Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 9 maggio 2017, n. 11208

Risarcimento del danno per i genitori che, se messi a conoscenza della malformazione del feto, avrebbero proceduto a ulteriori accertamenti e nel caso interrompere la gravidanza

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 9 maggio 2017, n. 11208

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14411/2015 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS) in proprio e nella loro qualita’ di genitori della figlia minore (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SPA gia’ (OMISSIS) SPA in persona dei suoi procuratori speciali (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;

(OMISSIS), (OMISSIS), ISTITUTO (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giuste procure speciali in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

(OMISSIS), (OMISSIS) SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1504/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 28/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/10/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

I FATTI

(OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali esercenti potesta’ nei confronti della figlia minore (OMISSIS) (poi deceduta nelle more del giudizio), convennero dinanzi al Tribunale di Genova (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), l’istituto (OMISSIS) e le compagnie assicurative (OMISSIS) ed (OMISSIS), chiedendo loro il risarcimento dei danni conseguenti all’errore diagnostico ascrivibile a colpevole condotta dei medici dell’istituto, che aveva impedito ad essi attori la tempestiva conoscenza della malformazione da cui era affetto il feto onde procedere ad ulteriori accertamenti ovvero addivenire all’interruzione della gravidanza.

Con sentenza in parte definitiva, in parte non definitiva, il giudice di primo grado accolse la domanda proposta nei confronti del (OMISSIS) e delle dottoresse (OMISSIS) e (OMISSIS), condannando i convenuti al risarcimento dei danni non patrimoniali, determinati e liquidati nella somma di Euro 39.278, rimettendo al prosieguo del giudizio la determinazione del danno patrimoniale.

La corte di appello di Genova, investita delle impugnazioni, principale e incidentali, hinc et inde proposte, rigetto’ la domanda risarcitoria di cui alla sentenza definitiva del Tribunale per assenza di colpa dei convenuti condannati in primo grado.

Avverso la sentenza della Corte ligure gli attori in prime cure hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi di censura, oltre ad un terzo sul riparto delle spese processuali.

Resistono con controricorso gli intimati, ad eccezione del (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.p.a..

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso e’ fondato.

Con primo motivo, si denuncia, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, nullita’ della sentenza per vizio di ultrapetizione in relazione alla perizia di secondo grado.

Il motivo, benche’ suggestivamente argomentato, non puo’ essere accolto.

I principi di diritto evocati dalla difesa dei ricorrenti – necessita’ di adeguata motivazione in base ad idonei elementi istruttori, per il giudice di appello, circa le ragioni che lo inducono ad ignorare o sminuire i dati risultanti dalla CTU in atti, in forza altresi’ di esigenze di economia processuale e di costi del giudizio e di rispetto del canone della ragionevole durata del processo – sono senz’altro conformi a quelli piu’ volte affermati da questa Corte (per tutte, Cass. 18410/2013); non senza considerare ancora che, in seno alla lunga, articolata, ampia e analitica motivazione della sentenza di appello, la CTU disposta in primo grado non risulta mai espressamente e apertamente disattesa, ma viene per converso piu’ volte richiamata in sentenza (f. 21, 23 e 29 indicazioni numeriche ricavabili pur in assenza di numerazione per pagine nella pronuncia impugnata).

Tali circostanze non attingono, peraltro, all’indispensabile livello dimostrativo idoneo a predicare un vizio del procedimento tale da inficiare la validita’ della sentenza, nonostante il tormentato iter processuale che ha infine condotto alla decisione di rinnovare la CTU in atti.

Si legge, difatti, ai ff. 18-19 dell’esposizione in fatto che la causa venne trattenuta una prima volta in decisione (senza che fosse ritenuta necessaria alcuna rinnovazione della consulenza) il 19.9.2007, e rimessa sul ruolo per la collocazione in aspettativa di un componente del collegio; che, alla successiva udienza di precisazione delle conclusioni, la causa venne nuovamente trattenuta in decisione (anche questa volta, senza che la CTU fosse rinnovata) e rimessa sul ruolo per la mancanza in atti del fascicolo di primo grado; che, all’esito della ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni del 16.7.2008, la Corte, con ordinanza del 7/15 gennaio 2009, disponeva alfine la rinnovazione della CTU, formulando nuovi quesiti, ritenendo necessario approfondire (f. 20) le tematiche relative agli strumenti di diagnostica prenatale poste dalla peculiarita’ del caso di specie, anche alla luce dell’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, che riferiva di un accertamento del 25.8.2000, il cui referto, di 4 giorni successivo, aveva evidenziato “rischio aumentato di sindrome di Down risultato maggiore di quello atteso in base alla sola eta’ materna” (29 anni, primipara).

La Corte territoriale ha, pertanto, sia pur assai sinteticamente, anche se diacronicamente, argomentato la propria decisione di procedere al rinnovo della CTU di primo grado, e tale valutazione di fatto si sottrae al sindacato del giudice di legittimita’.

Con il secondo motivo, composto da 3 sub-motivi, si denuncia, ex articolo 360 n. 3 c.p.c.:

a) violazione applicazione norma di diritto in tema di linee guida.

b) violazione applicazione Decreto Legge n. 158 del 2012 convertito in legge n. 189/2012.

c) Violazione applicazione norme di diritto in tema di responsabilita’ contrattuale, extracontrattuale e codice medico deontologico.

Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate, sono fondate nei limiti di cui si dira’.

Non risultano correttamente esaminate e valutate, in sede di motivazione della sentenza impugnata, nel riportare e nel far proprie le conclusioni raggiunte dal prof. (OMISSIS), CTU in secondo grado, le seguenti circostanze, e risultano per altro verso censurabili in parte qua le seguenti affermazioni:

1) Lo screening combinato per sindrome di Down nel primo trimestre di gravidanza ne aveva evidenziato l’aumento del rischio, il che aveva indotto i sanitari a qualificare la gravidanza “di secondo livello”;

2) Le risultanze dell’esame ecografico risultavano riprodotte in fotogrammi a scelta dell’operatore (la dottoressa (OMISSIS)), e in atti (come rilevato dal CTU) mancavano gli originali delle ecografie del (OMISSIS) e del (OMISSIS), mentre le relative fotocopie erano illeggibili;

3) Nell’ecografia del (OMISSIS) non vi erano immagini inerenti le orbite oculari del feto. Aggiunge, in proposito, testualmente la Corte: “Le linee guida della Sieog pubblicate nel 1997 prevedono per lo screening ecografico delle malformazioni la visualizzazione delle orbite fetali. Sotto tale profilo le indicazioni appaiono rispettate”;

4) La frequenza, definita “forse eccessiva” con cui erano state effettuate le ecografie poteva essere spiegata con una particolare prudenza da parte dell’operatrice e con una maggiore comprensibile ansia della paziente che chiedeva di vedere il proprio bambino all’ecografia ad ogni visita;

5) Non sussistevano precise distinzioni riguardo a cosa debba riscontrare un’ecografia morfologica di 1 o di 2 livello, sottintendendo il 2 livello una i piu’ minuziosa ricerca di difetti in base a rischi clinici; l’approfondimento diagnostico nel caso in esame era soprattutto legato ad eventuali difetti cardiaci talora associati a screening positivi;

6) Il solo fatto che l’esame fosse stato effettuato in una struttura specializzata non implicava che si dovesse trattare sempre di esame del 2 livello; in particolare, in riferimento alla macroftalmia/anoftalmia, le possibilita’ di errore erano elevate anche in mani esperte… cio’ non significava che non potessero essere sempre identificate, o i bulbi oculari visualizzati, ma se non specificamente ricercati per qualsivoglia sospetto potevano sfuggire anche a mani esperte. E, si conclude, “francamente nel caso in questione una cosi’ rara patologia non poteva essere sospettata e forse nemmeno visibile”;

7) L’affermazione degli appellanti secondo cui le linee guida, prive di alcun carattere di cogenza, potevano offrire soltanto l’indicazione di standards minimi per l’esecuzione di un routinario esame ecografico si appalesava insuscettibile di essere condivisa, perche’ in contrasto con la nozione di linee guida recepita dalla L. n. 189 del 2012, articolo 3, comma 1, “che operano come direttiva scientifica per il sanitario, costituiscono modello e regola dell’agire appropriato, si intendono in guisa di direttive che, come nella specie, indicano standards diagnostico-terapeutico conformi alle regole dettate dalla miglior scienza medica”;

8) Nel caso dell’esame prenatale non era stato raggiunto il livello minimo prescritto dalle linee guida approvate nel 2001 dalla SIGLI per l’analisi cromosomica su biopsia dei villi coriali, che e’ pari ad almeno 16 metafasi, presumibilmente per una minor resa della coltura cellulare… le linee guida non precisavano il comportamento da tenere nel caso in cui non si fosse raggiunto il numero minimo di metafasi da analizzare. La sentenza prosegue rilevando: “sarebbe opportuno segnalare la minore attendibilita’ del referto… in questo caso specifico non risulta una segnalazione scritta sul referto… La discordanza tra i due esami eseguiti (prenatale e postnatale) non era peraltro attribuibile con certezza ai disguidi tecnici che avevano determinato un minor numero di metafasi analizzate nel campione di villi coriali;

9) Dato atto che i consulenti nominati in primo grado avevano concluso nel senso che, con il maggior numero di metafasi, il livello di attendibilita’ dell’analisi nell’escludere la presenza di mosaicismo cromosomico sarebbe stato piu’ elevato, senza mai essere totale, il collegio ritiene “di non potersi esimere dal rilevare che le linee guida approvate nel 2001 non possono essere considerate operanti nel caso in esame dal momento che la villocentesi e’ stata effettuata il (OMISSIS), alla dodicesima settimana di gravidanza, e quindi in epoca precedente alla loro approvazione”;

10) Il non aver raggiunto le 16 metafasi consigliate aumentava di poco la probabilita’ di non diagnosticare un mosaicismo cromosomico. E pertanto “e’ difficile proporre di ripetere un prelievo invasivo, con il rischio di perdere la gravidanza a fronte di 12 e non 16 metafasi analizzate”;

11) La causa piu’ probabile dell’esame di 12 metafasi in luogo di 16 andava identificata nell’inadeguata crescita cellulare;

12) Il margine di differenza probabilistica nel non diagnosticare un mosaicismo cromosomico in riferimento all’esame di 16 metafasi ovvero di 12 era circoscritto al 5%;

13) Il rilievo, espressamente qualificato di natura deontologica – e quindi estraneo alla fattispecie dell’inadempimento contrattuale – circa l’omessa indicazione dell’opportunita’ di effettuare una consulenza genetica – non avrebbe sortito altro effetto che quello di far constare le relative controindicazioni.

La motivazione della Corte genovese – sicuramente ampia, articolata e rigorosamente approfondita sul piano scientifico – non si sottrae, peraltro, alle censure mosse da parte dei ricorrenti, sub specie:

1) dell’erronea ricostruzione e qualificazione del rapporto tra linee guida e colpa medica (in applicazione, peraltro, di una normativa entrata in vigore nell’anno 2012, della quale si evocano aspetti sostanziali e non processuali, e in logico contrasto con la concorrente affermazione secondo la quale le linee guida citogenetiche approvate nel 2001 non potevano formare oggetto di valutazione perche’ successive al tempo delle indagini sanitarie);

2) del grado di diligenza richiesto ai sanitari di un istituto altamente specializzato come il (OMISSIS) e del riparto dell’onere della prova;

3) della omessa, corretta e completa informazione alla paziente del complesso quadro clinico e dei rischi, hinc et inde verificabili, che si andavano profilando.

1-a) Non risulta conforme a diritto quanto affermato dalla Corte ligure sul tema della rilevanza “parascriminante” delle linee guida, mentre appare corretta e condivisibile (diversamente da quanto opinato dal giudice di appello) la censura mossa da parte ricorrente che evidenzia – in consonanza con la recente giurisprudenza penalistica di questa Corte e della stessa Corte costituzionale – come le linee guida non assurgano punto al rango di fonti di regole cautelari codificate, non essendo ne’ tassative ne’ vincolanti, e comunque non potendo prevalere sulla liberta’ del medico, sempre tenuto a scegliere la miglior soluzione per il paziente. Di tal che, pur rappresentando un utile parametro nell’accertamento dei profili di colpa medica, esse non eliminano la discrezionalita’ giudiziale, libero essendo il giudice di valutare se le circostanze del caso concreto esigano una condotta diversa da quella prescritta (Cass. pen. 16237/2013; 39165/2013). Non senza osservare, ancora, come il giudice delle leggi, con la sentenza n. 295 del 2013, abbia chiaramente specificato che la limitazione di responsabilita’ ex articolo 3 comma 1 della cd. Legge Balduzzi trovi il suo invalicabile limite nell’addebito di imperizia – giacche’ le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di perizia – e non anche quando l’esercente la professione sanitaria si sia reso responsabile di una condotta negligente e/o imprudente.

2-b) Come gia’ accennato poc’anzi, il grado di diligenza e di prudenza richiesto ai sanitari nel caso di specie doveva ritenersi di certo piu’ elevato rispetto ad una periodica attivita’ di controllo routinario quale quella eseguita, e cioe’ non limitandosi a rilevare la presenza e lo sviluppo dell’apparato osseo e cardiaco, ma focalizzando l’attenzione sullo specifico sviluppo dei vari organi nella struttura del feto, alla luce del risultato dello screening, che aveva evidenziato il rischio di malformazioni genetiche.

Risulta poi non conforme a diritto la decisione impugnata nella parte in cui omette del tutto di considerare, e di attribuire decisivo rilievo sul piano del riparto degli oneri probatori (vertendosi, come pacifico, in tema di responsabilita’ contrattuale o ” da contatto”, ratione temporis), alla circostanza, rilevata dal CTU, secondo il quale vi era carenza di immagini fotografiche delle ecografie e del (OMISSIS) e del (OMISSIS), essendo illeggibili le relative fotocopie… per il deterioramento imputabile al tempo trascorso”. Tele carenza, che non consente di accertare l’esatto adempimento della prestazione da parte del sanitario, non puo’, ipso facto, ridondare a carico della parte danneggiata, bensi’ del debitore chiamato a dimostrare in modo tranchant l’assenza di colpa della propria condotta che il creditore della prestazione assume non conforme alle regole di diligenza imposte dall’articolo 1176.

Compito del giudice di merito era, pertanto, specificamente quello di valutare autonomamente la condotta dei sanitari di una struttura altamente specializzata (da cui e’ lecito pretendere un comportamento altrettanto specializzato, e dunque uno standard di diligenza piu’ elevato rispetto a quello del professionista medio: risulta, pertanto, assai poco comprensibile l’affermazione del CTU di appello secondo la quale “il solo fatto che un esame sia effettuato in una struttura specializzata, essendo numerosi gli ambulatori generali e gli ambulatori superspecialistici”, che appare considerazione di tipo valutativo del tutto ultronea rispetto ai compiti affidatigli, essendo l’analisi della fattispecie concreta rapportata al tipo di istituto scelto dalla paziente, senza che cio’ consentisse alcuna valutazione di tipo comparatistico), in presenza di una gravidanza ritenuta a rischio, in presenza di un tritest positivo e di un numero concordemente ritenuto eccessivo di esami ecografici (risulta del tutto sfornita di prova, e contestata da parte ricorrente, l’affermazione che si legge in sentenza secondo la quale cio’ era dovuto “anche alla comprensibile ansia della paziente che chiedeva di vedere il proprio bambino all’ecografia ad ogni visita”: supra, sub 4). In particolare, quanto ai controlli ecografici, nonostante il numero elevato, essi risultano eseguiti, come correttamente opinato dal giudice di primo grado, in modo colpevolmente routinario, nonostante la evidente natura di gravidanza a rischio della puerpera, onde la patente irrilevanza, nella specie, delle linee guida SIOG del 1997.

3-c) Non conforme a diritto risulta, ancora la sentenza impugnata nella parte in cui esclude l’obbligo di completa e corretta informazione della paziente in relazione alla specifica situazione clinica, e segnatamente al mancato raggiungimento del livello minimo prescritto dalle linee guida con riferimento al numero di metafasi esaminate: era rimessa, in via esclusiva alla gestante la decisione, se adeguatamente informata, di sottoporsi ad amniocentesi genetica, ovvero di procedere, come suo diritto, ad interrompere la gravidanza. Pertanto, la segnalazione della minore attendibilita’ del referto non puo’ ritenersi, al condizionale, soltanto “opportuna”, bensi’ doverosa, al di la’ ed a prescindere dalla rilevanza del numero di probabilita’ maggiori di accertamento della malformazione che l’indagine correttamente eseguita avrebbe offerto. Risulta del tutto apodittica, e non conforme a diritto (perche’ frutto di una ormai obsoleta concezione paternalistica della medicina) discorrere, in proposito, di “difficolta’ nel proporre di ripetere un prelievo invasivo, con il rischio di perdere la gravidanza a fronte di 12 e non 16 metafasi analizzate” (supra, sub 11).

Non conforme a diritto appare, da ultimo, l’ulteriore affermazione contenuta in sentenza secondo cui il rilievo deontologico sarebbe stato del tutto estraneo alla fattispecie dell’inadempimento contrattuale in punto di omessa indicazione dell’opportunita’ di effettuare una consulenza genetica “che non avrebbe sortito altro effetto di far constare le controindicazioni gia’ esposte”.

Il “rilievo deontologico”, di converso, era univocamente finalizzato, nella specie, ad evidenziare le conseguenze dell’omessa informazione, e cioe’ il vulnus arrecato al diritto di libera e consapevole autodeterminazione della paziente, qual che fosse poi stata la sua scelta.

Il terzo motivo di ricorso, relativo al riparto delle spese di giudizio del secondo grado, e’ assorbito nell’accoglimento dell’odierno gravame.

A seguito dell’accoglimento del ricorso, nei limiti di cui in motivazione, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio del procedimento alla Corte di appello di Genova che, in diversa composizione, si atterra’ ai principi di diritto sopra esposti, provvedendo altresi’ anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Genova, in altra composizione.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma gia’ dovuta, a norma del predetto articolo 13, comma 1 bis

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