Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 21 giugno 2017, n. 15349

L’avvocato non ha diritto al danno patrimoniale per l’interruzione del servizio internet da parte di Telecom in concomitanza con il suo passaggio a Wind. Gli indennizzi sono previsti nella delibera AGCOM e nel Decreto Ministeriale citati in funzione deflattiva, per prevenire ed evitare il contenzioso inducendo il cliente a ricorrere agli organismi di composizione delle controversie. Essi non equivalgono ad una presunzione sul verificarsi stesso del danno, e non possono quindi supplire alla mancata prova, come nel caso di specie, dello stesso verificarsi del danno. Non possono quindi essere direttamente utilizzati, qualora si arrivi alla introduzione della causa e con essa ad una domanda risarcitoria fondata sulle regole ordinarie dell’inadempimento e della prova del danno, come prova presuntiva dell’an, oltre che del quantum, del danno. Essi potrebbero eventualmente essere utilmente richiamati, qualora l’attore avesse gia’ fornito la prova dell’effettivo verificarsi di un danno patrimoniale, del quale non fosse in grado di’ fornire l’esatta quantificazione, come parametro utilizzabile ai fini di un risarcimento in via equitativa.

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 21 giugno 2017, n. 15349

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14866-2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS), in persona del procuratore speciale Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 760/2013 del TRIBUNALE di ASCOLI PICENO, depositata il 05/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2017 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega.

FATTI DI CAUSA

L’Avv. (OMISSIS) proponeva domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza dell’arbitraria sospensione da parte di (OMISSIS) s.p.a. del collegamento ADSL ad internet di cui fruiva il suo studio professionale, per un periodo di circa due mesi. La (OMISSIS) motivava l’interruzione del servizio di collegamento internet con il passaggio dell’utenza telefonica ad altro gestore telefonico, la (OMISSIS), e chiamava in causa in garanzia la (OMISSIS) s.p.a..

All’esito del giudizio di primo grado le due societa’ venivano condannate a risarcire il (OMISSIS) nella misura di Euro 1.000 ciascuna.

La (OMISSIS) proponeva appello ed il (OMISSIS) appello incidentale avendo nel frattempo la (OMISSIS) provveduto ad addebitargli fattura comprensiva anche del contributo per l’attivazione della linea telefonica, contestando che l’interruzione del servizio telefonico fosse dipesa dall’intestatario del contratto e che quindi fosse dovuto il contributo per la riattivazione del servizio abusivamente interrotto.

Il Tribunale di Ascoli Piceno quale giudice d’appello, con la sentenza impugnata accertava che la (OMISSIS) avesse interrotto illegittimamente il servizio ADSL, non appena la (OMISSIS) le aveva comunicato il passaggio alla sua gestione come operatore telefonico del (OMISSIS), invece di trasferire a (OMISSIS) la linea internet senza interrompere il servizio.

Rigettava pero’ la domanda risarcitoria del (OMISSIS) ritenendo non provato il danno, mentre ne accoglieva il ricorso incidentale relativo al contributo per l’attivazione del servizio, non dovuto giacche’ esso era stato illegittimamente interrotto dalla stessa (OMISSIS).

Accoglieva anche l’appello incidentale di (OMISSIS), respingendo la domanda di manleva proposta nei suoi confronti da (OMISSIS).

L’Avv. (OMISSIS) propone ricorso per cassazione articolato in sei motivi ed illustrato da memoria nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. e di (OMISSIS)Telecom (OMISSIS) s.p.a., per la cassazione della sentenza n. 760, depositata dal Tribunale di Ascoli Piceno il 5.12.2013.

Resiste con controricorso (OMISSIS) s.p.a.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va premesso che tutti i motivi sono estremamente generici, mancando di uno specifico riferimento agli atti di causa, ai limiti dell’inammissibilita’.

Con il primo motivo, strutturato come denuncia della presenza nella sentenza di un vizio di motivazione, ovvero come omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che siano stati Oggetto di discussione tra le parti, il ricorrente si duole dell’omesso riconoscimento del danno materiale, discendente dalla soppressione ingiustificata della linea internet di cui aveva goduto lo studio legale fino al momento del cambio di gestore telefonico, per oltre due mesi.

Il motivo e’ infondato, ai limiti dell’inammissibilita’, in quanto il ricorrente non denuncia in effetti una carenza motivazionale, nei ristretti limiti in cui essa puo’ ancora rilevare, nell’economia del giudizio di cassazione, ma ripropone alcuni fatti allegati (quali le numerose richieste di intervento inoltrate al gestore telefonico, e le iniziative giudiziarie intraprese e poi abbandonate allorche’ (OMISSIS) provvedeva a riattivare la linea internet) dolendosi del fatto che essi, benche’ siano stati dedotti nei gradi di merito, non siano stati ritenuti idonei a comprovare il verificarsi di un danno materiale. Si duole in definitiva del risultato negativo dell’attivita’ di valutazione delle prove svolta dal giudice di merito, non in questa sede rinnovabile.

Non e’ denunciato il mancato risarcimento del danno patrimoniale sotto il profilo della violazione di legge in relazione alle regole dell’inadempimento contrattuale, a proposito del quale, in tema sempre danni collegati alla linea telefonica, va ricordato il principio gia’ affermato da questa Corte secondo il quale (Cass. n. 24632 del 2015) il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilita’ patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi solo i mancati guadagni meramente ipotetici perche’ dipendenti da condizioni incerte, sicche’ la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilita’ (e non di mera possibilita’), che puo’ essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entita’ del danno subito (In applicazione di tale principio, la S.C. confermava la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno per erronea inserzione del nominativo della ditta ricorrente sull’elenco telefonico, in assenza della prova di uno sviamento di clientela per tale disguido, tanto piu’ che il recapito telefonico della ditta risultava, chiaramente, in altra parte dello stesso elenco cartaceo e in quello “on line”).

Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’articolo 2059 c.c., in quanto il tribunale ha escluso la risarcibilita’ del danno subito allegato dal professionista sotto il profilo del danno non patrimoniale, non ritenendolo riconducibile alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto. Sostiene invece il ricorrente che sarebbe stato violato il suo diritto alla comunicazione, allo sviluppo della personalita’ ed anche che sia stata violata la possibilita’ di svolgere efficacemente il suo lavoro, perche’ lo svolgimento dell’attivita’ lavorativa e’ stata menomata dalla temporanea impossibilita’ di fruire del collegamento internet veloce.

Il motivo e’ infondato.

Il giudice di merito ha correttamente escluso che i disagi e i fastidi eventualmente incontrati ed in particolare il disservizio legato alla mancanza dell’ADSL possano impingere direttamente nella tutela della liberta’ e sicurezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, ed ha affermato che lo stesso attore, odierno ricorrente, non ha indicato alcuna limitazione che possa essere ritenuta di tale gravita’ da pregiudicargli seriamente il diritto a comunicare.

Cio’ in conformita’ alla consolidata affermazione di questa Corte di legittimita’ (Cass. S.U. n. 26972 del 2008), secondo la quale Il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, e’ risarcibile – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c. – anche quando non sussiste un fatto-reato, ne’ ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’articolo 2059 c.c., giacche’ qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioe’ di’ toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); (b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilita’ (in quanto il dovere di solidarieta’, di cui all’articolo 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualita’ della vita od alla felicita’.

In definitiva, il giudice di merito, con accertamento in fatto non ulteriormente ripetibile, ha ritenuto che, pur essendosi sicuramente verificato un inconveniente addebitato alla condotta negligente di (OMISSIS), che di fatto interruppe per un periodo consistente la sola fruizione della linea di collegamento internet che correva abbinata alla linea telefonica fissa dello studio, da cio’ sia conseguita una violazione, del diritto di comunicazione e di espressione del pensiero del professionista, inidonea a raggiungere l’entita’ dei parametri b) e c) fissati dalla Corte ovvero che essa non fosse sufficientemente grave e rilevante. Non puo’ non considerarsi anche, da un lato l’importanza della libera fruizione del collegamento ad internet, quale modalita’ capillarmente diffusa e di utilizzo ormai (OMISSIS)nuativo nella vita delle persone, di acquisizione e scambio di informazioni, esperienze e conoscenze, dall’altro anche la molteplicita’ dei mezzi a tal fine disponibili: in difetto di una situazione di assoluta privazione di tale possibilita’, la soglia di afflittivita’ risarcibile conseguente alla privazione di uno degli strumenti utilizzabili per stabilire tale connessione non puo’ dirsi raggiunta.

Il profilo della tutela dell’attivita’ lavorativa attiene piu’ propriamente al danno patrimoniale, ove non e’ stato adeguatamente sviluppato sotto il profilo del danno da inadempimento contrattuale, e non puo’ utilmente essere preso in considerazione sotto il profilo del risarcimento del danno non patrimoniale.

Con il terzo motivo e il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 345 e poi dell’articolo 112 c.p.c. perche’ la corte d’appello avrebbe riformato la sentenza di primo grado accogliendo una eccezione formulata dalla (OMISSIS) solo in appello, violando anche il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Fa riferimento alla allegazione della societa’ telefonica secondo la quale, pur essendo stata interrotta la linea internet veloce, il ricorrente disponeva pur sempre della linea telefonica, mediante la quale poteva comunque svolgere molte delle attivita’ che precedentemente svolgeva grazie al collegamento internet. Argomenta il ricorrente che se l’eccezione fosse stata formulata in primo grado, avrebbe potuto dimostrare che la linea telefonica era insufficiente a quello scopo.

I motivi sono infondati.

In realta’ non si tratta di una eccezione in senso tecnico, ma di una semplice argomentazione difensiva, che come tale non andava incontro a preclusioni.

A cio’ si aggiunga che l’inidoneita’ della linea telefonica, da sola, a svolgere le funzioni consentite dal collegamento internet era materia di onere probatorio ricadente sull’attore fin dal primo grado e che la domanda e’ stata rigettata proprio perche’ l’attore non e’ riuscito a fornire una prova idonea dell’aver effettivamente riportato un danno apprezzabile in conseguenza degli inconvenienti che il comportamento non sollecito del gestore gli ha recato.

Con il quinto e il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione di una serie di norme alle quali attribuisce natura regolamentare, ed in particolare di una delibera in data 16.2.2011 della Autorita’ garante per le telecomunicazioni, che determina un indennizzo da parte dell’esercente nei confronti del cliente nel caso che un determinato servizio non sia erogato, che prescinde dalla prova del danno. Sostiene che il giudice di merito avrebbe dovuto liquidare un danno pari quanto meno a quell’indennizzo giornaliero moltiplicato per i giorni di interruzione del servizio, o in alternativa avrebbe dovuto comunque liquidare il danno, assumendo come riferimento IL Decreto Ministeriale Poste e Telecomunicazioni n. 197 del 1997, articolo 40 che pure stabiliva un criterio di quantificazione dell’indennizzo che il cliente aveva diritto di ricevere in caso di ingiustificata interruzione del servizio.

I motivi sono infondati.

Gli indennizzi sono previsti nella delibera AGCOM e nel Decreto Ministeriale citati in funzione deflattiva, per prevenire ed evitare il contenzioso inducendo il cliente a ricorrere agli organismi di composizione delle controversie. Essi non equivalgono ad una presunzione sul verificarsi stesso del danno, e non possono quindi supplire alla mancata prova, come nel caso di specie, dello stesso verificarsi del danno. Non possono quindi essere direttamente utilizzati, qualora si arrivi alla introduzione della causa e con essa ad una domanda risarcitoria fondata sulle regole ordinarie dell’inadempimento e della prova del danno, come prova presuntiva dell’an, oltre che del quantum, del danno. Essi potrebbero eventualmente essere utilmente richiamati, qualora l’attore avesse gia’ fornito la prova dell’effettivo verificarsi di un danno patrimoniale, del quale non fosse in grado di’ fornire l’esatta quantificazione, come parametro utilizzabile ai fini di un risarcimento in via equitativa.

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Atteso l’esito complessivo della lite, non sussistono ragioni per discostarsi dalla decisione di compensazione delle spese di giudizio adottata dal giudice d’appello.

Il ricorso per cassazione e’ stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013; in ragione della soccombenza del ricorrente, la Corte, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di giudizio tra le parti. Da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

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