Cassazione 6

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

ordinanza 13 aprile 2015, n. 14961

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente

Dott. GRILLO Renato – rel. Consigliere

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Mari – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 349/2013 CORTE APPELLO di BARI, del 07/10/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Spinaci Sante, che ha concluso per annullamento senza rinvio per prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 19 settembre 2008 il Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Bari dichiarava – per quanto qui di interesse – (OMISSIS), imputato di plurimi episodi di spaccio e detenzione illecita a fini di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina meglio indicati ai capi 91), 107) e 144) reati commessi in (OMISSIS), rispettivamente in epoca prossima e antecedente al (OMISSIS) colpevole dei detti reati condannandolo, previo riconoscimento della circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, alla complessiva pena di anni quattro e mesi otto di reclusione ed euro 20.000,00 di multa oltre alle pene accessorie di legge.

1.2 A seguito dell’appello proposto dal detto imputato la Corte di Appello di Bari, con sentenza dell’8 marzo 2011, riduceva la pena originariamente inflittagli ad anni due e mesi otto di reclusione ed euro 2.400,00 di multa, revocando anche la pena accessoria della interdizione temporanea dai PP.UU..

1.3 Interposto ricorso avverso la detta sentenza, questa Corte Suprema con sentenza del 6 novembre 2012 annullava la sentenza della Corte territoriale in ordine al trattamento sanzionatorio rinviando ad altra Sezione della Corte di Appello di Bari.

1.4 La Corte di Appello con sentenza del 7 ottobre 2013, giudicando in sede di rinvio disposto da questa Suprema Corte, rideterminava la pena inflitta al (OMISSIS) in complessivi anni due di reclusione ed euro 200,00 di multa p.b. anni due e mesi otto di reclusione ed euro 100,00 di multa per il reato sub 91), aumentata per la continuazione di mesi due di reclusione ed euro 50,00 di multa per ciascuno dei residui episodi di cui ai capi 107) e 144) e definitivamente ridotta di 1/3 per il rito prescelto.

1.5 Avverso la detta sentenza propone ricorso (OMISSIS) personalmente deducendo due motivi: a) manifesta illogicita’ e mancanza della motivazione con riferimento al confermato giudizio di responsabilita’ dell’imputato; b) erronea applicazione della legge penale in relazione all’immotivato diniego delle circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, nei termini in cui risulta formulato, non supera il vaglio della ammissibilita’ per nessuno dei due motivi, non solo e non tanto perche’ generici, quanto perche’ il Giudice del rinvio era investito esclusivamente del compito di rivedere il trattamento sanzionatorio, senza dunque alcuno spazio di intervento ne’ sulle circostanze attenuanti generiche, ne’, meno che mai, sul giudizio di responsabilita’ ormai divenuti definitivi a seguito della sentenza di annullamento con rinvio di questa Suprema Corte del 6 dicembre 2012.

1.1 Si legge, infatti, in detta decisione per la parte riferentesi al (OMISSIS) che questi nel corso del giudizio di appello celebratosi davanti alla Corte di Appello di Bari in data 8 marzo 2011, aveva rinunciato a tutti i motivi di appello (motivi che involgevano il giudizio di responsabilita’, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e l’entita’ del trattamento sanzionatorio ritenuto ingiustificatamente severo in relazione all’avvenuto riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5), tranne quello attinente alla entita’ della pena. Secondo questa Corte Suprema la rinuncia a tutti i motivi di appello fuorche’ a quello riguardante la misura della pena comprendeva la rinuncia anche al motivo riguardante il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in ossequio ad analogo principio fissato dalla Sezione 1 (11.4.2012 n. 19014, Sardelli e altri, Rv. 252861).

1.2 Ne deriva che a stretto rigore il ricorso in esame, contenente motivi non esaminabili perche’ non piu’ proponibili in relazione al giudicato formatosi su di essi, va considerato inammissibile per sostanziale assenza di censure con riferimento all’unico profilo (il trattamento sanzionatorio rideterminato dalla Corte di Appello di Bari a seguito del giudizio di rinvio) astrattamente coltivabile in questa sede.

2. Cio’ detto il Collegio ritiene che debbano essere tuttavia affrontate alcune questioni di carattere generale che meritano l’esame delle Sezioni Unite: cio’ non solo in dipendenza della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2 2014, ma anche in dipendenza dei mutamenti normativi verificatisi – in riferimento al regime sanzionatorio concernente le fattispecie attenuate di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 – dapprima con il Decreto Legge n. 146 del 2013, convertito nella Legge n. 10 del 2014 e successivamente con il Decreto Legge n. 36 del 2014, a sua volta convertito nella Legge n. 79 del 2014.

2.1 Come e’ noto con il Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito in Legge 21 febbraio 2006, n. 49, era stata modificata la disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, commi 1 e 4, abbandonandosi i diversi regimi sanzionatori fissati per le sostanze stupefacenti elencate, da un lato, nelle tabelle 1 e 3 (le c.d. “droghe pesanti”) dall’altro nelle tabelle 2 e 4 (le c.d. “droghe leggere”). La nuova disciplina fissava dunque agli articoli 1 e 1 bis, del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, un unico trattamento sanzionatorio per tutte le sostanze stupefacenti con previsione della reclusione da sei anni a venti anni e della multa da euro 26.000,00 ad euro 260.000,00. Coerentemente a tale impostazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, omologava il trattamento sanzionatorio nei casi di minore gravita’ nella forbice (unica per tutti i tipi di droghe) compresa tra un anno e sei anni di reclusione e della multa tra euro 3.000,00 ed euro 26.000,00.

2.2 Tale soluzione e’ stata censurata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 32 del 12 febbraio 2014 con la quale e’ stata dichiarata l’illegittimita’ del Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, articoli 4 bis e 4 vicies ter, convertito in Legge 21 febbraio 2006, n. 49, ripristinando il testo anteriore alla legge c.d. “Fini-Giovanardi”.

2.3 Sotto altro profilo il legislatore ordinario e’ intervenuto, prima ancora del giudice delle leggi, sul testo della Legge n. 49 del 2006, dapprima emanando il Decreto Legge n. 146 del 2013, convertito nella Legge n. 10 del 2014, qualificando il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, come ipotesi autonoma di reato rispetto all’originaria previsione di una circostanza attenuante ad effetto speciale (v. sul punto Sez. 6 8.1.2014, Cassanelli) e fissando poi una pena edittale che va da un minimo di un anno ad un massimo di anni cinque di reclusione lasciando invece inalterata la pena pecuniaria compresa tra il minimo di euro 3.000,00 ed il massimo di euro 26.000,00 di multa, senza distinzione tra droghe c.d. “pesanti” e droghe c.d. “leggere”.

2.4 Non pago di cio’ il legislatore ordinario, sulla scia del sentenza 32/14 della Corte Costituzionale, con Decreto Legge n. 36 del 2014, convertito con modificazioni nella Legge n. 79 del 2014, ha ulteriormente rivisto il trattamento sanzionatorio per la fattispecie attenuata di cui all’articolo 73, comma 5, prevedendo un minimo di mesi sei di reclusione ed un massimo di anni quattro e, quanto alla pena pecuniaria, un minimo di euro 1.032,00 ed un massimo di euro 10.329,00 di multa, senza distinzione, ancora una volta, tra droghe leggere e droghe pesanti.

3. Nella giurisprudenza di questa Corte Suprema all’indomani di tali importanti riforme legislative e dell’intervento della Corte Costituzionale si e’ formato un orientamento in tema di legalita’ della pena in riferimento alla ipotesi della fattispecie attenuata ed in relazione alla diversa tipologia delle droghe illegalmente detenute (circostanza, quest’ultima, che investe anche l’ipotesi contemplata nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, nella sua originaria formulazione) che puo’ riassumersi nei seguenti termini.

3.1 Con riguardo alla cognizione della Corte di cassazione ed alla rilevabilita’ di ufficio della nullita’ sopravvenuta della sentenza impugnata in conseguenza della dichiarazione di illegittimita’ costituzionale di una norma attinente alla determinazione della pena e’ stata data risposta affermativa, anche nel caso di inammissibilita’ del ricorso per manifesta infondatezza ed in assenza di specifica doglianza (Sez. 6 6.3.2014 n. 12727, Rubino e altri, Rv. 258778; Sez. 4 15.5.2014 n. 22293, Kure, Rv, 259383; idem 15.5.2014 n. 25216, Marena e altro, RV. 259385).

3.2 Con riguardo alla cognizione della Corte di Cassazione ed alla rilevabilita’ di ufficio della nullita’ sopravvenuta della sentenza impugnata in conseguenza di una modifica normativa incidente in misura rilevante sui limiti sanzionatori edittali sia minimi che massimi, dopo un iniziale indirizzo negativo (Sez. 3 30.4.2014 n. 20766, Frattolino ed altri, RV. 259392) e’ stata data risposta affermativa anche nel caso di inammissibilita’ del ricorso laddove la modifica normativa si riveli piu’ favorevole per l’imputato (Sez. 4 13.3.2014 n. 27600, Buonocore, Rv. 259368; nello stesso senso Sez. 4 28.5.2014 n. 28164, Barhoumi, Rv. 259389; Sez., 4 21.10.2014 n. 47020, Fiorini, Rv. 260673; idem, 16.10.2014 n. 47750, Girasella, Rv. 260671).

3.3 Con riguardo alla illegalita’ sopravvenuta della pena determinata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32/14 ovvero dalle modifiche normative intervenute, rispettivamente con la Legge n. 10 del 2014, e con la Legge n. 79 del 2014, interessanti la fattispecie autonoma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in riferimento a sentenze di condanna emesse nell’ambito di giudizio ordinario o di giudizio abbreviato e’ stata data risposta positiva nel senso di annullare con rinvio per la rideterminazione della pena, la sentenza di condanna in conseguenza di una disciplina piu’ favorevole a seguito della sentenza della Corte Costituzionale laddove la pena base sia stata determinata nel provvedimento impugnato in termini sensibilmente distanti dai limiti minimi edittali si’ da comportare una rivalutazione globale del fatto (Sez. 6 20.3.2014 n. 14293, Antonuccio, Rv. 259062; idem 5.3.2014 n. 14984, Costanzo, Rv. 259355 idem, 26.3.2014 n. 14995, Lampugnano ed altro Rv. 259359; idem 23.9.2014 n. 39924, Grisorio, Rv. 260711).

3.4 Infine, con riguardo alla illegalita’ sopravvenuta della pena determinata dalla sentenza della Corte Costituzionale 32/14 ovvero dalle modifiche normative di cui alla Legge n. 10 del 2014, interessanti la fattispecie della lieve entita’ enunciata nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, si e’ affermato che per i reati commessi prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 146 del 2013, articolo 2) l’accordo concluso tra le parti e ratificato dal giudice in epoca precedente alla modifica normativa non implica una pena illegale qualora questa sia stata commisurata in misura prossima al minimo edittale rimasto normativamente immutato (Sez. 3 25.2.2014 n. 11110, Kiogwu, Rv. 258353; Sez. 6 4.3.2014 n. 13895, P.G. in proc. Nabil, Rv. 259362), mentre e’ stato ritenuta suscettibile di annullamento senza rinvio la sentenza di patteggiamento che, a seguito della reviviscenza del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nella sua originaria formulazione e delle successive modifiche normative, abbia applicato una pena utilizzando quale riferimento i parametri edittali previsti dalla disciplina poi dichiarata incostituzionale (Sez. 3 22.5.2014 n. 26346, Lamagna e altro, Rv. 259398; Sez. 4 21.10.2014 n. 49528, Leonardi, Rv. 261069).

3.5 Di recente la questione della legalita’ della pena e’ stata oggetto di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite con riguardo all’ipotesi in cui si e’ profilata l’eventualita’ di una rideterminazione della pena applicata con sentenza ex articolo 444 c.p.p., emessa prima della sentenza della Corte Costituzionale anche quando detta pena fosse rientrata nella nuova cornice edittale applicabile per effetto della sentenza della Consulta: al quesito e’ stata data risposta affermativa con decisione n. 22621 del 26 febbraio 2015.

4. Nessuna posizione risulta invece essere stata assunta con riferimento ad una pena legale – in quanto ricompresa nella forbice edittale applicabile – inflitta in riferimento a fattispecie attenuata Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, ex comma 5, in riferimento alle modifiche normative piu’ favorevoli intervenute medio tempore anche laddove il ricorso sia inammissibile per manifesta infondatezza o genericita’ dei motivi.

4.1 La questione che in questa sede intende sottoporsi all’attenzione delle Sezioni Unite attiene infatti ad ipotesi diverse da quelle sin qui esaminate (oltre che ad altre formanti oggetto di altre decisioni coeve alla sentenza 22621 del 26 febbraio 2015).

4.2 E’ noto infatti che di fronte alla inammissibilita’ del ricorso per un qualsivoglia motivo (tranne che per tardivita’) questa Corte Suprema ha ripetutamente affermato il principio che tale vizio non e’ di ostacolo ad un intervento della Corte in termini di annullamento della sentenza che abbia irrogato una pena illegale (tra le tante, Sez. 6 16.5.2013 n. 21982, Ingordini, Rv. 255674; Sez. 5 27.4.2012 n. 24128, Di cristo, Rv. 253763; S.U. 29.3.2007 n. 27614, P.C. in proc. Lista, Rv. 236535).

4.3 La ricomprensione della pena entro limiti legali in linea di principio dovrebbe precludere un intervento di ufficio volto a rivedere il trattamento sanzionatorio. Ma occorre pur sempre tenere conto delle modifiche normative medio tempore intervenute che hanno sostanzialmente scompaginato ed in misura rilevante l’originario assetto sanzionatorio con riferimento alla fattispecie attenuata disciplinata dal novellato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, tanto piu’ che per effetto di tali innovazioni possono profilarsi ipotesi tra loro diverse che possono condurre a soluzioni diverse.

4.4 Premessa, infatti, la distinzione ormai ineludibile tra droghe c.d. “pesanti” e droghe “leggere” conseguente alla reviviscenza della Legge n. 309 del 1990, nel suo testo originario precedente alla Legge 49/06, e’ certo che il regime previgente per le droghe appartenenti al primo tipo (come quella oggetto del ricorso in esame afferente alla illecita detenzione e spaccio di cocaina), in riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, era certamente meno favorevole rispetto a quello contemplato, per quanto qui rileva, nel Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, articolo 4 bis, convertito nella Legge 21 febbraio 2006, n. 49, sicche’ la soluzione da ricercare andrebbe individuata nell’articolo 2 c.p., comma 4, in ossequio al principio della applicabilita’ della legge piu’ favorevole laddove vi sia una diversita’ tra la legge del tempo in cui e’ stato commesso il reato e quella successiva.

4.5 Diversa, invece, la soluzione da ricercare con riferimento alle droghe c.d. “leggere” per le quali – nel caso dell’articolo 73, comma 5, – il regime previgente era analogo a quello attualmente in vigore per effetto della Legge n. 79 del 2014 (oltre che per effetto indiretto della decisione della Consulta), nel senso che in questo caso assumerebbe rilievo decisivo e dirimente la dichiarazione di illegittimita’ costituzionale avente effetti ex tunc di cui alla sentenza n. 32/14.

4.6 Correlato a tali questioni il problema della rilevabilita’ di ufficio degli effetti di tali modifiche normative non solo nella ipotesi di ricorso non manifestamente infondato (che appare di agevole e scontata risoluzione) ma anche nel caso della inammissibilita’ del ricorso in tutti quei casi in cui detta pena non possa qualificarsi illegale in quanto rientrante nella cornice edittale della previgente disciplina come ripristinata per effetto della sentenza n. 32/14.

4.7 La rilevabilita’ di ufficio circa l’eventuale revisione della pena potrebbe giustificarsi in relazione al fatto che un volta modificato in modo significativo il trattamento sanzionatorio in riferimento alla ipotesi attenuata di cui al ricordato comma 5, mutano inevitabilmente tutti i parametri indicati dall’articolo 133 c.p., per la determinazione della pena che obbligano il giudice a modulare la sanzione in relazione ad una serie di elementi eterogenei oggi sicuramente cambiati.

4.8 L’intervento della Suprema Corte nella sua piu’ autorevole composizione si pone quindi come chiarificatore e di portata generale in quanto vale non solo nel caso in cui la pena inflitta dal giudice di merito sia prossima al limite minimo edittale ovvero al limite massimo, ma anche laddove risulti ricompresa nella fascia c.d. “intermedia”: tale intervento si impone anzitutto come necessario in riferimento alla decisione della Consulta, nel senso che il ripristino della disciplina previgente rispetto a quella contenuta nella Legge n. 49 del 2006, determina effetti favorevoli retroattivi tenuto conto degli effetti della pronuncia costituzionale rispetto alla legge dichiarata incostituzionale. Ma appare ineludibile anche in riferimento agli effetto modificativi delle leggi sopra citate, in quanto il concetto di legalita’ della pena non puo’ essere disgiunto dai parametri via via modificatisi in melius che rendono quella pena stessa, solo apparentemente, legale.

4.9 Nel caso in esame per l’ipotesi delittuosa indicata al capo 91) la pena-base e’ stata determinata in anni due e mesi otto di reclusione ed euro 100,00 di multa, ricompresa nella forbice edittale del novellato articolo 73, comma 5, ma attestata, quanto meno per la sanzione detentiva, su livelli assai prossimi al massimo edittale.

5. Sulla base delle considerazioni sin qui espresse appare necessario un intervento risolutore della Suprema Corte nella sua espressione piu’ autorevole al fine di indicare se per le condotte antecedenti al Decreto Legge n. 146 del 2013, articolo 2, siano rilevabili di ufficio in sede di legittimita’, anche in presenza di ricorso manifestamente infondato e che non sollevi censure in ordine al trattamento sanzionatorio, gli effetti delle modifiche normative intervenute con riguardo al regime della pena riguardante la fattispecie autonoma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, anche nei casi in cui detta pena non risulti illegale in quanto rientrante nella cornice edittale della previgente disciplina come ripristinata per effetto della sentenza n. 32/14.

P.Q.M.

Dispone la rimessione del ricorso di cui in premessa alle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione.

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