Risarcisce il danno alle parti intimate (oltre che le spese di lite) chi nel ricorso, scritto in modo incomprensibile, propone tesi giuridiche surreali
Suprema Corte di Cassazione
sezione III civile
sentenza 29 settembre 2016, n. 19272
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5020/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale notarile;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2860/2014 del TRIBUNALE di VERONA, depositata il 12/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/06/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’esposizione sommaria dello svolgimento del processo sara’ limitata ai soli fatti ancora rilevanti in questa sede.
Nel (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), vantando nei confronti di (OMISSIS) un credito di circa 5.800 Euro risultante da titolo giudiziale, iniziarono l’esecuzione forzata nelle forme del pignoramento presso terzi.
2. L’esecutato propose opposizione ex articolo 617 c.p.c.. A fondamento dell’opposizione dedusse l’inesistenza o la nullita’ del titolo esecutivo, e di conseguenza quella del precetto.
Il Tribunale di Verona con sentenza 12.12.2014 dichiaro’ tardiva l’opposizione.
3. La sentenza del Tribunale e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) con ricorso fondato su quattro motivi.
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso, ambo le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Questioni preliminari.
1.1. I tre controricorrenti hanno eccepito la tardivita’ del ricorso.
L’eccezione e’ fondata sul presupposto che la sentenza impugnata e’ stata notificata a (OMISSIS) il 19.12.2014, mentre il ricorso e’ stato notificato il 10.3.2015.
I controricorrenti ammettono che il ricorrente ha tentato una prima notifica nei termini, non andata a buon fine; ma deducono che di tale infruttuoso tentativo non si dovrebbe tenere conto, la prima notifica fu tentata presso un indirizzo da tempo abbandonato dal difensore dei controricorrenti, sicche’ l’errore del notificante non fu incolpevole. Soggiungono che il mutamento del domicilio del difensore risultava “dal timbro sulla memoria ex articolo 183 c.p.c. e sulla comparsa conclusionale”.
1.2. L’eccezione e’ infondata.
Nel caso di trasferimento dello studio professionale del difensore destinatario della notificazione d’un atto di impugnazione, questa Corte ha stabilito ormai da tempo le regole in base alle quali stabilire la tempestivita’ dell’impugnazione stessa, ovvero:
(a) e’ onere del notificante accertarsi, anche attraverso il ricorso alle banche dati telematiche degli ordini professionali, l’effettivo indirizzo dell’avvocato destinatario della notifica;
(b) l’infruttuoso esito della notifica dell’impugnazione ad un indirizzo non piu’ attuale puo’ essere sanato:
(b1) rinnovando la notificazione entro il termine di decadenza dall’impugnazione, se l’errore fu colpevole;
(b2) rinnovando la notificazione anche oltre la scadenza del termine di decadenza dall’impugnazione, se l’errore del notificante fu incolpevole;
(c) ai fini dell’accertamento della colpevolezza dell’errore commesso dal notificante, rileva la conoscenza del domicilio effettivo del destinatario “comunque acquisita”;
(d) quando l’errore del notificante sia stato incolpevole, questi puo’ procedere autonomamente ad eseguire una seconda notifica, senza attendere l’ordine del giudice;
(f) il felice esito della seconda notifica produce i suoi effetti ex tunc ed evita la decadenza (per l’affermazione di questi principi si veda Sez. U, Sentenza n. 3818 del 18/02/2009, Rv. 607092; in seguito, ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 19060 del 25/09/2015, Rv. 636563).
1.3. Nel caso di specie, i controricorrenti non hanno fornito elementi sufficienti per ritenere che l’errore della prima notificazione fu colpevole.
Essi sostengono che l’avvocato del ricorrente avrebbe potuto agevolmente ricavare il nuovo indirizzo dell’avvocato dei sigg.ri (OMISSIS) dal timbro apposto sulla memoria ex articolo 183 c.p.c., da essi depositata nel corso del giudizio di primo grado.
E tuttavia va in contrario osservato che l’apposizione d’un timbro su un atto processuale non e’ un indice inequivoco dell’avvenuto mutamento nell’elezione di domicilio da parte del cliente, quando “sia mancata un’idonea ed inequivoca comunicazione dell’avvenuto trasferimento” (cosi’ Sez. 1, Sentenza n. 12539 del 04/062014, Rv. 631631).
Ne’ i controricorrenti hanno documentato (pur avendolo dedotto a p. 16 del proprio controricorso) che il nuovo indirizzo del loro difensore era stato al momento della notifica del ricorso debitamente segnalato al Consiglio dell’Ordine e da questo reso ostensibile a chiunque.
2. Inammissibilita’ del ricorso.
2.1. Il ricorso e’ inammissibile, per totale inintelligibilita’.
L’esposizione del fatto, estesa da p. 4 a p. 21, e’ una farragine inestricabile ed incomprensibile, nella quale mancano elementi necessari per la comprensione dell’accaduto, ed abbondano per contro elementi di dettaglio. La narrazione non segue un ordine logico ne’ cronologico; la tecnica scrittoria a dir poco ermetica; manca del tutto qualsiasi sforzo ordinante teso a rendere ostensibile l’accaduto.
2.2. Un ricorso cosi’ concepito si pone in contrasto frontale sia col precetto di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 3, il quale richiede a pena di inammissibilita’ del ricorso che esso contenga l’esposizione “sommaria” dei fatti di causa; sia, prima ancora, col generale precetto di cui all’articolo 156 c.p.c., comma 2, posto che la limpidezza sintattica nella narrazione dei fatti costituisce un requisito minimo essenziale affinche’ un ricorso per cassazione possa raggiungere il suo scopo, ovvero mettere la controparte ed il giudice in condizione di comprenderne il senso.
3. La responsabilita’ aggravata.
3.1. Al presente giudizio, iniziato nel 2014, e’ applicabile ratione temporis l’articolo 96 c.p.c., comma 3, come novellato dalla citata L. n. 69 del 2009, articolo 45, comma 12.
3.2. Agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave vuol dire azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione; ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione.
Nel caso di specie, il ricorrente ha proposto un ricorso nel quale ha esposto i fatti in modo incomprensibile: e gia’ tale circostanza integrerebbe di per se’ gli estremi della colpa grave, intesa quale nimia negligentia ai sensi dell’articolo 1176 c.c., comma 2.
3.3. Tuttavia questa Corte, al fine di provvedere sulla domanda di condanna ex articolo 96 c.p.c., formulata dai controricorrenti, e delibati a tal fine i motivi del ricorso (motivi che e’ stato possibile intendere solo previa lettura della sentenza impugnata e del controricorso, che’ altrimenti sarebbero riusciti incomprensibili), rileva come il ricorrente ha in essi sostenuto tesi giuridiche non solo manifestamente infondate, ma addirittura temerarie.
3.4. Ed infatti col primo motivo (comprensibile solo previa lettura del controricorso) il ricorrente ha sostenuto che (non l’introduzione del giudizio di merito, ma) la fissazione dell’udienza di discussione nel giudizio di merito possessorio oltre il 60 giorno dalla pronuncia dell’ordinanza possessoria cautelare comporta l’inefficacia di quest’ultima, e di conseguenza la nullita’ del titolo esecutivo rappresentato dalla condanna alle spese contenute nel provvedimento di rigetto del reclamo cautelare.
Assunto manifestamente infondato, posto che lo spirare del termine ex 703 c.p.c., non comporta piu’, dopo la riforma del rito possessorio,la caducazione dell’ordinanza interdittale; e comunque la caducazione non travolgerebbe le spese; ed a tutto concedere la dichiarazione di inefficacia dell’interdetto andrebbe chiesta con le forme di cui al 669 novies c.p.c., e non puo’ essere chiesta in sede di esecuzione (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 13564 del 16/09/2003, Rv. 566881, per il “vecchio” rito possessorio).
E comunque ed a tutto concedere quel che ha da essere compiuto entro i 60 giorni dall’ordinanza possessoria e’ l’istanza di fissazione dell’udienza, non certo la fissazione dell’udienza.
3.5. Col secondo motivo il ricorrente ha preteso che una ordinanza pronunciata in sede di reclamo possessorio (e costituente titolo esecutivo) fosse nulla perche’ sottoscritta dal solo presidente, mentre in realta’ aveva contenuto di sentenza e quindi doveva essere firmata anche dall’estensore. E pretendere che una ordinanza sul reclamo possessorio sia una sentenza e’ una enormita’ che si commenta da se’.
3.6. Col terzo motivo (secondo l’interpretazione che appare meno improbabile, ma non puo’ dirsi affatto certa, tanto esso e’ oscuro) il ricorrente sostiene che l’opposizione da lui proposta ex articolo 617 c.p.c., non era tardiva, perche’ con essa si intendeva far valere non la nullita’ del titolo esecutivo, ma la sua “inidoneita’ attuale ad essere posta in esecuzione”. Distinzione, quella tra “nullita’” e “inidoneita’ a essere posta in esecuzione”, non altrimenti spiegata ed ignota all’ordinamento positivo.
3.7. Col quarto motivo il ricorrente si duole di essere stato condannato dal giudice dell’opposizione ex articolo 96 c.p.c., ma e’ motivo che – se esaminato sarebbe stato ovviamente assorbito dal rigetto degli altri motivi.
3.8. In definitiva, ci troviamo al cospetto d’un ricorrente che risulta:
– avere introdotto sette processi per lo stesso fatto;
– sostenuto tesi giuridiche surreali;
– omesso di eseguire tre provvedimenti giudiziari esecutivi;
– scritto un ricorso incomprensibile.
Da cio’ deriva che delle due l’una: o il ricorrente – e per lui il suo legale, del cui operato ovviamente il ricorrente risponde, nei confronti della controparte processuale, ex articolo 2049 c.c. – ben conosceva l’insostenibilita’ della propria impugnazione, ed allora ha agito sapendo di sostenere una tesi infondata (condotta che, ovviamente, l’ordinamento non puo’ consentire); ovvero non ne era al corrente, ed allora ha tenuto una condotta gravemente colposa, consistita nel non essersi adoperato con la exacta diligentia esigibile (in virtu’ del generale principio desumibile dall’articolo 1176 c.c., comma 2) da chi e’ chiamato ad adempiere una prestazione professionale altamente qualificata quale e’ quella dell’avvocato in generale, e dell’avvocato cassazionista in particolare.
Il ricorrente va, dunque, condannato ex articolo 96 c.p.c., al pagamento in favore delle parti intimate, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno.
Tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie puo’ essere fissata in via equitativa ex articolo 1226 c.c., nell’importo di Euro 3.000, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza.
4. Le spese.
4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
4.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l’articolo 380 c.p.c.:
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
-) condanna al pagamento ex articolo 96 c.p.c., in favore di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, della somma di Euro 3.000, oltre interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
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