalità di occultamento e di strumenti atti al confezionamento di droga da cedere a terzi apparendo del tutto inverosimile l’esistenza di strumenti atti a preparare una sostanza del tutto priva di effetti psicotropi.

La decisione in esame va tuttavia annullata in punto di trattamento sanzionatorio. Vero è che la Corte di Salerno si è pronunciata dopo la sentenza n. 32/2014 e dopo l’approvazione della L. 10/2014 che ha modificato la struttura dell’art. 73/5 del D.P.R. 309/90, trasformando in fattispecie autonoma di reato la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità a suo tempo riconosciuta dal primo giudice e ribadita dalla Corte di Appello. Ma la sentenza impugnata risulta emessa prima dell’entrata in vigore della L. n. 79 del 2014, che ha implementato il mite trattamento sanzionatorio già previsto dalla L. 10/14, modificando in senso ancor più favorevole all’imputato le pene edittali. In ossequio, quindi, al principio generale di obbligatoria applicazione della lex mitior ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen., è necessario che il giudice di appello in sede di rinvio proceda a nuova determinazione della pena da infliggere al M..

Ma con riguardo al trattamento sanzionatorio è fondato anche il motivo specifico – che, in relazione a quanto dianzi osservato, assume una ancor più pregnante rilevanza – relativo alla omessa motivazione da parte della Corte territoriale in ordine alla richiesta di sostituzione della pena detentiva ai sensi dell’art. 53 della L. 689/81 formulata con l’atto di appello ed alla quale la Corte distrettuale non ha fornito alcuna risposta: omissione ancor più censurabile proprio in relazione al ridimensionamento della pena che avrebbe potuto giustificare in via astratta l’applicazione della norma invocata dalla difesa.

Pertanto il Giudice di rinvio, nel rimodulare, ove ne ricorrano le condizioni, il trattamento sanzionatorio, dovrà anche verificare l’applicabilità in concreto della sostituzione della pena detentiva con altra misura corrispondente, rientrando anche tale profilo nell’ambito del trattamento sanzionatorio complessivo.

Nel resto il ricorso va rigettato, riconfermandosi l’irrevocabilità della sentenza in punto di conferma della penale responsabilità ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio alla Corte di Appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma il 15 dicembre 2015

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